Tra boom della composizione negoziata e necessità di fare rete
Nel periodo 2020-2023 sono state 32.500 le aziende coinvolte. Quasi raddoppiato nel 2024 il ricorso alle procedure di risanamento

Negli ultimi anni, il fenomeno delle crisi d’impresa ha assunto una rilevanza crescente nel panorama economico italiano, con impatti significativi sul tessuto occupazionale. Secondo quanto rilevato dalla II edizione dell’Osservatorio Unioncamere, nel periodo 2020-2023 sono state 32.500 le aziende coinvolte in procedure di crisi. Sebbene si registri un aumento degli strumenti volti alla gestione anticipata e negoziale delle difficoltà. È infatti quasi raddoppiato nel 2024 il ricorso alla composizione negoziata della crisi d’impresa, il percorso volontario e stragiudiziale per il risanamento delle aziende in crisi, ma con potenzialità necessarie per restare sul mercato. Dopo un periodo di rodaggio l’istituto sta riscuotendo il favore delle imprese con numeri quasi raddoppiati: siamo passati infatti dalle 600 istanze presentate nel 2023 alle 1.089 del 2024. Il documento però evidenzia anche che sono tornate a crescere, lo scorso anno, le procedure di liquidazione giudiziale, che fanno registrare 9.203 aperture.
«L’adesione alla composizione negoziata sta crescendo - spiega il presidente di Unioncamere Andrea Prete -. Questo è un fatto positivo perché consentirà a tante aziende oggi in difficoltà di restare operative una volta riequilibrata la propria posizione. Lo strumento funziona e sta dando i suoi frutti. Emerge però una maggiore adesione e un superiore tasso di successo da parte delle imprese di maggiori dimensioni, in forza della propria organizzazione più solida e strutturata. Per questo, soprattutto le piccole imprese vanno supportate aiutando la consapevolezza dell’imprenditore, affinché approdino alla procedura senza indugio, non appena si presentano situazioni di difficoltà».
Rimane contenuto il ricorso al concordato semplificato, cui si può accedere solo se non risultano praticabili le soluzioni previste all’esito della composizione negoziata, con una leggera crescita nel 2024 (85 domande) rispetto al 2023 (69 domande). L’utilizzo degli accordi di ristrutturazione, invece, si conferma costante con più di 300 aperture all’anno negli ultimi quattro anni (326 nel 2024). In decrescita, invece, nel triennio 2021-2023, il ricorso al concordato preventivo, quasi dimezzato poiché passato da 1.067 aperture nel 2021 a sole 678 del 2023, con una lievissima inversione di tendenza nel 2024 (84 domande in più rispetto all’anno precedente), per un totale di 762 aperture. La liquidazione coatta amministrativa si attesta sul valore di 236 procedure nel 2024 (in leggerissima risalita rispetto ai due anni precedenti).
Tra le imprese che hanno fatto ricorso alla composizione negoziata prevalgono le società di capitale (81,5%) e quelle tra due e 50 addetti, dove si concentra il 73,5% dei richiedenti, mentre il 49,6% delle imprese fa registrare un valore della produzione tra uno e dieci milioni di euro. Il numero medio di addetti, comunque, è pari a 56. La maggioranza delle imprese opera nelle attività manifatturiere (25,9%), nel commercio all’ingrosso e al dettaglio (23,3%) e nelle costruzioni (12,2%). I dati mostrano che è sensibilmente aumentata nel tempo la dimensione e la struttura media delle aziende che fanno ricorso alla composizione negoziata, in termini di valore della produzione, numero di addetti e forma giuridica delle stesse. Al tempo stesso occorre, però, sottolineare che il successo della composizione negoziata riguarda molto più le dimensioni aziendali medio-grandi piuttosto che le micro e piccole, dove il tasso di chiusura con esiti favorevoli è decisamente inferiore.
Sono 85 le domande di concordato semplificato presentate nel 2024; il numero di addetti medi per impresa è pari a 15 ed il valore della produzione è pari a quattro milioni di euro. L’accesso a tale strumento sembra essere preferito dalle aziende più sottodimensionate rispetto a quelle che generalmente ricorrono alla composizione negoziata. Il 23,8% di queste imprese esercita attività manifatturiere, il 19% commercio all’ingrosso e al dettaglio e il 16,7% rientra nel settore delle costruzioni.
Il valore medio della produzione delle imprese che hanno fatto ricorso agli accordi di ristrutturazione dei debiti è pari a 13 milioni di euro e il numero medio di addetti per impresa è pari a 70. Tra le aziende ricorrenti spiccano le società di capitali (83,7%) e quelle con un valore della produzione fino a 250mila di euro (33,3%), ma con una presenza importante anche di aziende fra uno e dieci milioni di euro della produzione, che costituiscono circa il 34,4% del totale. Il 21,4% delle imprese ricorrenti appartiene al settore manifatturiero, mentre il 18,5% a quello delle attività immobiliari.
Le imprese che hanno fatto ricorso ai concordati preventivi (762 aperture nel 2024) sono società di capitali nell’88,7% dei casi; i valori della produzione delle imprese si concentrano nelle classi tra un milione e 25 milioni di euro, rappresentando il 54%. Da rilevare che, come numero di addetti, il 41% delle imprese in Concordato preventivo si colloca nella classe tra i 10 ed i 49 addetti; inoltre, il 31,2% appartiene al settore manifatturiero e il 19% a quello del commercio.
Il numero medio di addetti delle imprese che, nel 2024 hanno fatto ricorso alla liquidazione coatta amministrativa (236 aperture registrate) è pari a 19 unità (ma solo 27 imprese su 236, però, hanno dichiarato il numero degli addetti). Il valore della produzione risulta pari a due milioni di euro (dato però poco significativo, essendo esiguo il numero delle aziende che ha depositato il bilancio: solo 27 sulle 236 registrate). Si evidenzia che la quasi totalità delle imprese (98,3%) che hanno attivato l’istituto è rappresentata da cooperative, consorzi e società consortili operanti principalmente nel settore delle costruzioni (17%) e della sanità e assistenza sociale (16,2%).
Il dato relativo alle liquidazioni giudiziali nel 2024 fa registrare 9.203 procedure aperte con un numero medio di addetti per impresa pari a 6 unità ed un valore medio della produzione di un milione di euro. Le società di capitali rappresentano l’80,9% del totale. La maggior parte delle imprese si colloca nel settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio (24,7%), delle costruzioni (19,7%) e delle attività manifatturiere (17,4%). Sia il valore medio degli addetti, che quello della produzione, così come la forma giuridica, evidenziano che questa procedura riguarda imprese più fragili e meno strutturate, confermando ancora una volta la relazione diretta esistente fra solidità e dimensione aziendale.
Un dato significativo è quello che emerge dall’analisi dei 662.244 bilanci depositati presso le Camere di commercio nel 2023, da cui risulta - da una ricerca per parole chiave - che solo il 3,5%, cioè 22.806 aziende, ha dichiarato di aver istituito degli assetti organizzativi contabili e amministrativi, adeguati alla natura e alla dimensione d'impresa per prevenire correttamente la crisi d’impresa.
Rimane contenuto il ricorso al concordato semplificato, cui si può accedere solo se non risultano praticabili le soluzioni previste all’esito della composizione negoziata, con una leggera crescita nel 2024 (85 domande) rispetto al 2023 (69 domande). L’utilizzo degli accordi di ristrutturazione, invece, si conferma costante con più di 300 aperture all’anno negli ultimi quattro anni (326 nel 2024). In decrescita, invece, nel triennio 2021-2023, il ricorso al concordato preventivo, quasi dimezzato poiché passato da 1.067 aperture nel 2021 a sole 678 del 2023, con una lievissima inversione di tendenza nel 2024 (84 domande in più rispetto all’anno precedente), per un totale di 762 aperture. La liquidazione coatta amministrativa si attesta sul valore di 236 procedure nel 2024 (in leggerissima risalita rispetto ai due anni precedenti).
Tra le imprese che hanno fatto ricorso alla composizione negoziata prevalgono le società di capitale (81,5%) e quelle tra due e 50 addetti, dove si concentra il 73,5% dei richiedenti, mentre il 49,6% delle imprese fa registrare un valore della produzione tra uno e dieci milioni di euro. Il numero medio di addetti, comunque, è pari a 56. La maggioranza delle imprese opera nelle attività manifatturiere (25,9%), nel commercio all’ingrosso e al dettaglio (23,3%) e nelle costruzioni (12,2%). I dati mostrano che è sensibilmente aumentata nel tempo la dimensione e la struttura media delle aziende che fanno ricorso alla composizione negoziata, in termini di valore della produzione, numero di addetti e forma giuridica delle stesse. Al tempo stesso occorre, però, sottolineare che il successo della composizione negoziata riguarda molto più le dimensioni aziendali medio-grandi piuttosto che le micro e piccole, dove il tasso di chiusura con esiti favorevoli è decisamente inferiore.
Sono 85 le domande di concordato semplificato presentate nel 2024; il numero di addetti medi per impresa è pari a 15 ed il valore della produzione è pari a quattro milioni di euro. L’accesso a tale strumento sembra essere preferito dalle aziende più sottodimensionate rispetto a quelle che generalmente ricorrono alla composizione negoziata. Il 23,8% di queste imprese esercita attività manifatturiere, il 19% commercio all’ingrosso e al dettaglio e il 16,7% rientra nel settore delle costruzioni.
Il valore medio della produzione delle imprese che hanno fatto ricorso agli accordi di ristrutturazione dei debiti è pari a 13 milioni di euro e il numero medio di addetti per impresa è pari a 70. Tra le aziende ricorrenti spiccano le società di capitali (83,7%) e quelle con un valore della produzione fino a 250mila di euro (33,3%), ma con una presenza importante anche di aziende fra uno e dieci milioni di euro della produzione, che costituiscono circa il 34,4% del totale. Il 21,4% delle imprese ricorrenti appartiene al settore manifatturiero, mentre il 18,5% a quello delle attività immobiliari.
Le imprese che hanno fatto ricorso ai concordati preventivi (762 aperture nel 2024) sono società di capitali nell’88,7% dei casi; i valori della produzione delle imprese si concentrano nelle classi tra un milione e 25 milioni di euro, rappresentando il 54%. Da rilevare che, come numero di addetti, il 41% delle imprese in Concordato preventivo si colloca nella classe tra i 10 ed i 49 addetti; inoltre, il 31,2% appartiene al settore manifatturiero e il 19% a quello del commercio.
Il numero medio di addetti delle imprese che, nel 2024 hanno fatto ricorso alla liquidazione coatta amministrativa (236 aperture registrate) è pari a 19 unità (ma solo 27 imprese su 236, però, hanno dichiarato il numero degli addetti). Il valore della produzione risulta pari a due milioni di euro (dato però poco significativo, essendo esiguo il numero delle aziende che ha depositato il bilancio: solo 27 sulle 236 registrate). Si evidenzia che la quasi totalità delle imprese (98,3%) che hanno attivato l’istituto è rappresentata da cooperative, consorzi e società consortili operanti principalmente nel settore delle costruzioni (17%) e della sanità e assistenza sociale (16,2%).
Il dato relativo alle liquidazioni giudiziali nel 2024 fa registrare 9.203 procedure aperte con un numero medio di addetti per impresa pari a 6 unità ed un valore medio della produzione di un milione di euro. Le società di capitali rappresentano l’80,9% del totale. La maggior parte delle imprese si colloca nel settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio (24,7%), delle costruzioni (19,7%) e delle attività manifatturiere (17,4%). Sia il valore medio degli addetti, che quello della produzione, così come la forma giuridica, evidenziano che questa procedura riguarda imprese più fragili e meno strutturate, confermando ancora una volta la relazione diretta esistente fra solidità e dimensione aziendale.
Un dato significativo è quello che emerge dall’analisi dei 662.244 bilanci depositati presso le Camere di commercio nel 2023, da cui risulta - da una ricerca per parole chiave - che solo il 3,5%, cioè 22.806 aziende, ha dichiarato di aver istituito degli assetti organizzativi contabili e amministrativi, adeguati alla natura e alla dimensione d'impresa per prevenire correttamente la crisi d’impresa.
Caradonna: le imprese sono un bene sociale, serve fare rete
«Le imprese sono un bene sociale, non soltanto dell'imprenditore, ma di tutti, e quindi se ci sono delle opportunità per poterle preservare è importante farlo. E per far questo è necessario mettersi tutti in rete. Noi commercialisti, in diversi ruoli, supportiamo l'impresa, nell’attività di risanamento, laddove esistano ovviamente presupposti, e dialoghiamo con i vari interlocutori». Lo dichiara Marcella Caradonna, presidente dell'Ordine dei commercialisti ed esperti Contabili di Milano.
«La crisi d'impresa si manifesta quando l’azienda - prosegue Caradonna - si trova in un momento di difficoltà che vede come principali interlocutori, al di là dei fornitori, le banche e gli enti istituzionali quali Agenzia delle Entrate e Inps. Noi commercialisti, tuttavia, possiamo intercettare, nelle imprese nostre clienti, i segnali della crisi e, di conseguenza, intervenire anche in un'ottica di prevenzione o, se necessario, per supportare il risanamento. La norma contempla, inoltre, tra i ruoli previsti per la nostra categoria, anche quello di ausiliari del giudice come esperti della crisi, ruolo nuovo e molto sfidante».
Inoltre tra le proposte operative per favorire l'inclusione generazionale dei giovani commercialisti una riguarda proprio la gestione delle crisi d'impresa. «L'obiettivo è creare maggiori opportunità per i giovani professionisti e migliorare l'efficacia del sistema attraverso il ricambio generazionale - afferma Francesco Cataldi, presidente dell'Ungdcec-Unione nazionale giovani dottori commercialisti ed esperti contabili -. Le tre proposte, rivolte al mondo politico, convergono in un'unica direzione: rendere il sistema più aperto, efficiente e meritocratico, valorizzando le nuove generazioni come leva strategica per la modernizzazione della pubblica amministrazione e del sistema economico».
Ungdcec propone di riservare una quota di presenza under 43 nei collegi dei revisori degli enti locali anche per i comuni al di sotto dei 5mila abitanti. Chiede inoltre la partecipazione dei revisori ai tavoli tecnici in materia di crisi finanziarie e il rispetto degli obblighi di compenso previsti dal decreto ministeriale 21 dicembre 2018, da aggiornare secondo i criteri dell'equo compenso. Per promuovere l'accesso dei giovani commercialisti agli organi di controllo delle società partecipate, l'Unione chiede inoltre l'introduzione di una quota riservata under 43 nei collegi sindacali. La misura mira a garantire competenze aggiornate in materia di digitalizzazione, sostenibilità e innovazione, contrastando la tendenza all'esclusione sistemica dei giovani professionisti da ruoli chiave.
Nel settore delle procedure concorsuali, Ungdcec sollecita l'introduzione obbligatoria di giovani professionisti nei gruppi di lavoro e nelle commissioni tecniche, il riconoscimento dell'esperienza in affiancamento e l'adeguamento dei compensi minimi per le liquidazioni giudiziali prive di attivo. Tra le proposte anche l'istituzione di una long list nazionale di giovani esperti formati sul Codice della crisi, protocolli di preferenza per studi che valorizzano i giovani e un meccanismo premiale per le prime nomine.
Ungdcec propone di riservare una quota di presenza under 43 nei collegi dei revisori degli enti locali anche per i comuni al di sotto dei 5mila abitanti. Chiede inoltre la partecipazione dei revisori ai tavoli tecnici in materia di crisi finanziarie e il rispetto degli obblighi di compenso previsti dal decreto ministeriale 21 dicembre 2018, da aggiornare secondo i criteri dell'equo compenso. Per promuovere l'accesso dei giovani commercialisti agli organi di controllo delle società partecipate, l'Unione chiede inoltre l'introduzione di una quota riservata under 43 nei collegi sindacali. La misura mira a garantire competenze aggiornate in materia di digitalizzazione, sostenibilità e innovazione, contrastando la tendenza all'esclusione sistemica dei giovani professionisti da ruoli chiave.
Nel settore delle procedure concorsuali, Ungdcec sollecita l'introduzione obbligatoria di giovani professionisti nei gruppi di lavoro e nelle commissioni tecniche, il riconoscimento dell'esperienza in affiancamento e l'adeguamento dei compensi minimi per le liquidazioni giudiziali prive di attivo. Tra le proposte anche l'istituzione di una long list nazionale di giovani esperti formati sul Codice della crisi, protocolli di preferenza per studi che valorizzano i giovani e un meccanismo premiale per le prime nomine.
La prima vittima è il lavoro
L’elemento più preoccupante delle crisi d'impresa resta la ricaduta occupazionale. Le imprese in crisi generano effetti a catena che coinvolgono direttamente i lavoratori, l’indotto e il territorio. Come sottolinea Valentina Pepe, partner dello studio legale Pepe e Associati, «la crisi d’impresa incide profondamente sulla tenuta dei livelli occupazionali all’interno dell’azienda. Nelle situazioni di crisi aziendale temporanea o, comunque, reversibile, l’azienda può ricorrere agli ammortizzatori sociali previsti dalla legge, come la Cassa integrazione guadagni ordinaria o straordinaria, quest’ultima attivabile per riorganizzazione, crisi aziendale, o sotto forma di contratto di solidarietà, con l’obiettivo di evitare l’avvio di procedure di licenziamento collettivo. Parallelamente, il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza segna un cambio di paradigma rispetto alla legge fallimentare del 1942, anche in termini di attenzione ai rapporti di lavoro interessati dalle situazioni di crisi aziendali, nell’ottica della di tutela dei posti di lavoro e del reddito: è stato ad esempio rafforzato l’obbligo in capo all’impresa di rilevare tempestivamente i segnali della crisi, attraverso strumenti di allerta e la disciplina di indicatori della crisi, in vista della tempestiva adozione delle misure idonee alla gestione della stessa. Il Codice introduce, altresì, strumenti come la composizione negoziata e il concordato preventivo con continuità aziendale, che consentono all’impresa in crisi di proseguire l’attività e preservare l’occupazione».
A rafforzare questa visione anche Raffaele Di Capua, senior partner dello studio Di Capua & Associati, che evidenzia come la crisi non colpisca solo l’imprenditore, ma anche chi lavora per lui: «Abitualmente si pensa che la crisi d’impresa coinvolga soltanto la sfera patrimoniale dell’imprenditore. In realtà, quando un’azienda attraversa un momento di difficoltà finanziaria, i primi a pagarne le conseguenze sono i lavoratori: blocco delle assunzioni, ritardi nei pagamenti, cassa integrazione o licenziamenti. Gli istituti previsti dal Codice della Crisi e dell’Insolvenza, come la composizione negoziata o gli accordi di ristrutturazione, possono rappresentare un’alternativa concreta alla liquidazione volontaria o, nel peggiore degli scenari, alla liquidazione giudiziale, in quanto permettono il mantenimento della continuità aziendale e, con essa, la salvaguardia dell’occupazione».
Le due prospettive convergono nella visione della continuità aziendale come leva strategica, resa possibile solo da un intervento tempestivo e da una consapevole gestione delle risorse umane. In quest’ottica, prosegue Pepe, «anche gli interventi in ordine al trasferimento di aziende in crisi dimostra la particolare attenzione del legislatore alla valorizzazione della continuità aziendale, quale elemento funzionale al recupero dell'impresa, con un occhio più attento alla stabilità occupazionale».
Come osserva ancora Di Capua, in questi casi «il ruolo del commercialista è centrale non solo come tecnico, ma come guida nella prevenzione e nella gestione della crisi, con l’obiettivo di tutelare sia l’impresa sia il capitale umano che la sostiene».
Infine, in un contesto segnato dalla trasformazione digitale e dall’avanzare dell’intelligenza artificiale, emerge la necessità di ripensare anche le politiche attive del lavoro. Come conclude Pepe, «oltre alle misure volte alla tutela del lavoratore all’interno dell’azienda, in un mondo del lavoro in rapida evoluzione e trasformazione, sotto la spinta dell’intelligenza artificiale e della digitalizzazione, riveste oggi fondamentale importanza l’attivazione di efficienti misure di politiche attive di flexicurity volte alla formazione e al reinserimento nel mercato del lavoro».
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