martedì 20 giugno 2017
La ricerca di Welfare Company su 326 direttori del personale. Cresce il ruolo dei provider dei servizi
Non solo incentivi, due aziende su tre ci credono
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Le imprese italiane scommettono sul welfare. E non solo per beneficiare delle agevolazioni fiscali. A spingerle è soprattutto la volontà di migliorare il clima tra colleghi, attrarre talenti e incrementare la produttività dei dipendenti. La ricerca «Welfare aziendale in Italia. Edizione 2017» condotta dal professore Luca Pesenti docente dell’Università Cattolica di Milano per Welfare Company su un campione di 326 manager e direttori del personale provenienti da aziende di tutta Italia fotografa una realtà in continuo movimento.

Due aziende su tre (il 67%) investono nel welfare, il 18% lo ha fatto introducendo nuove soluzioni nell’ultimo anno. Mense aziendali e buoni pasto gli strumenti più utilizzati (dal 60% degli intervistati) seguiti da flessibilità degli orari (46%), polizze sanitarie (37%) e benefit per lo studio dei figli. Il 37% delle aziende ha salutato in maniera positiva l’attivazione di agevolazioni fiscali previste nelle nuove normative, considerandole un incentivo all’attivazione di piani di welfare. La ricerca ha messo in luce uno «sviluppo culturale rilevante nelle relazioni industriali» come lo ha definito il professore Pesenti. Le aziende che fanno welfare sono quelle più moderne. «Sono quelle che lavorano per trovare nuovi sbocchi di mercato, che innovano i processi organizzativi, che investono su logistica, marketing e distribuzione. Dunque, il welfare non è episodico, ma parte di una strategia di modernizzazione dell’impresa». E dall’altro lato i sindacati si mostrano più interessati all’argomento. Solo nel 18% dei casi, infatti, gli intervistati parlano di un sindacato disinteressato o ostile, anche se il 42% delle aziende lamenta una non elevata formazione dei sindacati. Un punto critico segnalato dalla ricerca è invece la mancata diffusione di modalità condivise di welfare tra imprese. Solo l’8% del campione ne fa già uso.

Per quanto riguarda la modalità di introduzione del piano di welfare, il campione si divide a metà tra chi lo ha fatto con modalità unilaterali (48,3%) e chi invece ha invece ha siglato un contratto aziendale (49,7%). Ancora poco diffuso l’utilizzo della contrattazione territoriale (2%). Chiara Fogliani, Ceo di Welfare Company ha spiegato che la presenza dei provider di servizi di welfare è in aumento esponenziale. «Erano il 18% nel 2016, oggi sono presenti nel 25,5% delle aziende. Le imprese hanno capito che il provider non è un semplice fornitore di servizi di welfare, ma un vero e proprio partner capace di costruire un piano su misura».

Infine per quanto riguarda il futuro la ricerca evidenzia che il 41% delle imprese coinvolte è già al lavoro per introdurre un nuovo piano o ampliare quello esistente. Nello specifico il 28% sta lavorando su benefit materiali, il 23% sull’assistenza sanitaria e il 22% su agevolazioni per lo studio dei figli. Ma la vera sfida per il 33% del campione è quella dello smart working: vale a dire la possibilità di lavorare da casa o in azienda in maniera flessibile a seconda delle necessità. Uno strumento che unisce produttività e benessere per i lavoratori.

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