martedì 13 maggio 2025
Il sequestro, dopo un incendio, dell'altoforno 1 mette a rischio la produzione e la trattativa con Baku Steel. I commissari e il ministro Urso denunciano ritardi procedurali: l'impianto è compromesso
Acciaio rovente per l'ex Ilva: cassaintegrazione per 4mila
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L’incidente all’Altoforno 1 di mercoledì scorso nello stabilimento di Taranto si è tradotto ad una settimana di distanza nell’annuncio da parte dei commissari straordinari di Acciaierie d’Italia in un massiccio piano di ammortizzatori sociali. Salgono a 4mila le persone in cassa integrazione, 3926 per l’esattezza. La stragrande maggioranza a Taranto (3538) dove per parecchi mesi sarà operativo solo l’altoforno 4 con un conseguente dimezzamento della produzione già ai minimi storici. La cig coinvolgerà anche 178 lavoratori del sito di Genova, 165 di Novi Ligure e 45 di Racconigi. A conti fatti l'incidente rischia di raddoppiare i cassintegrati. Attualmente infatti gli ammortizzatori sono già attivi per 3.062 dipendenti a rotazione (anche in questo caso quasi tutti a Taranto) su poco meno di 10mila dipendenti: ogni giorno in media si ritrova in cig 2mila persone. Che la situazione dell’impianto a ciclo continuo, riattivato nell'ottobre del 2024 dopo uno stop di un anno e mezzo per problemi strutturali, fosse seria si era capito subito.

L'inchiesta della Procura sull'incendio. All’indomani del grave incendio causato dallo scoppio di una tubiera lo scorso 7 maggio la procura di Taranto aveva messo sotto sequestro l'Altoforno.

L'Afo1 è stato sottoposto a sequestro probatorio senza facoltà d'uso nell'ambito dell'inchiesta condotta dal pm Francesco Ciardo che ha iscritto nel registro degli indagati il direttore generale Maurizio Saitta, il direttore dello stabilimento, Benedetto Valli, e il direttore dell'area altiforni, Arcangelo De Biasi. I reati ipotizzati sono omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro e getto pericoloso di cose. A uno degli indagati è contestata anche la mancata comunicazione in base alla legge Seveso sull'incidente rilevante.

La denuncia dei commissari: impedito l'intervento tempestivo. A illustrare le decisioni dell'azienda, nel corso di una riunione in videoconferenza, è stato il responsabile delle Risorse Umane Claudio Picucci. A rendere inutilizzabile l’altoforno, secondo una relazione fatta dai commissari nei giorni scorsi, sarebbe il ritardo per la mancanza delle autorizzazioni necessarie, dell’avvio delle operazioni di messa in sicurezza. A questo punto l’altoforno non sarà riavviabile prima della fine dell’anno (e con una spesa di alcune decine di milioni di euro) e potrebbe dunque aver compromesso la possibilità di rispettare il cronoprogramma industriale che prevedeva il raggiungimento di determinati target ma anche, cosa assai più grave, la vendita del complesso aziendale agli azeri di Baku per il quale sono in corso le trattative.

Il ministro Urso: danno notevole. Già ieri era emersa la compromissione dell'impianto dalle parole del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che stava aspettando il report dai commissari per capire la situazione. "Si è intervenuti troppo tardi, rispetto a quanto era stato richiesto sulla base di chiare perizie tecniche, bisognava farlo entro 48 ore e purtroppo non hanno avuto l'autorizzazione a farlo - aveva spiegato il ministro - È un danno notevole che avrà inevitabilmente immediate ripercussioni sull'occupazione".

Cos'è successo tecnicamente. Acciaierie d’Italia ha spiegato che al momento dell’incidente l’altoforno era "pieno di fusi" e "in questi casi si deve intervenire entro 48 ore per evitare danni strutturali facendoli colare via. Dalla Procura, che aveva appunto disposto il sequestro dell’altoforno, solo alcune attività sono state autorizzate con un provvedimento del 10 maggio. Ma era troppo tardi: si dovranno adottare procedure straordinarie, hanno spiegato i commissari, definendole “complesse e con esiti assolutamente incerti". Nel mirino ci sarebbe in particolare il parere negativo dell’Arpa Puglia che avrebbe condizionato la Procura. Questo incide sul cronoprogramma di riavvio dell'impianto che, con un altoforno in meno, dovrà inevitabilmente ridurre la propria capacità produttiva, che potenzialmente poteva arrivare a 6 milioni di tonnellate e che ora potrebbe essere tagliata di almeno un terzo. L'altoforno 1 non sarà di fatto utilizzabile fino a fine anno. L’altoforno 2 non tornerà operativo prima di alcuni mesi.

La Procura di Taranto smentisce: autorizzazioni concesse. Una ricostruzione di fatti che la Procura ieri ha smontato spiegando che in data 10 maggio, a distanza di meno di 24 ore dall’ultima istanza dell’azienda autorizzava «l’esecuzione della quasi totalità delle attività richieste, restando escluse quelle che, secondo le valutazioni tecniche espresse da Arpa, da un lato non incidevano sulla integrità degli impianti, dall’altro apparivano confliggenti con le esigenze probatorie connesse al sequestro». Nessun cenno, aggiunge la procuratrice Pentassuglia, al cosidetto “colaggio dei fusi”, la cui richiesta «non risulta essere stata avanzata in nessuna delle due istanze» di Acciaierie d’Italia, mentre contrariamente a quanto affermato dall’azienda nell’incendio ci sarebbero stati dei lavoratori contusi con ustioni di piccola entità.

Il governatore Emiliano: no allo scarico di responsabilità. Le accuse alla Procura state stigmatizzate dal governatore della Puglia Michele Emiliano: «Non si può dare la colpa di una esplosione, di un incendio, ai pompieri oppure alla Procura che sta indagando sulle ragioni di questa esplosione, di questo incendio. Questa è una cosa che non può essere fatta, mi auguro che nessuno abbia la tentazione di scaricare le proprie responsabilità».

I sindacati chiedono convocazione al Mimit. L'aspetto occupazionale preoccupa ovviamente i rappresentanti dei lavoratori. I sindacati non hanno nascosto le loro perplessità sia nel merito che nel metodo. "L'azienda ha presentato il suo piano di aumento dei numeri della cassa integrazione ma secondo noi la discussione va fatta su due piani paralleli: il primo che si basa su un accordo di cassa integrazione esistente e che deve ovviamente dare una copertura ai lavoratori per quello che è il problema immediato, l'altro è un confronto che deve essere svolto a Palazzo Chigi con i ministeri competenti per capire realmente quali sono innanzitutto le intenzioni di Baku Steel, come procede e se c'è questa trattativa con il governo per la vendita" ha detto Valerio D'Alò, responsabile siderurgia della Fim Cisl. I sindacati chiedono una convocazione urgente per discutere anche delle soluzioni per la nuova Aia (Autorizzazione integrata ambientale) e la prospettiva industriale a lungo termine. “La Fiom Cgil non accetterà percorsi di cassa integrazione senza alcuna chiarezza sulle prospettive future dell'ex Ilva. Non può essere che i lavoratori ancora una volta paghino le conseguenze dell'incapacità di far partire la decarbonizzazione degli impianti. In questo modo si mettono in discussione tutte le tutele salariali, occupazionali e di messa in sicurezza dei lavoratori e degli impianti, che abbiamo conquistato nei precedenti accordi" ha commentato Loris Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia della Fiom Cgil.

La trattativa con gli azeri di Baku Steel in bilico. L'impatto sul lavoro è devastante, ma a questo si aggiunge il rischio di una possibile minore valorizzazione da parte del gruppo azero acquirente, che a questo punto potrebbe anche decidere di non procedere all'acquisto. Inutile nascondere che la preoccupazione del governo è ai massimi livelli. “Il negoziato con gli azeri - ha detto Urso ieri - è in corso, è giunto ai nodi cruciali, noi andiamo avanti con chiarezza, ci auguriamo che tutti collaborino. Se remiamo tutti insieme nella stessa direzione possiamo arrivare all'obiettivo, uno stabilimento che contribuisca in maniera significativa all'autonomia strategica italiana nella siderurgia con la prospettiva della piena decarbonizzazionea tutela dell'ambiente e della salute”.

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