giovedì 8 dicembre 2022
Uno degli stati americani dove è più attiva l'industria dei combustibili fossili è anche uno dei territori più flagellati dalla crisi climatica: da qui il Gnl arriva anche in Italia
In Louisiana il gas che altera l'ambiente

Carlo Dojmi di Delupis/ReCommon

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La Louisiana è uno degli stati americani dove storicamente è più attiva l'industria dei combustibili fossili, ma anche uno dei territori più flagellati dalla crisi climatica. L'intensità degli uragani è aumentata in maniera esponenziale. Tutti ricordiamo la tragedia provocata da Katrina (1.800 vittime e 125 miliardi di dollari di danni), ma recenti fenomeni come Laura (2020) e Ida (2021) hanno fatto registrare un'intensità simile e lasciato alle loro spalle morte e distruzione.

Carlo Dojmi di Delupis/ReCommon



Ora l'ultima frontiera del business fossile si chiama gas naturale liquefatto (GNL), cioè immagazzinare in forma liquida il gas estratto, per lo più tramite fratturazione idraulica, nei vari giacimenti dell'area e del resto degli Stati Uniti, per poi spedirlo tramite enormi navi in giro per il mondo. In Louisiana ci sono ben tre dei sette terminal di GNL attivi al momento, altri due sono in fase di costruzione, cinque sono stati approvati e altri cinque aspettano il via libera. Su scala nazionale, se gli impianti proposti dovessero vedere la luce, entro un lustro su tutto il territorio statunitense ci potrebbero essere 26 terminal di GNL. Rispetto al secondo semestre del 2021, l'export di GNL è aumentato del 12 per cento nella prima metà del 2022, tanto che gli USA hanno sorpassato Federazione russa e Qatar, divenendo il primo Paese esportatore al mondo. L'Italia è al 13° posto globale per import di gas dagli Stati Uniti nel periodo fra febbraio 2016 e settembre 2022.

Carlo Dojmi di Delupis/ReCommon



Nell'area intorno alla città di Lake Charles ci sono i terminal Cameron LNG e Calcasieu Pass, ma pure una impressionante concentrazione di petrolchimici che sbuffano fumo e fiammate senza sosta. In alcuni punti lo sguardo incontra solo tubature e serbatoi, in quella che appare una delle più grandi zone di sacrificio del Paese. "Le comunità che vivono vicino agli impianti sono tutte afroamericane, spesso molto povere e ancora alle prese con gli effetti degli uragani”, ci spiega Roishetta Ozane di Healthy Gulf, Ong per cui svolge il ruolo di community organizer. Mentre ci mostra le case con i teli blu, che qui indicano proprio le abitazioni danneggiate dalle tempeste estreme, Roishetta chiarisce che una delle sue attività principali è spiegare alle persone che cosa sono i cambiamenti climatici e perché questo territorio è tra i più colpiti dai loro effetti. Questi fenomeni non vanno che a esacerbare una crisi sociale che in Louisiana sembra senza fine. Il 14,20 per cento delle famiglie dello Stato vive sotto la soglia di povertà. La media dei salari per nucleo familiare è di 52mila dollari, a fronte di un dato su scala nazionale intorno ai 70mila. La disoccupazione colpisce duro, con picchi oltre il 40 per cento, soprattutto tra le comunità afroamericane.

John Allaire

John Allaire - Carlo Dojmi di Delupis/ReCommon

I terminal di GNL contribuiscono a creare pochi posti di lavoro, come ci conferma John Allaire. Uno che conosce bene le aziende petrolifere, perché è stato dipendente per oltre 30 anni della britannica BP. Ora però ha una società di consulenza ambientale ed à ben conscio che il business fossile non è più sostenibile a lungo terme. John vive in un enorme caravan a due passi dall'Oceano in una delle zone umide di maggior pregio del continente nordamericano, popolata da pellicani, cormorani, anatre e cicogne. Dove però è da pochi mesi entrato in funzione il terminal di Calcasieu e a breve dovrebbero iniziare i lavori per altri due impianti. “Prosciugheranno numerosi stagni e faranno sparire un tratto di spiaggia, come se non bastassero gli uragani a portar via pezzi di costa”, denuncia John. Intanto a Calcasieu è un via vai di navi gasiere, giganti del mare che nei pochi mesi di vita di questo terminal sono arrivati ben sei volte nelle acque italiane, a ulteriore riprova che il GNL americano è sempre più importante per il nostro Paese.

Carlo Dojmi di Delupis/ReCommon

Spostandosi verso est, a tre ore di macchina da Lake Charles, si toccano con mano gli effetti dell'emergenza climatica provocati anche dall'uso estensivo del gas. Qui è tutto un intrico di bayous, i canali paludosi dell'immenso Delta del Missisipi che sfocia nel Golfo del Messico, e c'è un'isola, quella di Jean Charles, che sta letteralmente sparendo. Colpa di altri canali, quelli artificiali scavati dalle compagnie fossili per estrarre gas e petrolio, che hanno fatto sì che l'acqua salata e le mareggiate potessero penetrare in profondità nelle zone umide, accelerando i processi di erosione. Rispetto al 1955, si è perso il 98% dell'isola. I circa 200 abitanti, per lo più nativi americani costretti a venire a Jean Charles da una legge del 1830, sono stati rilocati a 40 chilometri di distanza e sono di fatto i primi profughi ambientali statunitensi della storia.

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