mercoledì 12 marzo 2025
Meno della metà dei lavoratori europei è soddisfatto del luogo in cui lavora. L’Italia fanalino di coda. In aumento lo stress tra i dipendenti: ne soffre il 58% delle donne
Sempre più aziende cercano di combattere lo stress

Sempre più aziende cercano di combattere lo stress - Efi

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Secondo la ricerca Randstad Workmonitor 2025, condotta in 35 Paesi su un campione di circa 26.800 intervistati, 756 dei quali solo in Italia, emerge anche a livello nazionale una nuova concezione: i talenti di oggi si aspettano che il lavoro sia allineato ai loro valori, alle loro ambizioni e alle circostanze di vita. L’87% degli intervistati, inoltre, non è disposto a tollerare un'occupazione non compatibile con il piacere di vivere. Il 60% dei rispondenti, poi, ha dichiarato che cercherebbe un nuovo impiego se si sentisse inascoltato dal proprio datore, mentre il 57% sarebbe disposto a sacrificare il proprio posto se vissuto con disagio. Dai dati elaborati nell’indagine di Great Place to Work, condotta tra 25mila collaboratori rappresentativi di 19 Paesi europei, emerge che l'Italia è all’ultimo posto (dietro anche a Cipro, Polonia e Grecia) in termini di soddisfazione dei collaboratori: solo il 43% dei dipendenti italiani, infatti, considera il proprio ambiente di lavoro come ottimo, contro una media europea che si attesta al 59%. Fanno eccezione i Paesi come Danimarca, Norvegia e Svezia, i cui livelli di soddisfazione superano anche il 70%. Le ricerche parlano chiaro: un ambiente positivo incide direttamente sulla performance. Secondo la ricerca Future of Work Trends 2024, realizzata dall’Osservatorio sul futuro del lavoro di Radical Hr, le aziende che investono sul benessere ottengono un incremento fino al 25% della produttività e una maggiore innovazione. Eppure, il 50% dei lavoratori europei si sente sottovalutato e solo il 42% ritiene che la propria azienda supporti realmente il benessere.

«In un mondo del lavoro in continua evoluzione – spiega Kevin Giorgis, presidente di Efi-Ecosistema Formazione Italia – il benessere delle persone ha un ruolo cruciale, che non può essere sottovalutato perché incide direttamente sulle perfomance e quindi sul business. Creare un ambiente di lavoro positivo, indispensabile anche in ottica di talent attraction e retention, non è soltanto una scelta etica, ma una strategia vincente per migliorare la produttività e la competitività. E proprio per promuovere questa cultura del benessere in azienda, da metà febbraio toccheremo alcune delle città più importanti in Italia, insieme a partner d’eccezione come Great Place to Work, Randstad, Radical Hr, Omm, Awair, per condividere strategie e idee che possano aiutare le imprese a creare un ambiente di lavoro sano e dal quale le persone non vogliono fuggire».

«Negli ultimi tempi – aggiunge Stefano Marchese, vicepresidente di Efi – la scala valoriale dei lavoratori è completamente cambiata: lo stipendio, che naturalmente rappresenta un aspetto determinante, da solo non è più sufficiente per tenere alto il morale dei lavoratori, ingaggiarli e tenerli a bordo. Le persone, oggi, desiderano sentirsi apprezzate, ascoltate e supportate. Dovremmo imparare da Paesi come Olanda, Danimarca, Norvegia, Finlandia, Svezia e Svizzera, che sono modelli di riferimento in termini di cultura aziendale, e intervenire concretamente, anche in Italia, implementando azioni e programmi che possano davvero migliorare l’ambiente di lavoro e la soddisfazione dei lavoratori. Il 3 e 4 aprile, a Roma, in occasione dell’Innovation Training Summit avremo l’occasione di ragionare e confrontarci anche su questi aspetti ormai decisivi per le aziende».

«Un ambiente di lavoro positivo – afferma Fabio Cutrera, di Omm Business - migliora la motivazione, la produttività e la soddisfazione all'interno delle organizzazioni Questi incontri offrono ai partecipanti un'occasione unica per scoprire strategie efficaci e applicabili al contesto aziendale ed esplorano come il benessere personale influisce sulla performance lavorativa, oggi elemento imprescindibile all’interno delle organizzazioni che vogliano essere efficaci ed efficienti in un mercato sempre più stressante e competitivo».

«Fino a qualche tempo fa – dichiarano Paola Cernò e Francesco Tomba di Awair, società che si occupa di Talent Management con servizi di Assessment e Development– i concetti di work-life balance e di work-life integration viaggiavano su binari paralleli. Oggi, però, il paradigma è cambiato: il benessere delle persone in azienda passa attraverso l’affermazione della propria identità e della propria sensibilità. Questo significa aver la possibilità di portare in azienda la migliore versione di sé, ed essere visti, ascoltati e apprezzati nella propria unicità. Non basta più svolgere bene le mansioni del proprio ruolo e raggiungere i risultati attesi per sentirsi felici sul posto di lavoro, ma è altrettanto indispensabile una piena realizzazione della persona all'interno dell'organizzazione in un ambiente in cui tutti possano crescere».


Le quattro leve del benessere organizzativo

Per analizzare e condividere quali siano le strategie migliori per favorire il benessere delle risorse, Efi-Ecosistema Formazione Italia ha promosso un tour per condividere le buone pratiche per prendersi cura delle persone in azienda. Ambiente inclusivo, equilibrio vita professionale – vita privata, ascolto attivo e formazione: sono le quattro leve identificate per favorire il benessere in azienda e fuori:

1. Promozione di un ambiente di lavoro inclusivo e collaborativo: creare un'atmosfera in cui ogni dipendente si senta valorizzato e rispettato è fondamentale. Ciò include la promozione della diversità e dell'inclusione, incoraggiando la socializzazione tra colleghi e facilitando attività di team building che rafforzino le relazioni interpersonali.

2. Bilanciamento vita professionale – vita privata: implementare politiche flessibili che consentano alle persone di gestire meglio il proprio tempo tra lavoro e vita privata, come ad esempio lavoro da remoto, orari flessibili o programmi di benessere.

3. Ascolto attivo: stabilire canali di comunicazione aperti e trasparenti in cui tutti possano esprimere le proprie preoccupazioni o i propri suggerimenti. È essenziale che i manager prendano in considerazione i feedback ricevuti e agiscano di conseguenza, dimostrando un interesse reale per la soddisfazione dei dipendenti.

4. Investimento nella formazione e nello sviluppo professionale: offrire opportunità di formazione continua e sviluppo professionale è vitale per il benessere dei dipendenti. Questi programmi non solo aumentano le competenze e la motivazione, ma dimostrano anche quanto l’azienda tenga alla crescita personale e professionale e investa sulle persone.

In aumento lo stress per dipendenti...
I moderni posti di lavoro si trovano di fronte a un bivio. L’aumento dello stress tra i dipendenti, l’escalation delle tensioni politiche e la crescente pressione sul rendimento lavorativo stanno dando una nuova forma alle organizzazioni mondiali. Workplace Options, leader mondiale nel settore del coinvolgimento e dell'empowerment dei dipendenti, e il Wpo Centre for Organizational Effectiveness hanno pubblicato l’annuale Studio sulla sicurezza psicologica. I risultati dello studio rivelano come i dipendenti, in 18 Paesi, stiano lottando in modi che, se non affrontati, potrebbero definire il futuro del lavoro per le generazioni future.

«I leader aziendali e i responsabili del personale si trovano di fronte a una domanda urgente: saranno in grado di creare una forza lavoro attiva e sicura a livello psicologico o consolideranno una cultura di stress e instabilità? - sottolinea Alan King, presidente e ceo di Workplace Options -. La sicurezza psicologica, vale a dire la convinzione che i dipendenti possano esprimersi senza temere conseguenze negative, non è più solo un vantaggio sul posto di lavoro. È una necessità aziendale».

Lo studio evidenzia che lo stress, i conflitti e le difficoltà a livello di rendimento lavorativo hanno la meglio, in tutto il mondo, sulle preoccupazioni nei posti di lavoro. I risultati principali includono:

  • Lo stress sul posto di lavoro è la principale preoccupazione in quasi tutti i Paesi esaminati.
  • I conflitti lavorativi costituiscono un problema molto diffuso, soprattutto in Cina, Francia e Giappone.
  • A livello globale, la pressione sul rendimento lavorativo è in aumento, tanto che i dipendenti dichiarano di non riuscire a soddisfare le aspettative.
  • I giovani adulti sono afflitti dalla sindrome da burnout, un’allarmante situazione sul futuro del benessere della forza lavoro.

«Il nostro studio è un campanello d’allarme. Se le organizzazioni non danno ora priorità alla sicurezza psicologica, la prossima generazione dovrà fare i conti con una forza lavoro definita da stress, conflitti e disimpegno - sostiene la dottoressa Kennette Thigpen Harris -. I Millennial hanno assunto ruoli decisionali; pertanto, l’opportunità di costruire una cultura sul posto di lavoro definita da fiducia, rispetto, collaborazione e benessere non è mai stata così urgente».

Le organizzazioni che non si occupano di sicurezza psicologica spesso sperimentano:

  • Tassi di turnover più elevati, poiché i dipendenti cercano posti di lavoro che diano priorità alla loro salute e al loro benessere mentale.
  • Diminuzione della produttività a causa di conflitti e stress irrisolti sul posto di lavoro.
  • Una forza lavoro disimpegnata, per la quale i dipendenti non si sentono ascoltati né supportati. ... e per i professionisti Su un totale di 16.881 professionisti e professioniste che si sono rivolti al servizio di consulenza socio-assistenziale di Stimulus Italia nel 2024, il 36,6% ha chiesto un aiuto per un problema legato alla disabilità. Più di tre persone su dieci avevano bisogno di un supporto – orientativo o di assistenza – per una condizione di disabilità propria o, nella maggior parte dei casi, di un familiare. Nel 35,7% dei casi, le donne che hanno chiesto aiuto in ambito socio-assistenziale appartengono alla generazione sandwich, tra i 40 e i 49 anni: sono professioniste, mamme, che dopo una giornata in ufficio affrontano impegni gravosi anche a casa, accudendo i figli e i genitori anziani. Sono alcuni dei dati emersi dal report di Stimulus Italia, società di consulenza specializzata nell’integrazione del benessere psico-sociale nei contesti aziendali, in merito alle attività Eap-Employer Assistance Program, un programma che comprende supporto psicologico individuale, ma anche orientamento di tipo sociale, legale e fiscale. In un anno, il programma ha coinvolto 16.881 persone e ha svolto 474 consulenze su temi socio-assistenziali. L’area sociale è in crescita nei servizi Eap, segno di un bisogno delle famiglie che non riesce ad essere soddisfatto in altri contesti. «Si rivolgono a noi parenti stretti di un minore con una condizione di disabilità o di un anziano con malattie gravi, non autosufficiente - commenta Veronica Preti, Social Care Specialist di Stimulus Italia -. Preoccupate e gravate dalla malattia del familiare, spesso le persone hanno difficoltà a gestire incombenze crescenti nel lavoro di cura; a volte non sanno come orientarsi per adempiere a procedure burocratiche, fare richiesta di esenzioni, indennità o servizi di assistenza pubblica. In una società nella quale il sistema di welfare, anche quando c’è, è di difficile accesso, non stupisce che, allora, la generazione sandwich si senta “schiacciata” per l’eccessivo lavoro di cura. Un peso che ha ripercussioni sul benessere complessivo delle persone, anche in ufficio, e si somma ai ritmi e agli impegni professionali». Anche nel caso delle consulenze di Stimulus Italia in ambito lavorativo, emerge che il 21% delle richieste abbia come argomento il carico mentale. Almeno due professionisti su dieci lamentano una pressione dovuta a un aumento delle responsabilità o dei ritmi e delle attività di lavoro. Oltre alle donne, una categoria che emerge come maggiormente esposta al malessere è quella dei giovani: il 16,1% dei professionisti, nella fascia di età tra 20 e 29 anni, ha chiesto un supporto psicologico. Per Diego Scarselli, Operations Manager di Stimulus Italia, «il carico mentale è una delle sfide chiave nel mondo del lavoro attuale, legata a ritmi lavorativi sostenuti, a risorse organizzative non sempre presenti e a carichi di cura. Sempre più professionisti si trovano a gestire responsabilità familiari e lavorative senza strumenti adeguati, rischiando di sviluppare elevati livelli di stress o condizioni di burnout. I nostri dati dimostrano quanto il carico mentale impatti sul benessere e sulla motivazione delle persone, aumentando la probabilità di fenomeni come il quiet quitting e il turnover». Mentre per Andrea Bertoletti, Managing Director di Stimulus Italia, «i dati emersi dal nostro report confermano che il benessere psicologico e il supporto sociale sono aspetti imprescindibili della vita professionale e personale. Il programma Eap nasce proprio per dare una risposta ai bisogni più ampi di professionisti e professioniste». Ne soffre il 58% delle donne Ritmi frenetici, carichi di lavoro importanti e mancanza di soddisfazione per le lavoratrici italiane. È il quadro che emerge da un sondaggio di Indeed che ha preso in esame il tema del benessere sul posto di lavoro. Dall’indagine, che ha coinvolto 1.000 persone di età maggiore di 18 anni interessate a nuove possibilità di occupazione, è emerso che, tra stress e difficoltà, meno di una donna su cinque (19%) sente di riuscire a prosperare sul lavoro. Una tendenza che, seppur trovi conferma nell’esperienza dei colleghi uomini (31%), si rivela più marcata per l’universo femminile. Quali le cause? Con il 49% delle donne occupate che ritiene di essere sottopagata, la mancanza di un giusto compenso (48%) è in cima alla lista delle cause indicate da chi sente di non riuscire a esprimere tutto il proprio potenziale e a realizzarsi sul lavoro. La mancanza di apprezzamento (42%) e di soddisfazione (35%) seguono nella classifica delle motivazioni più ricorrenti. C’è anche chi dice di non riuscire a dare il massimo perché si sente infelice (24%) o perché non prova senso di appartenenza (18%). A pesare particolarmente lo stress. Il 58% delle donne occupate dichiara di soffrirne almeno 2-3 giorni a settimana, mentre per il 30% è addirittura una problematica di tutti i giorni. Il 24% delle lavoratrici partecipanti al sondaggio dichiara di sperimentare quotidianamente sensazioni di difficoltà, mentre il 19% di chi non riesce a prosperare lamenta mancanza di supporto da parte dei propri manager. Nella classifica dei punti dolenti che minano il benessere sul posto di lavoro, per le lavoratrici spiccano i carichi eccessivi (39%), lo scarso riconoscimento (36%) e un work life balance molto spesso insoddisfacente (28%). La mancanza di flessibilità (18%), in particolare della possibilità di lavorare da remoto, e un eccessivo numero di riunioni (14%) completano il quadro. Cosa chiedono, dunque, le lavoratrici ai propri datori di lavoro? Un miglior pacchetto retributivo (da intendersi in termini di salario, ma anche di benefit) è fondamentale per il 58%. Seguono una maggiore flessibilità (35%), maggior attenzione nel creare ambienti di lavoro caratterizzati da benessere (35%) e supporto per la progressione nella carriera (30%). «Creare un ambiente di lavoro positivo, inclusivo e rispettoso, dove ogni persona si senta valorizzata, supportata e al sicuro, è essenziale per il successo di ogni organizzazione - dichiara Gianluca Bonacchi, Senior Talent Strategy Advisor di Indeed -. Allo stesso tempo, puntare su iniziative che promuovano la flessibilità, l'equilibrio tra vita privata e lavoro e il riconoscimento professionale è il miglior investimento possibile sia per le imprese, sia per i lavoratori. Quando i dipendenti si sentono bene, sono più produttivi, creativi e motivati. Questo si traduce in una maggiore fidelizzazione dei talenti, una migliore performance e, in definitiva, in risultati più solidi».


Libri e dibattiti sul benessere

Simona Vinzi, sociologa, è autrice de La competenza umana. Risonanze interiori del benessere (Bonanno editore). Un libro nuovo nel panorama delle pubblicazioni in materia: introduce, per la prima volta, la nozione di "competenza umana" superando ogni definizione tecnocratica e restrittiva del sapere professionale; analizza, con un approccio multidisciplinare, l'interazione tra ambiente fisico e sociale, sapere ed emozioni; offre una rappresentazione inedita della complessità del lavoro nella sua dimensione organizzativa e nelle sue dinamiche interpersonali. Strutturato in due parti principali, esplora, nella prima, la dialettica tra la trasformazione digitale e l'intelligenza emotiva, nonché l'importanza del contesto sociale; mentre la seconda è dedicata alla generazione di consapevolezza, per chiarire come il coaching possa sostenere lo sviluppo e la realizzazione della persona promuovendo una naturale predisposizione al cambiamento e al benessere. Scritto con un approccio teoricamente fondato e pienamente concreto, invita il lettore a riflettere sul significato dell'esperienza di lavoro in stretta connessione con il percorso di vita, esortandolo a intraprendere una ricerca di senso nel perseguire i propri obiettivi. Una risorsa per chiunque desideri approfondire e sviluppare le proprie capacità, sul piano personale e professionale. Il benessere personale rappresenta, oggi, la leva fondamentale per un cambiamento sostenibile. Le nuove generazioni stanno riscrivendo le priorità nel mondo del lavoro, promuovendo valori come diversità, inclusione e integrazione. Questo movimento riflette un’esigenza profonda: trasformare il lavoro da semplice funzione economica a esperienza capace di arricchire il benessere complessivo. Purtroppo, molte organizzazioni faticano ancora a rispondere a questa evoluzione. Modelli gestionali obsoleti e pregiudizi radicati costituiscono ostacoli rilevanti. Per superare tali barriere, è cruciale riconoscere che il cambiamento nasce dal singolo individuo. È necessario un cambiamento e capire che la ricerca del benessere è un percorso che richiede fiducia, consapevolezza e un impegno concreto e responsabile.

Mentre Marina Capizzi è l'autrice di Non morire di gerarchia (Franco Angeli). In famiglia, a scuola e nell’ambiente di lavoro ci possiamo sentire psicologicamente sicuri oppure no. Se percepiamo sicurezza psicologica, ci esponiamo per condividere idee, dubbi, paure, desideri, errori. Altrimenti tacciamo. Non diciamo “non sono d’accordo”, non facciamo proposte diverse, non chiediamo aiuto e ci teniamo per noi timori e fallimenti. Perché? Perché temiamo che esponendoci saremo giudicati negativamente (ad es., presuntuosi, stupidi, incompetenti, deboli) e non vogliamo correre il rischio di essere umiliati, puniti e marginalizzati. E così, in bilico tra “lo dico o non lo dico?”, se non percepiamo sufficiente sicurezza psicologica, scegliamo il silenzio. Questi piccoli gesti di rinuncia quotidiana hanno un impatto gigantesco sulla qualità degli ambienti sociali in cui spendiamo la nostra vita. La scelta di tacere per il timore di assumerci un rischio relazionale troppo grande, infatti, limita la capacità di apprendere, di collaborare per trovare soluzioni, coltiva il malessere e insane zone di confort riducendo drasticamente il nostro potenziale di crescita individuale e collettivo. Purtroppo, l’“epidemia del silenzio” è una malattia sociale diffusa e invisibile. La sicurezza psicologica è l’antidoto. In famiglia, ad esempio, la percezione di un ambiente sicuro consente un dialogo trasparente tra tutti i componenti, aiuta ad affrontare argomenti difficili con minore fatica e a superare l’isolamento e la solitudine quando si vivono situazioni critiche o rischiose. Anche in classe, se c’è sicurezza psicologica, gli studenti sono stimolati a non tenere per sé le proprie difficoltà di apprendimento e di relazione, e questo supporta la loro evoluzione cognitiva e relazionale evitando che la scuola diventi un vivaio di futuri cittadini guidati dalla paura. Per quanto riguarda l’ambiente di lavoro, le ricerche di Amy Edmondson, docente di Harvard che ha reso famoso in tutto il mondo il concept della sicurezza psicologica, mostrano come la sua presenza o assenza contribuisca al successo o al fallimento dell’impresa. Nelle aziende in cui non c’è sicurezza psicologica, infatti, le persone non prendono iniziativa, non amano assumersi responsabilità, non si adoperano per cogliere opportunità, tacciono di fronte alle criticità e tendono a fare le cose come le si è sempre fatte, con il rischio di prendere decisioni sbagliate per assenza di contraddittorio. Le aziende che investono sulla sicurezza psicologica, invece, creano un ambiente di lavoro stimolante dove le persone possono esprimersi per contribuire ai risultati comuni, condividere gli errori per imparare e innovare. La possibilità di dare il proprio contributo, inoltre, attrae e trattiene i giovani e favorisce la motivazione e la crescita di tutti. Tante famiglie, scuole e imprese fanno molti sforzi per migliorare la comunicazione e la collaborazione, spesso con risultati non soddisfacenti. Investire sulla sicurezza psicologica significa investire sul terreno per fare attecchire questi sforzi.



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