venerdì 31 marzo 2023
In molti casi non è prioritaria solo la retribuzione. Contano anche le motivazioni, la progressione di carriera, il clima aziendale, i benefit. I consigli per essere più felici
Un colloquio di lavoro

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Felicità e lavoro sono conciliabili? Meglio il posto giusto o quello fisso? Sono tante le ricerche che mettono in evidenza il livello di soddisfazione dei dipendenti. In molti casi non è prioritaria solo la retribuzione. Contano anche le motivazioni, la progressione di carriera, il clima aziendale, i benefit. Anche la pandemia ha contribuito a cambiare la scala dei valori nella scelta o nel mantenimento di un'occupazione. Secondo Hunters Group, per esempio, auto aziendale, smartphone o buoni pasto non sono più la priorità. Sono flessibilità oraria, attenzione al benessere psico-fisico e lavoro agile a fare davvero la differenza. «Non dobbiamo cadere nell’errore – spiega Marta Arcoria, Hr Manager di Hunters Group – di pensare che parlare di felicità al lavoro sia fuori luogo. Tralasciando i vari job title evocativi o quelle che potremmo definire mode passeggere, il concetto di felicità (inteso, ovviamente, in senso ampio) è molto importante per tutti i lavoratori, indipendentemente dal ruolo, dalla tipologia di azienda o dagli anni di esperienza. Gli ultimi tre anni, lo sappiamo, hanno ridisegnato completamente i modelli organizzativi e modificato radicalmente i desideri dei candidati. Abbiamo visto come stipendio e benefit materiali non possano più essere sufficienti per trattenere un talento o per portarlo a bordo, ma dal nostro sondaggio appare evidente come il quadro sia, ancora una volta, cambiato: oggi sono indispensabili flessibilità oraria, attenzione al benessere psico-fisico e smart working perché, davvero, stare bene anche in ufficio è fondamentale». Dal sondaggio condotto tra oltre 1.500 candidati, emerge un quadro molto chiaro: il 47% dei lavoratori italiani preferiscono la flessibilità oraria e lo smart working, per avere così la possibilità di poter bilanciare – nel modo migliore possibile – vita professionale e vita privata. Il 42% dei candidati, invece, preferisce un ambiente di lavoro sereno e la possibilità di crescita professionale. Si tratta di elementi che, in un modo o nell’altro, possono contribuire a migliorare il benessere dei lavoratori e, di conseguenza, a ridurre i livelli di stress. Sembrerebbero meno importanti, invece, i benefit materiali, scelti soltanto dall’11% dei candidati. Sono i lavoratori più giovani a non voler assolutamente rinunciare allo smart working e alla flessibilità oraria, mentre chi ha maturato più esperienza punta soprattutto a benefit materiali, come l’auto aziendale e premi immediati, come i buoni shopping. «A livello generale – aggiunge Arcoria – i benefit rappresentano, in maniera sempre più marcata, una forte leva di motivazione dei dipendenti attuali e potenziali. Le aziende devono necessariamente tenere in considerazione il valore che questi fattori possono avere per le persone. Non dimentichiamo, infatti, che non è raro che un candidato prediliga, a parità di trattamento economico, una azienda attenta al benessere dei propri collaboratori e che abbia valori in cui sia più facile rispecchiarsi. E il benessere si misura anche attraverso elementi che, in molti casi, vengono considerati secondari. Ma sulla felicità nessuno è più disposto a negoziare». Ma cos’è la felicità sul posto di lavoro? InfoJobs prova a rispondere. In un momento storico in cui più che mai il work-life balance è determinante nel compiere scelte personali e professionali, il primo indice di felicità (41,9%) è proprio avere un lavoro che permetta il giusto equilibrio tra lavoro e vita privata. Seguono altri fattori, come lavorare in un ambiente favorevole e disteso con colleghi e superiori, una situazione che addirittura fa superare il fatto di ritrovarsi in un impiego che non corrisponda perfettamente a quello desiderato (32,6%). Infatti, fare il lavoro dei propri sogni è sinonimo di felicità “solo” per il 9,3% del campione. Ma felicità sul posto di lavoro è anche ottenere risultati professionali e riconoscimenti da parte dell’azienda (16,2%). La felicità, nel senso più generale del termine, è una questione di istanti, di momenti, ma anche di… giorni. Tanto che il 40,2% degli intervistati decreta il venerdì (grazie al weekend alle porte) come giorno più felice della settimana. Segue il 33,3% che non stabilisce un giorno specifico perché ogni settimana è diversa, ma il 13,9% non ha dubbi: il giorno di riposo è il giorno di maggior felicità assoluta! C’è anche il 6,3% che apprezza soprattutto il mercoledì, perché dona già una parvenza di weekend e di tutto ciò che di buono esso comporta. Infine, il 5,3% ama talmente tanto il proprio lavoro da identificare il giorno in cui inizia la settimana lavorativa come quello migliore e più felice. Uno dei passi emotivamente più impegnativi per ogni professionista, è il primo giorno di lavoro: simbolo di inizio e per molti anche di fine di un capitolo lavorativo precedente. Ma può dirsi un giorno felice? A predominare in questa occasione, per il 49,6%, è la felicità, che si prova per il nuovo ambiente e l’emozione per la nuova avventura, mentre per il 26,6% a far da padrona è l’ansia per il nuovo ruolo e per le responsabilità che si affacciano. C’è chi è curioso di conoscere i nuovi colleghi e i nuovi capi (13,6%) e chi invece, si sente pervaso da un mix di emozioni fra felicità per il futuro e tristezza per ciò che si è lasciato (10,2%). La felicità è uno stato d’animo cangiante, dipende da emozioni, situazioni e anche dall’età. Ma è così anche nel lavoro? Per il 59,7% nell’ambiente lavorativo è determinata sempre dagli stessi elementi (ambiente, colleghi, capi, carriera), indipendentemente dall’età anagrafica. Il 23%, invece, pensa che ci sia un percorso evolutivo della felicità: da giovani è più legata all’ambizione e ai riconoscimenti, ma con il passare degli anni la cosa più importante è trovare il lavoro giusto per se stessi. Infine per il 13,6%, all’opposto, da giovani si è più propensi a valutare ambiente lavorativo e rapporto con i colleghi, che diventano poi anche amici veri e propri, ma col tempo la felicità trova il suo posto in gratificazioni economiche e possibilità di carriera. Nemico e/o amico della felicità sul lavoro è sicuramente l’umore personale, ma fortunatamente per il 45,6% degli intervistati lavoro e vita privata sono nettamente distinti e non subiscono l’uno l’influenza dell’altro. Ne è convinto anche il 43,3%, nonostante faccia fatica a tenere i piani separati, mentre non vi è nessuna distinzione tra privato e lavoro per l’11,1% del campione e questo si ripercuote sia sulla professionalità che sulla vita privata. La ricetta della felicità sul lavoro rimane ancora oggi sconosciuta, ma nel nostro piccolo possiamo agire per accrescere il livello di gioia che accompagna le nostre giornate o possiamo pensare alle opzioni che ci rendano più felici. Ad alzare l’asticella del sorriso, è in primo luogo una promozione o un percorso di carriera chiaro (29,1%), ma anche gestire in autonomia i tempi senza gli obblighi del cartellino (28%), e certamente un aumento (21,9%). Infine, un classico: un nuovo capo (12,6%) o nuovi colleghi (5,5%), a ricordare che il lavoro spesso lo fanno anche e soprattutto le persone. Uno stipendio più alto non è una leva sufficiente a rendere felice il lavoro o a giustificare un cambio: oggi l'impiego deve coniugarsi al meglio con la costruzione della sfera privata e fornire concrete possibilità di carriera nel lungo termine. Lo chiarisce anche il rapporto Decoding Global Talent di Bcg e The Network, dal titolo What Job Seekers Wish Employers Knew, che indaga periodicamente l’evolversi delle necessità dei lavoratori nel mondo. Il principio da cui partire, chiarisce il rapporto anche alla luce dell’ultima analisi, è ricordare che ci si confronta con degli esseri umani, con pari ambizioni e necessità. Attrarre e mantenere i talenti migliori oggi per le aziende non è affatto semplice, soprattutto considerata la necessità di stare al passo con le nuove priorità del mercato del lavoro. Bcg e The Network, l’alleanza globale che unisce i 60 migliori siti di recruitment al mondo, hanno condotto la principale ricerca globale sulle necessità e le preferenze dei talenti, intervistando più di 750mila persone in tutto il mondo dalla prima edizione del 2014. Nell’ultima edizione, è stato chiesto a 90mila persone in 160 Paesi cosa risulta più importante nella ricerca del lavoro e quali aspetti del percorso di assunzione risultano invece demotivanti. «Ricercare e scegliere i talenti migliori è sempre più difficile. Le aziende oggi affrontano grandi sfide e tempi complessi, che richiedono talento e costante capacità di apprendimento a tutti i livelli - sottolinea Monia Martini, Emc People and Hr Operations Executive Director di Bcg -. Ci si confronta spesso con professionisti ben consapevoli del proprio valore oltre che molto richiesti, ed è sempre più importante tener conto delle loro numerose esigenze». Il 74% del campione globale afferma di essere contattato più volte in un anno per delle nuove proposte di lavoro, con un 39% che afferma di ricevere offerte per nuovi impieghi anche a cadenza mensile. Ne consegue che il 68% dei lavoratori intervistati si sente in una posizione di forza, quando attiva una ricerca di lavoro. I lavoratori europei sono mediamente i più soddisfatti: il 45% afferma di non cercare una nuova posizione lavorativa, ma di essere comunque disposto a valutare alternative interessanti, contro il 41% a livello mondiale; il 42% invece, afferma di essere impegnato attivamente nella ricerca di un nuovo lavoro. Difficilmente un talento con una solida posizione lavorativa lascerà il suo posto senza un adeguato riconoscimento in busta paga. Tuttavia, la vera novità rispetto al passato è che anche questo oggi potrebbe non bastare. Per chi sta cercando di cambiare lavoro, infatti, non ci sono dubbi: la priorità che emerge dalla ricerca è il bilanciamento tra vita professionale ed esigenze private. Ben il 69% del campione globale e il 70% di quello europeo piazzano il work-life balance al primo posto nella classifica. Per chi viene contattato da agenzie di selezione o direttamente dalle aziende, la scala delle necessità cambia: il 65% del campione globale e il 59% di quello europeo, sono attratti principalmente da un miglioramento nello stipendio e nei benefit. Al secondo e terzo posto, con largo stacco, si cerca un avanzamento di carriera o una posizione con seniority più alta, poi c’è il work-life balance, con il 28% sia per il campione internazionale che per quello europeo. Va inoltre aggiunto il fatto che per il 60% dei talenti europei è importante la possibilità di avere una forma di lavoro ibrida e operare da remoto almeno per parte della settimana. «In fase di selezione è importante tenere sempre a mente che ogni persona, anche la più focalizzata sulla sfera professionale, ha una vita privata e vuole poter pianificare il proprio tempo in termini di avanzamento di carriera ed economico - precisa Martini -. Specialmente in determinate fasce d’età. Anche i più giovani, di solito particolarmente interessati a sviluppare esperienza e nuove competenze, non necessariamente attribuiscono minor valore a tutto ciò che non fa parte della dimensione strettamente professionale». L’equilibrio casa-lavoro viene tenuto in considerazione soprattutto dai profili fra i 30 e i 50 anni, fascia d’età che di solito corrisponde agli impegni familiari più vincolanti. Gli intervistati con oltre 60 anni sono disponibili a un impiego ad alto impatto, purché sia direttamente proporzionale al ruolo a loro riconosciuto e in aziende strutturate o enti governativi. Rimane, in ogni caso, l’imperativo di non trascurare l’offerta economica. Oltre all’offerta professionale, la ricerca di Bcg mette in evidenza come sempre più profili professionali prestino attenzione al modo in cui vengono reclutati. Ben il 52% degli intervistati nel mondo afferma di essere pronto a rifiutare un’offerta a fronte di un processo di selezione che non giudicano positivamente. Per evitare questo ostacolo, chi si occupa di selezione deve personalizzare il più possibile il colloquio di lavoro tenendo conto non solo del curriculum, ma anche della personalità e delle attitudini del candidato. Ciò significa costruire un clima di fiducia fin dal momento di valutazione e considerare non solo il titolo di studio e le precedenti esperienze lavorative, ma anche le predisposizioni personali come la motivazione e il potenziale che il soggetto potrebbe esprimere. Insomma cambiano le priorità dei dipendenti nella scelta o nel mantenimento di un posto di lavoro. Proprio l'emergenza sanitaria causata dal Covid rivela che una percentuale importante di dipendenti cerca più significato nella propria vita lavorativa: il 78% sarebbe addirittura disposto a prendere in considerazione un cambio totale di carriera. Questi i dati del Cegos Observatory Barometer Transformations, skills and learning realizzata dal Gruppo Cegos (377 rispondenti tra i professionisti Hr - di cui 60 italiani - e 4.001 dipendenti - 501 italiani - suddivisi tra sette Paesi: Italia, Francia, Germania, Spagna, Portogallo, Singapore e Brasile). Direttori ed Hr manager sono consapevoli del fenomeno e si stanno attivando per programmi di retraining, ma solo il 24% ha già implementato misure. Del resto lo sviluppo delle competenze è sempre più vitale per adattarsi alle trasformazioni in atto: in particolare per quella digitale (61%), quella legata alle nuove modalità di lavoro (52%) e quella sulla sicurezza informatica/cybersecurity (39%). Sono queste, infatti, le tre grandi sfide - seguite da Diversity & Inclusion e transizione ecologica - che avranno il maggior impatto secondo gli Hr manager, tanto che il 37% dei programmi di formazione implementati sono programmi di aggiornamento delle competenze (upskilling) o di riqualificazione (reskilling) e professionalizzazione (36%). C’è comunque una minore preoccupazione rispetto ai lavori a rischio obsolescenza per i prossimi tre anni; lo ritiene il 20% degli Hr (-25 punti rispetto al 2021 e solo il 12% in Italia) e vale anche per i dipendenti (il 23% teme di vedere scomparire il proprio lavoro, in calo del 7%). Oltre all’upskilling si stanno affermando anche approcci di reskilling per la mobilità interna, citati dal 60% degli Hr e da interpretare come possibile rimedio alle crescenti difficoltà nel reclutare e trattenere i talenti. Da segnalare poi come nove dipendenti su dieci siano disposti ad autoformarsi, un dato costante negli ultimi tre anni, e come il 64% senta lo sviluppo delle competenze una responsabilità condivisa tra azienda e lavoratore (59% degli Hr, +16% rispetto al 2021). Ma solo il 40% dei lavoratori ritiene che l’organizzazione soddisfi le proprie esigenze di formazione e il 42% che la risposta arrivi troppo tardi rispetto a quando si è manifestato il bisogno formativo. «Sono in atto molte trasformazioni sul lavoro e sono tutte legate allo sviluppo delle competenze: transizione ecologica, diversità e inclusione, futuro e significato del lavoro, impatti tecnologici sulle professioni, nuovi modelli di gestione. In queste sfide al centro vi sono l'occupabilità degli individui e le performance delle organizzazioni - conclude Emanuele Castellani, ceo di Cegos Italy & Cegos Apac -. Interessante notare come l'esperienza acquisita con la crisi sanitaria abbia per certi aspetti rassicurato le aziende sulla loro capacità di resilienza e di adattamento. Non va però abbassata la guardia; di fronte ai cambiamenti in atto e al crescente interesse dei dipendenti nello sviluppo delle proprie competenze, le organizzazioni devono essere in grado di offrire una gamma di opportunità di formazione, mobilità e riqualificazione dinamiche e chiare e devono renderle anche più visibili internamente per incoraggiare un maggiore coinvolgimento dei dipendenti. Un’attenzione particolare va riservata ai "serial learner" capaci di influenzare positivamente i colleghi e che potrebbero rappresentare una grave perdita di competitività se non ascoltati, soprattutto alla luce dell’impennata di dimissioni dell’ultimo anno, spesso legate alla ricerca di condizioni più vicine alle proprie aspettative e valori».

I cinque consigli per essere più felici

Secondo un dato rilevato dall’Osservatorio Glickon: nell’arco della nostra vita trascorriamo oltre 90mila ore lavorando. Ma, in questo tanto tempo che trascorriamo a lavoro, siamo davvero felici? Si parte da un presupposto: la relazione tra lavoro e felicità è necessaria per l’80% degli intervistati e per la quasi totalità (97%), essere felici, rende anche più produttivi. E poi, ci sono altri dati rassicuranti: ben oltre il 66% si dichiara contento della posizione che occupa. Per il 34% quella posizione rappresenta effettivamente ciò che sognava di fare, mentre il 37% si è adattato, ma si ritiene comunque soddisfatto e sereno. Non c’è quindi da stupirsi se il 46% affermi di essere disposto a cambiare il proprio lavoro, in nome della felicità, anche se dovesse rinunciare a qualcosa in termini economici o di benefit. Troverebbe così spiegazione il 65% che ha ammesso di aver vissuto “con felicità” le proprie dimissioni o il proprio licenziamento. Ma attenzione, seppur il detto “I soldi non fanno la felicità” risulti ancora valido, lo stipendio resta un parametro di felicità importante per il 62% dei partecipanti. Cosa ci rende però davvero felici del nostro lavoro? In cima a tutto le relazioni con i colleghi e l’ambiente lavorativo (30%), seguite dalle attività specifiche di cui ci si occupa (28%), e da flessibilità, benefit e stipendio (23%). Infine, la valorizzazione del talento e l’attenzione verso il proprio percorso di crescita (19%). Quic’è ampio margine di miglioramento, soprattutto oggi, che è in atto una vera e propria corsa ai talenti: le aziende dovranno essere sempre più attente non solo ad acquisire, ma anche a saper trattenere. Invece, come cambiano i fattori di felicità tra le varie generazioni? Per la Generazione Z e i Millennial, per esempio, la qualità delle relazioni e la sostenibilità del tempo delle persone è più importante (16%) rispetto alla Generazione X e ai Boomer (12%). Così come la trasparenza e l’etica della realtà per cui si lavora (15% vs 12%). Contrariamente per gli over 40 il benessere psico-fisico (25% vs 20%) risulta essere un elemento più importante insieme alla valorizzazione economica e i benefit (19% vs 17%). Quasi cross-generazionali invece: crescita e sviluppo personale (24% per under 40 vs 22% over 40), che per dato risulta essere il valore di maggior rilievo, e condivisione dei valori del brand o società per cui si lavora (6%). “Scegli un lavoro che ami, e non dovrai lavorare nemmeno un giorno della tua vita” resta il mantra del 67% degli intervistati, ma alla domanda “Riesci ad avere un buon work-life-balance tanto da renderti felice e serena/o?” Il panel si divide quasi a metà con una leggera maggioranza verso il “no” (51%). Glickon ha quindi chiesto a Monica Bormetti, psicologa del lavoro che si occupa di formazione e coaching su work-life balance e benessere digitale, 5 consigli per essere più felici o ritrovare la propria felicità partendo da noi stessi:

Fai dipendere la felicità dal tuo “centro" e non dalle condizioni esterne

Sentirsi “centrati” nella vita e rispetto al proprio lavoro è importante, ma a volte accade di sentirci fuori asse e questo crea una sensazione di frustrazione o tristezza. Questa centratura può però essere ricercata e coltivata partendo da noi stessi e non tanto dalle condizioni esterne, su cui spesso abbiamo meno margine d'azione. Un modo per farlo è, specialmente all'inizio della giornata lavorativa, orientando la propria mente agli elementi che per noi sono importanti e positivi, rispetto al lavoro in sé.

Coltiva gli ormoni della felicità con relazioni positive

Quando siamo felici il nostro cervello rilascia ormoni specifici, uno di questi è l’ossitocina, attivata negli scambi relazionali positivi. I livelli di ossitocina nel nostro cervello sono inversamente proporzionali a quelli del cortisolo, ormone dello stress. Ecco, quindi, che coltivare relazioni soddisfacenti al lavoro ha anche un effetto positivo sulla prevenzione dello stress.

Individua piccoli rituali di benessere per favorire il tuo work-life balance

A volte l'equilibrio dobbiamo trovarlo dentro di noi, anche quando il mondo intorno non ci aiuta. Inserire nella quotidianità dei piccoli rituali che ci fanno stare bene, è importante per sentirci più in equilibrio. Per esempio: 5 minuti la sera per bersi una tisana con calma, rientrare dal lavoro a piedi se siamo stati seduti tutto il giorno o usare la pausa pranzo per staccare davvero, anche se per poco.

Impara a trovare “il bello” nelle attività che svolgi

In tutti i lavori dobbiamo fare delle attività poco stimolanti, ma in realtà trovare il bello in ciò che facciamo è un elemento fondamentale per la felicità legata al lavoro. Quindi, un modo per rendere alcune attività più interessanti, è quello di focalizzarci su cosa possiamo apprendere o dall'attività stessa – e quindi accrescere le nostre capacità – o sul nostro “funzionamento” in relazione a quell’azione. Ad esempio, imparare a essere consapevoli del fatto che, attività minuziose e che riteniamo potenzialmente noiose, in realtà possono essere occasione di allenamento della nostra concentrazione e pazienza.

Accogli nel tuo percorso professionale le opportunità inaspettate

A volte, nella vita, scopriamo che situazioni inaspettate e non desiderate possono renderci felici: per questo è importante saper accogliere quelle opportunità che magari non avremmo cercato, ma si presentano lungo il percorso professionale. Avere quindi un atteggiamento di apertura, curiosità e sperimentazione può essere davvero utile.



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