.jpg?width=1024)
Imagoeconomica
È possibile imporre dazi commerciali invocando una legge “di emergenza” economica che parla di embarghi e sanzioni ma che i dazi non li nomina nemmeno? Ed è possibile giustificare quegli stessi dazi sostenendo che il persistente deficit commerciale con gli altri Paesi, lì da decenni, sia un’emergenza? Secondo tre giudici della Corte federale per il commercio internazionale di Manhattan la risposta ad entrambe le domande è no. Donald Trump, quindi, non ha alcuna autorità di imporre quei dazi che hanno fatto schizzare i prezzi delle importazioni negli Stati Uniti, hanno mandato in pezzi le relazioni commerciali multilaterali e dato il via a una prova di forza di Washington con mezzo mondo, a partire da Cina e Unione Europea. Poche ore dopo anche il giudice di Washington, Rudolph Contreras, ha preso una decisione analoga, sospendendo le tariffe per due settimane. Ma, a metà giornata, la Corte d’appello Usa ha deciso di consentire che i dazi di Trump restino per ora in vigore.
Eccolo, quindi, il nuovo scontro tra il miliardario repubblicano e la giustizia. Perché Trump, sul nodo dazi, non ha certo intenzione di fermarsi, consapevole che lo stop rappresenta da un lato un danno d’immagine perché colpisce una misura simbolo, e dall’altro una decisione che sottrae agli Usa una leva negoziale importante nei confronti degli altri Paesi. Che, però, al momento sembra restare in piedi. Così, mentre da Pechino arrivavano nuovi appelli a fermare tariffe «unilaterali e ingiustificate», l’Amministrazione Usa presentava subito ricorso contro la sentenza del tribunale newyorchese. «Non spetta a giudici non eletti decidere come affrontare adeguatamente un’emergenza nazionale – ha sottolineato il portavoce della Casa Bianca –. Il presidente Trump si è impegnato a mettere l'America al primo posto e l'amministrazione è determinata a utilizzare ogni leva del potere esecutivo per affrontare questa crisi e ripristinare la grandezza americana».
Tutto è nato da un'iniziativa del gruppo Liberty Justice Center in rappresentanza di cinque piccole imprese, come Vos Selections (un’azienda di importazione di vini con sede a New York), che hanno denunciato di essere state danneggiate dai dazi e da dodici stati americani, Oregon in testa. Nello specifico, la sentenza riguarda i dazi del 30% contro la Cina, del 25% sulle merci importate da Messico e Canada e quelli annunciati da Trump il 2 aprile, nel “Giorno della liberazione”, sulla maggior parte dei beni che arrivano negli Usa, ora in pausa fino a luglio. Non riguarda, invece, le misure tariffarie al 25% su auto e componenti, acciaio e allumino, imposti in nome del Trade Expansion Act. I giudici si sono pronunciati a favore di una “ingiunzione permanente”, bloccando le misure tariffarie annunciate in nome dell’International Emergency Economic Powers Act prima ancora dei possibili accordi con i partner commerciali degli Usa, e hanno indicato un periodo di dieci giorni «per rendere effettiva l’ingiunzione». La legge del 1977 a cui Trump si era riferito per i dazi conferisce al presidente il potere di identificare minacce che abbiano origine al di fuori degli Stati Uniti e non era mai stata invocata prima sulle tariffe. Stando alla decisione della Corte di Manhattan, il presidente non ha l’autorità di applicare dazi in modo unilaterale. Una decisione poi ribaltata, però, dalla Corte d’appello.
Secondo Everett Eissenstat, vicedirettore del Consiglio Economico Nazionale durante il primo mandato di Trump, la decisione «ha un impatto drammatico sulle dinamiche a breve termine relative all’agenda tariffaria e commerciale del presidente. La storia è tutt’altro che conclusa, ma oggi si apre un capitolo significativo nella sua evoluzione». Gli avvocati del Dipartimento di Giustizia hanno provato a difendere con fermezza la legalità della strategia di Trump, ribadendo alla Corte che non aveva il diritto di esaminare le azioni del presidente, una posizione che ha sconcertato i giudici più volte nel corso di settimane di discussioni. La tensione è emersa ripetutamente nei giorni scorsi quando una coalizione di 12 stati, guidata dall'Oregon, ha chiesto ai giudici di emettere un'ingiunzione permanente che avrebbe bloccato i dazi.
«Il presidente ha identificato l’emergenza e ha deciso i mezzi per affrontarla», ha dichiarato alla corte Brett Shumate, avvocato del Dipartimento di Giustizia, che ha aggiunto che l’obiettivo dei dazi era quello di «portare i nostri partner commerciali al tavolo» e creare una leva politica per un possibile accordo. «Potrebbe essere un piano molto ingegnoso, ma deve rispettare la legge», ha risposto la giudice senior Jane A. Restani, nominata alla Corte commerciale dal presidente Ronald Reagan.
Trump aveva imposto dazi su Paesi come Canada, Cina e Messico, citando minacce come l'immigrazione e il traffico di oppioidi. Ha inoltre sostenuto che i dazi avrebbero dato impulso all'industria manifatturiera statunitense, ridotto il deficit federale e fatto pressione su altri Paesi per ottenere accordi commerciali più favorevoli agli Stati Uniti. Il 2 aprile Trump aveva annunciato l'introduzione di dazi doganali nei confronti di gran parte dei partner commerciali, con un'aliquota base del 10% e dazi più elevati per la Cina e l'Ue. Successivamente ha sospeso alcune delle tariffe più elevate in attesa dei negoziati con i singoli Paesi per raggiungere «90 accordi in 90 giorni», riuscendo però finora a concludere solo un’intesa la Gran Bretagna e una temporanea riduzione dei dazi alla Cina. Con lo stop ai dazi, il potere negoziale di Washington rischia inevitabilmente di ridursi.
La sentenza della Corte statunitense è stata accolta con euforia dai mercati globali. A Wall Street i future si sono impennati, il dollaro e i rendimenti del Tesoro sono saliti. Precedentemente alla sentenza, Trump aveva intimato alle aziende statunitensi che offrono software per la progettazione di semiconduttori di smettere di vendere i loro servizi ai gruppi cinesi, solo l’ultimo tentativo dell'amministrazione Usa di rendere più difficile per la Cina sviluppare chip avanzati. Il portavoce del ministero del Commercio cinese, He Yongqian, è tornato ieri a chiedere a Washington di «annullare completamente i dazi unilaterali e ingiustificati». «Non ci sono vincitori in guerre dei dazi o guerre commerciali – ribadiscono da Pechino –. Il protezionismo fa male agli interessi di tutti».