lunedì 12 giugno 2023
Genera un mercato che vale 16,2 miliardi di euro tra export e mercato interno e conta 4.546 aziende che occupano 112.534 dipendenti
Il settore biomedicale è un'eccellenza italiana

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Il settore biomedicale è una delle eccellenze italiane. Genera un mercato che vale 16,2 miliardi di euro tra export e mercato interno e conta 4.546 aziende che occupano 112.534 dipendenti. Si tratta di un tessuto industriale molto eterogeneo, altamente innovativo e specializzato, dove le piccole aziende convivono con i grandi gruppi. Il mercato interno vale 10,8 miliardi di euro con un 78% di investimenti da parte della sanità pubblica e il restante 22% di investimenti da parte di quella privata. In Italia la spesa sanitaria pubblica in dispositivi medici e servizi pesa il 5,26% della spesa sanitaria totale ed è aumentata nel 2021 dell’8,3% rispetto al 2020. La spesa pubblica in dispositivi medici relativi all’emergenza pandemica da Covid-19 è stimata pari a circa il 12,8% della spesa pubblica totale in dispositivi medici. La spesa pubblica pro capite in dispositivi medici è in media di 107,5 euro. Sono 2.523 le imprese di produzione che, insieme alle 1.643 di distribuzione e alle 380 di servizi producono o distribuiscono i dispositivi medici nel nostro Paese. Il tessuto imprenditoriale del settore è caratterizzato da una forte prevalenza di pmi (circa il 94% del totale). Il 70% delle imprese ha sede in cinque regioni ( Emilia-Romagna, Lombardia, Lazio, Veneto, Toscana ) e rappresenta l’85% del fatturato. Analizzando ancora più in profondità la collocazione delle imprese italiane, si distribuiscono in 13 comparti principali: biomedicale (1.315 imprese pari al 28,9% del totale), biomedicale strumentale (con 602 imprese pari al 13,2% del totale), dispositivi a base di sostanze (terzo comparto in graduatoria con 510 imprese pari all’11,2% del totale), elettromedicale e servizi integrati (con 360 imprese, pari al 7,9% del totale), ausili (con 339 imprese pari al 7,5% del totale), diagnostica in vitro (con 337 imprese pari al 7,4% del totale), attrezzature tecniche (con 280 imprese pari al 6,2% del totale), home e digital care (con 237 imprese pari al 5,2% del totale), dentale (con 211 imprese pari al 4,6% del totale), le restanti 335 aziende rientrano, nell’ordine, nei comparti: dell’ottica (per il 4,2%), dei servizi (per l’1,8%), della medicina estetica (per lo 0,7%), delle protesi acustiche (per lo 0,4%), e della categoria altro (per lo 0,8%). Il quadro del commercio internazionale vede sempre di più la Cina assumere un ruolo principale. In particolare, le importazioni provenienti da questo Paese sono aumentate del 15,1% nel 2020. Mentre le esportazioni verso gli Usa si sono ridotte del 12,3% nel 2020. L’import 2020 proviene (nell’ordine) da Germania, Paesi Bassi, Cina e l’export è diretto (nell’ordine) verso Usa, Francia, Germania.

La richiesta di payback e la congiuntura sfavorevole

Sul futuro di molti produttori di dispositivi medici pesa l’incognita del payback e la scadenza del 30 giugno potrebbe mettere in difficoltà le aziende prive di liquidità adeguata a coprire le richieste finanziarie derivanti da questo meccanismo. Sono oltre 1.400 le aziende e 190mila i posti di lavoro che potrebbero essere a rischio a seguito della congiuntura non favorevole e della richiesta di payback per dispositivi medici. È quanto emerge dallo studio Nomisma L’impatto del payback sulle imprese della filiera dei dispositivi medici, commissionato da Pmi Sanità e da Fifo Sanità Confcommercio. Lo studio ha interessato 4mila società della filiera dei dispositivi medici attive in tutta Italia. La fisionomia del comparto, che è caratterizzato dalla presenza di molte aziende che ancora non hanno superato le difficoltà dovute alla recente congiuntura negativa, è fortemente mutata da quando la richiesta di ripiano è stata maturata (2015-2018): al 2021, un'azienda su otto risulta cessata, in liquidazione o in stato di insolvenza mentre una su tre risulta in stato di sofferenza, a seguito degli effetti della pandemia. Senza dimenticare il terremoto del 2012 e le recenti inondazioni. Mettendo insieme le aziende già in una situazione di squilibrio con quelle in difficoltà a seguito del payback, sono quasi 1.400 le imprese coinvolte. Si tratta di imprese che, per altro, hanno già versato imposte per 3,8 miliardi di euro nei quattro anni interessati dalla richiesta di ripiano, ai quali si aggiungerebbe la relativa quota di payback (pari a 704 milioni di euro). L’impatto risulterebbe particolarmente gravoso sulle pmi, tipicamente più fragili e meno capitalizzate, che sarebbero chiamate a versare un importo pari a oltre 1/3 dei margini lordi e oltre il 60% degli utili prodotti nell’ultimo esercizio. Gli effetti del provvedimento risulterebbero ancor più pesanti se si considera che le aziende di settore che presentano perdite di esercizio sarebbero escluse dalle gare di appalto della Pa perché prive di un criterio di solidità generalmente richiesto, cosa che accentuerebbe ulteriormente la situazione di fragilità economica e finanziaria, impattando sulla tenuta dell’intero comparto. Dalle cifre sollecitate per il ripiano emerge una difficile sostenibilità dello stesso che impone un onere crescente, non prevedibile e "sganciato" dai risultati economici delle aziende, con possibili riflessi negativi sulla continuità di fornitura del Sistema sanitario nazionale. Oltre ai rischi occupazionali e di erosione del gettito, lo studio Nomisma segnala anche che la rete di fornitura si assottiglierebbe riducendo le scelte a disposizione delle stazioni appaltanti, con possibili ripercussioni negative anche sui prezzi di acquisto.

Il distretto biomedicale di Mirandola (Modena)

In oltre 50 anni di carriera Mario Veronesi ha contribuito a rendere l’area nord della provincia di Modena uno dei poli industriali più importante in Italia e il secondo in tutto il mondo. La sua avventura inizia nel garage di casa, producendo dispositivi monouso di plastica dopo una brillante intuizione avuta durante la sua carriera come farmacista a Mirandola. Il territorio sul quale si estende il distretto biomedicale di Mirandola, comprende principalmente la zona intorno a Mirandola e comuni limitrofi, nell’area nord della provincia di Modena, con qualche presenza anche in provincia di Mantova. I comuni compresi nel distretto sono tutti di dimensioni medio piccole e si sviluppano in un raggio di 25 chilometri circa. La folta presenza di filiali di banche nazionali e locali, garantisce un adeguato supporto finanziario all’economia locale. L’Agenzia delle entrate è presente con due uffici (Mirandola, Carpi), mentre il tribunale competente per il territorio è quello di Modena. La maggior concentrazione di aziende nel distretto è nei comuni di Mirandola e paesi confinanti, con importanti presenze nel comune di Carpi e Novi di Modena, dove però l’importanza del biomedicale rispetto ad altri settori è marginale. Fino agli anni 80 il territorio vedeva una massiccia presenza di industrie agroalimentari, tessili e metallurgiche, settori che nel tempo si sono fortemente ridimensionati. Attualmente nel distretto sono presenti aziende del settore metalmeccanico ed elettronico operanti sia per il biomedicale che per altri settori. Il numero complessivo degli addetti è di circa 5mila persone tra aziende produttrici e indotto. L’ istruzione tecnica vede la presenza di due istituti medi superiori a Mirandola, due si trovano a Finale Emilia (20 chilometri) e uno sul Mantovano, a Ostiglia (30 chilometri). L’ istruzione universitaria fa riferimento agli Atenei di Modena, Reggio Emilia, Bologna e Verona, queste ultime due in particolare beneficiano del collegamento ferroviario della linea Bologna – Verona. Il punto dolente della realtà del distretto sono i collegamenti con la rete autostradale, poichè il territorio non è attraversato da nessuna autostrada; i caselli più vicini sono Reggiolo/Rolo (circa 20 chilometri) e Carpi (circa 25 chilometri) sulla A22, mentre per quanto riguarda la A1 è il casello di Modena Nord (circa 35 chilometri).

L'alta specializzazione dei profili

Il settore si distingue soprattutto per l’alta specializzazione dei profili: la percentuale dei laureati è circa doppia rispetto a quella del resto del manifatturiero. In più si tratta di un comporto attento all’innovazione: gli investimenti in ricerca e sviluppo sono maggiori rispetto agli altri comparti industriali nazionali. Ma quali profili cercano le aziende del settore? Tra i più richiesti troviamo lo specialista del prodotto biomedicale. In genere un professionista con laurea in ingegneria biomedica in grado di studiare e progettare materiali, strumenti e tecnologie sanitarie. Richiestissimo anche il tecnico senior di controllo qualità, di fatto un esperto delle materie prime utilizzate nella produzione dei dispositivi medici. Sempre più apprezzati anche i profili con competenze It e in grado di rispondere alle sfide della salute 4.0: tra questi troviamo i big stampa 3D. Questo comparto ha spesso difficoltà a trovare professionalità con competenze adeguate. Il professore Luigi Pastorelli (in qualità di ceo del Gruppo Schult'z) ha individuato i fattori in grado di sviluppare innovazione, al fine di acquisire posizioni dominanti nell’ambito di un determinato mercato e in grado di generare profitti e incrementi occupazionali. «L’ applicazione al settore biomedicale del teorema di Taylor - spiega Pastorelli - ha permesso d’ individuare e quantificare il fattore di crescita, ma soprattutto è stato possibile individuare la correlazione che ne permette il fattivo sviluppo. Sul presupposto che il baricentro economico si sta spostando da attività propriamente a carattere manifatturiero ad attività ad alto valore aggiunto e creativo del terziario avanzato, nell’analisi redatta si è individuato come principale fattore di crescita il trasferimento di expertise e di know how dalla sanità militare a quella civile tramite l’ utilizzo di specifiche figure professionali derivanti dal settore militare».

I migliori posti di lavoro

Il benessere delle persone sul luogo di lavoro è, oggi più che mai, uno dei principali obiettivi da raggiungere per ogni impresa ma non tutti i settori riescono a soddisfare standard qualitativi elevati e quello biofarmaceutico rappresenta sicuramente un modello positivo e virtuoso. Great Place to Work Italia, azienda che si occupa dello studio e dell’analisi del clima aziendale, della trasformazione organizzativa e dell’employer branding, ha stilato la seconda edizione della classifica dei Best Workplaces in Pharma & Biotechnology 2023: si tratta delle dieci migliori aziende farmaceutiche italiane per cui i dipendenti sono più felici di lavorare, scelte da oltre 16mila collaboratori delle imprese biopharma del Bel Paese. La ricerca completa è consultabile al seguente link: https://www.greatplacetowork.it/risorse/employer-branding/classifica-best-workplaces-in-pharma-biotechnology-2023. La metodologia utilizzata per stilare questa classifica rispecchia, per quanto riguarda l’analisi dell’esperienza dei collaboratori, quella usata per la realizzazione della classifica dei Best Workplaces Italia 2023; in aggiunta, vi è un particolare focus sulla industry di riferimento, ovvero i settori farmaceutico e delle biotecnologie. Quella farmaceutica è una delle aree più virtuose, infatti i collaboratori delle aziende del settore analizzate mostrano un Trust Index medio pari all’87%. «Dai dati che abbiamo analizzato, abbiamo visto che la motivazione professionale e la missione sociale che i collaboratori del settore biofarmaceutico percepiscono hanno registrato un aumento davvero incredibile – dichiara Beniamino Bedusa, presidente di Great Place to Work Italia –. Altro risultato eccellente di questa edizione del ranking è un ulteriore aumento del livello di retention del personale delle aziende premiate in classifica». Entrando ancora più nel dettaglio, la classifica è stata suddivisa in due differenti categorie dimensionali, secondo il numero di collaboratori, ciascuna con cinque posizioni premiate: aziende fino a 149 dipendenti e con oltre 150 collaboratori. La categoria della classifica Best Workplaces in Pharma & Biotechnology 2023, con aziende con più di 150 collaboratori, vede al primo posto Msd Italia, seguita da AbbVie, Bristol-Myers Squibb, Gruppo Servier in Italia e Eli Lilly Italia Spa. Mentre tra le aziende con un numero di collaboratori fino a 149, la prima posizione è occupata da Alnylam Italia davanti a InfectoPharm, Biogen Italia, Techdow Pharma Italy e Ipsen. «In un periodo in cui il settore biofarmaceutico è particolarmente sollecitato, come dimostrano i dati dell’export 2022, le aziende premiate in questa seconda edizione della classifica hanno saputo mantenere inalterato l’elevato livello di soddisfazione, impegno e wellbeing delle proprie persone», conclude Alessandro Zollo, ceo di Great Place to Work Italia.






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