giovedì 16 luglio 2009
Allarmanti i dati del rapporto Svimez. Tra il 1995 e il 2005 il Sud ha visto un aumento del Pil dello 0,3% mentre le altre zone «deboli» d'Europa sono cresciute del 3%. Giovani e manodopera in fuga: non c'è lavoro, né futuro.
  • L'ANALISI: Fermiamoci prima che sia tardi di G. Savagnone
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    Il mezzogiorno scivola nelle ultime posizioni della classifica europea e non riesce a recuperare terreno nei confronti delle regioni più sviluppate dell'Italia. È quanto emerge dal Rapporto sull'economia del Mezzogiorno elaborato dalla Svimez. In dieci anni, si legge nel Rapporto, dal 1995 al 2005, le regioni meridionali sono sprofondate nella classifica europea, situandosi in posizione comprese tra 165 e 200 su un totale di 208. Un processo «in decisa controtendenza con le altre aree deboli Ue, che sono cresciute mediamente del 3% annuo dal 1999 al 2005, mentre il Sud si è fermato a +0,3%».A livello nazionale la dinamica dell'economia meriodionale mostra un andamento stagnante rispetto a quella del Centro-Nord con un gap che non si riduce. A testimonianza di questo, il fatto che nel 1951 nel Mezzogiorno veniva prodotto il 23,9% del Pil nazionale. Sessant'anni dopo, nel 2008, la quota è rimasta sostanzialmente immutata (23,8%). «Dal 1951 al 2008 - sottolinea la Svimez - il Sud ècresciuto circa agli stessi ritmi del Centro-Nord, ma non è riuscito e non riesce a recuperare il gap di sviluppo». Il PIL per abitante al Sud è pari a 17.971 euro, il 59% del Centro-Nord (30.681 euro) con una riduzione del divario di oltre 2 punti percentuali dal 2000 "dovuta solo alla riduzione relativa della popolazione».In 700mila hanno lasciato il Sud per il Nord negli utlimi 10 anni. Non si ferma il fenomeno dell'emigrazione dal Sud verso le zone più sviluppate del Paese, fenomeno che fa del Mezzogiorno italiano "un caso unico in Europa" in cui la carenza di domanda di professioni di qualità spinge i migliori "cervelli" a cercare fortuna al Centro-Nord. È quanto segnala il Rapporto sull'economia del mezzogiorno 2009 dello Svimez. L'Italia, si legge nello studio, "continua a presentarsi come un Paese spaccato in due sul fronte migratorio: a un Centro-Nord che attira e smista flussi al suo interno corrisponde un Sud che espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla con pensionati, stranieri o individui provenienti da altre regioni" mentre è "la carenza di domanda di figure professionali di livello medio-alto a costituire la principale spinta all'emigrazione". Tra il 1997 e il 2008 circa 700mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno. Nel solo 2008 sono oltre 122mila i residenti delle regioni del Sud partiti verso le regioni del Centro-Nord a fronte di un rientro di circa 60 mila persone. Oltre l'87% delle partenze ha origine da Puglia, Sicilia e Campania. In quest'ultima regione si registra l'emorragia più forte (-25 mila), a seguire Puglia e Sicilia rispettivamente con 12,2 mila e 11,6 mila unità in meno. Da considerare anche il fenomeno dei "pendolari di lungo raggio" che nel 2008 sono stati 173.000, 23mila in più rispetto al 2007. Persone residenti nel Mezzogiorno ma con un posto di lavoro al Centro-Nord o all'estero, "cittadini a termine", come li definisce la Svimez, che rientrano a casa nel week end o un paio di volte al mese.
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