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A Camaçari, nello Stato di Bahia, BYD ha rilevato un ex impianto Ford facendone un hub in grado di sfornare ad oggi 150mila automobili l’anno - Reuters
«Il 2025 sarà l’anno dell’auto elettrica cinese in Brasile». Così scrive sulla Folha de Sao Paulo Igor Patrick, corrispondente del quotidiano brasiliano a Pechino e docente dell’Accademia Yenching e dell’università Tsinghua. «La Cina sta vincendo la sfida globale delle auto elettriche e sta facendo del Sudamerica il suo laboratorio. Intanto perché vi procura le materie prime necessarie, a partire dal litio fino al niobio, metallo rarissimo che può rivoluzionare la mobilità green portando a soli 5 minuti il tempo di ricarica di una vettura a batterie. E poi perché vi fabbrica e vende le sue automobili, inondando il mercato locale a discapito delle case occidentali. Non solo in Sudamerica, peraltro: basti infatti pensare che in Norvegia, Paese leader mondiale per diffusione delle auto elettriche (sono il 90% di tutte quelle vendute nel 2024) e che a differenza dell’Ue non applica dazi, Pechino ha raggiunto una quota di mercato del 10%, con marchi fino a poco fa sconosciuti come MG, BYD, Polestar e XPeng».
Non applica dazi – almeno per ora - nemmeno il Brasile di Lula, che anzi in ottica Brics strizza sempre più l’occhio all’alleato asiatico, di cui è primo partner commerciale.
«Vivo negli Usa – scrive Patrick – e non avevo idea di cosa fosse un‘auto cinese, ma tornando nella mia città natale in Brasile, un piccolo centro da 40mila abitanti, ho visto sfrecciare decine di BYDs Dolphin e GWMs Haval H6». Gradualmente, le imposte sull’importazione di questi prodotti dovrebbero tornare (tra il 18% e il 25%) su pressione dell’associazione che rappresenta le major tradizionali, compresa Stellantis, che temono il dumping. Ma secondo l’esperto «le imprese cinesi continueranno ad essere competitive e a scommettere forte sul Brasile, nonostante il ritardo infrastrutturale». Particolarmente attiva in Brasile è BYD, leader del mercato cinese con oltre 4 milioni di veicoli venduti nel 2024, su un totale di 11 milioni di automobili elettriche o ibride vendute in Cina l’anno scorso (il 47% dell’intero mercato auto).
A Camaçari, nello Stato di Bahia, BYD ha rilevato un ex impianto Ford facendone un hub in grado di sfornare ad oggi 150mila automobili l’anno. Nello stabilimento a 50 km dalle spiagge di Salvador l’azienda di Shenzhen ha promesso l’assunzione di 10mila persone entro agosto, ma ha dovuto superare lo scorso dicembre lo scandalo di 163 suoi dipendenti trovati dagli organi di controllo brasiliani in condizioni di lavoro analoghe alla schiavitù. BYD (che sta per “Build Your Dream”) ha scaricato la colpa sulla ditta appaltatrice Jinjiang Construction Brazil, sempre cinese, e ha prontamente rescisso il contratto. Gli impiegati erano anche loro tutti cinesi ed è stato provato che lavorassero in condizioni degradanti: fino a 12 ore al giorno, senza documenti e con un solo bagno per ogni 31 dipendenti.
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Reuters
BYD non ha potuto evitare che il caso diventasse politico, con il governo brasiliano che ha temporaneamente sospeso la concessione di visti per lavoro dalla Cina. Tuttavia la pace è stata presto fatta: le assunzioni promesse nel 2025 fanno comodo eccome al Paese ospitante, in chiave occupazione e soprattutto reindustrializzazione, dato che la manifattura in Brasile vale ormai solo il 15% del Pil, contro il 33% di 40 anni fa.
BYD giungerà ad una capacità produttiva di quasi mezzo milione di veicoli l’anno, e sulla sua scia si stanno attrezzando pure le connazionali: GWM sarà in grado di più che raddoppiare la produzione annua da 20.000 a 50.000 automobili, mentre Foton, prima azienda di veicoli commerciali della Cina, è leader in Sudamerica nel segmento degli autobus elettrici o a idrogeno.
La scommessa brasiliana sta innescando un effetto domino su tutto il continente al punto che persino in Messico, a pochi passi dagli Usa, le cinesi BAIC, JMC, Changan e BYD stanno conquistando il segmento del lusso, a discapito delle rivali statunitensi e pure delle europee, in grande difficoltà. La sola Audi, nel 2024, ha ridotto le vendite del 22%. «Le aziende europee – sintetizza Patrick – stanno pregando affinché l’accordo Ue-Mercosur diventi effettivo. Altrimenti non sopravvivranno alla concorrenza asiatica».