domenica 5 novembre 2017
Una proposta radicale per garantire una somma a tutti a prescindere dalla condizione economica. Si tratta di "un investimento per contrastare miseria e ingiustizie".
L'economista Van Parijs: «Più equità per poveri e giovani»
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«In modo manifesto, la crescita non può rappresentare una soluzione strutturale alla disoccupazione». È una premessa centrale, non proprio ortodossa, che lungo i decenni ha alimentato la riflessione del belga Philippe Van Parijs sull’opportunità di correggere gli squilibri socio-economici contemporanei introducendo un reddito di base per tutti i cittadini di un Paese. Van Parijs è docente di etica economica e sociale all’Università cattolica di Lovanio (Belgio), oltre che professore invitato, nel tempo, presso prestigiosi atenei come Harvard, Oxford, l’Istituto universitario europeo di Firenze. Per Il Mulino, è appena uscito Il reddito di base. Sottotitolo: una proposta radicale. Un volume scritto assieme a Yannick Vanderborght.

Il reddito di base vuole rispondere alla crisi del welfare state? Tale crisi ha preso varie forme, ma la proposta di un reddito di base e il suo successo nel dibattito sono legati in effetti anche ai problemi odierni del welfare state, che mescola i due modelli storici dell’assistenza sociale verso i poveri e della previdenza sociale fondata sulla solidarietà fra i lavoratori in modo da fronteggiare rischi multipli, come malattie e invalidità. Benché diversi, i due modelli sono accomunati dal fatto di trasferire denaro focalizzandosi sulle persone non attive, come gli invalidi e i disoccupati. Tale focalizzazione può talvolta implicare il rischio d’incoraggiare la non attività, ovvero le cosiddette trappole della povertà e della disoccupazione.

Per lei il reddito di base non è un costo per la società, ma un investimento. Perché?
È un investimento, innanzitutto, come strumento efficace di lotta contro la miseria. Ma più in generale, lo è perché è un modo d’incoraggiare dei lavori che contengono una dose importante di formazione, spesso pagati poco, com’è il caso in particolare degli stage per i giovani. Oggi, in proposito, tali stage sono riservati a quei giovani privilegiati che possono essere sovvenzionati dalle famiglie. Per tutte le generazioni, il reddito di base permetterebbe di favorire un andirivieni molto più flessibile fra le sfere del lavoro, della formazione e delle attività non remunerate, soprattutto d’ordine familiare. Le nostre società ed economie hanno bisogno oggi di questo andirivieni continuo nel corso della vita.

Come fissare l’ammontare di questo reddito universale?
Nessuna sperimentazione parziale potrà fornirci delle risposte complete sulla sostenibilità di questo sistema. Pragmaticamente, occorrerà allora seguire la strada già percorsa dai due modelli storici di protezione sociale. Da una parte, cominciare con un livello molto modesto, diverso in funzione dei Paesi. Dall’altra, innestare il reddito di base nei sistemi assistenziali e di vantaggi fiscali già previsti, come il quoziente familiare. Concretamente, il livello modesto iniziale potrebbe situarsi fra il 10% e il 15% del prodotto interno lordo pro capite.

Ma si tratta davvero di una misura giusta, essendo il reddito concesso ai poveri come ai ricchi?
Se per giustizia intendiamo il fatto di retribuire ciascuno in funzione del proprio lavoro, il reddito di base migliorerà le cose, perché molte persone nelle nostre società fanno un lavoro indispensabile e non remunerato, come occuparsi dei figli, degli anziani, di una data comunità. Sempre secondo la stessa concezione della giustizia, il reddito di base permetterebbe di correggere le ingiustizie odierne legate alla gravosità di molti lavori. Infatti, nelle nostre società, vi è un legame perverso fra la qualità intrinseca del lavoro e il suo livello di remunerazione. I lavori più penosi sono generalmente meno retribuiti. Il reddito di base, in proposito, accresce il potere di contrattazione di coloro che ne hanno meno. Ma il reddito di base è compatibile anche con un’altra concezione della giustizia.

Quale?
Oggi ci rendiamo conto che l’ammontare dei nostri redditi è legato in gran parte a fattori diversi rispetto all’intensità dei nostri sforzi. I redditi sono legati molto più alle circostanze più o meno favorevoli in cui si esercita il lavoro. In tal senso, il reddito di base contribuisce a distribuire in modo meno ingiusto le rendite enormi di varia natura che ci giungono dal passato. Persino quei pochi che percepiranno il reddito di base senza far nulla potranno essere considerati difficilmente solo come passeggeri clandestini del sistema. Si può pensare invece che si tratti comunque di una distribuzione più equa di un’eredità generale legata ai progressi tecnologici e ad altri fattori storici. In generale, il reddito di base è legato all’idea della libertà reale degli individui come dimensione centrale della giustizia. Il reddito di base può contribuire a costruire un’alternativa all’utopia neoliberista di una sottomissione totale al mercato e all’utopia socialista di una sottomissione totale allo Stato.

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