Studio sulle scelte dei giovani di espatriare
di Redazione
Il 61% si dichiara pronto a trasferirsi fuori dall'Italia per un periodo superiore ai tre mesi, escludendo le vacanze, con l’obiettivo di costruire il proprio futuro, formarsi o lavorare

Si è svolta a Roma l’XI edizione del Myllennium Award, il primo premio multidisciplinare italiano dedicato agli under 30, promosso dal Gruppo Barletta e dalla Fondazione omonima, con il sostegno della Regione Lazio, del ministero dell’Istruzione e del Merito, del ministero dell’Università e della Ricerca, del ministero della Cultura e dal ministro per lo Sport e i Giovani. Nato per valorizzare merito, talento e visione delle nuove generazioni, il premio è cresciuto negli anni fino a diventare un punto di riferimento a livello nazionale. In 11 edizioni, ha ricevuto oltre 5.500 candidature, premiato più di 350 progetti e assegnato oltre 1.800.000 euro in borse di studio, esperienze formative e premi economici. Nel corso della cerimonia di premiazione di 23 giovani è stato presentato lo studio Ipsos Giovani tra radici e nuovi orizzonti, realizzato su un campione di 800 italiani tra i 18 e i 30 anni. La ricerca esplora il rapporto delle nuove generazioni con il futuro, tra opportunità da cogliere in Italia e il desiderio – spesso necessario – di guardare all’estero.
Sei giovani italiani su dieci (61%) si dichiarano pronti a trasferirsi all’estero per un periodo superiore ai tre mesi, escludendo le vacanze, con l’obiettivo di costruire il proprio futuro, formarsi o lavorare. È questo il dato principale emerso dall’indagine Ipsos commissionata dal Myllennium Award 2025. È stato chiesto a un campione di 800 giovani dai 18 ai 30 anni residenti sul territorio italiano di tracciare l’identikit della persona tipo orientata a vivere all’estero. Emerge un quadro interessante. Innanzitutto, il genere non sembra essere un fattore particolarmente determinante, a esserlo sono invece altre caratteristiche come l’età che la vedono compresa tra i 21 e i 24 anni (45%), il titolo di studio che percepiscono alto (laurea per il 52%) e provenienza principalmente dal Nord-Ovest (30%) o dal Sud e Isole (29%). La netta maggioranza (83%) pensa che la persona tipo disposta a vivere all’estero, anche solo per un periodo, appartiene ad una classe sociale medio-bassa. Nell’immaginario giovanile non è necessario appartenere ad una famiglia benestante per fare questa esperienza, anche perché chi si sposta lo fa soprattutto per trovare un lavoro migliore rispetto a quello che troverebbe in Italia.
Non sorprende che si immagini che la conoscenza della lingua inglese sia fondamentale (72%), anche più di quella della lingua locale del Paese di destinazione (57%). Deve avere esperienze lavorative pregresse? Secondo i nostri giovani non è così necessario: il 34% vede più frequente lo spostamento di chi non ha alcuna esperienza mentre il 44% opta al massimo per un paio d’anni di attività lavorativa, a testimonianza dell’idea che l’estero sia una vera e propria palestra formativa di risorse anche da definirsi sul piano professionale.
L’Europa è la destinazione percepita come privilegiata per il 77% dei giovani, con Germania, Regno Unito, Spagna e Svizzera in testa. Uno su cinque guarda verso l’America (20%), soprattutto agli Stati Uniti. Chi ha già vissuto un’esperienza all’estero superiore ai tre mesi – il 23% del campione – la valuta molto positivamente (76%) e nella maggior parte dei casi è pronto a rifarlo.
Il 46% dei giovani pensa che chi parte farà ritorno in Italia, ma la maggioranza (54%) ritiene che chi va via non tornerà più e i dati reali confermano questo scetticismo: dal 2011 al 2023 solo il 31% dei giovani che si sono trasferiti all’estero è rientrato. Chi vede i giovani far ritorno in Italia pensa succeda mediamente dopo circa 2-5 anni (50%). Chi ha già vissuto un’esperienza all’estero superiore ai tre mesi è rientrato principalmente per motivi familiari, perché aveva concluso il proprio percorso formativo all’estero o per nuove opportunità professionali in patria.
Il 17% dei giovani non prenderebbe mai in considerazione un’esperienza all’estero. Tra i principali ostacoli emergono l’attaccamento al proprio territorio (24%), la barriera linguistica (23%), il legame con la propria famiglia (11%) e la percezione che l’esperienza costi troppo (7%). Un 8% esprime paura di non sapere cosa li aspetta fuori confine e un altro 14% confida nelle prospettive offerta dall’Italia.
La posizione degli intervistati è divisa: il 41% auspica che il governo italiano incentivi le esperienze all’estero, vedendole come un’opportunità di crescita culturale e professionale e uno strumento per ridurre la disoccupazione giovanile. Al contrario, il 42% teme che questo fenomeno provochi una perdita di capitale umano e indebolisca l’economia interna, dunque auspica che le nostre istituzioni lo frenino. Un consenso più ampio emerge invece verso l’Unione Europea (63%), le Università (60%) e la scuola (56%) per un ruolo attivo nell’incoraggiare la mobilità internazionale. Il mondo del lavoro risulta più diviso, con un 36% che opta per arginare l’uscita in questa sfera perché teme di perdere risorse qualificate fondamentali per il nostro Paese.
Non sorprende che si immagini che la conoscenza della lingua inglese sia fondamentale (72%), anche più di quella della lingua locale del Paese di destinazione (57%). Deve avere esperienze lavorative pregresse? Secondo i nostri giovani non è così necessario: il 34% vede più frequente lo spostamento di chi non ha alcuna esperienza mentre il 44% opta al massimo per un paio d’anni di attività lavorativa, a testimonianza dell’idea che l’estero sia una vera e propria palestra formativa di risorse anche da definirsi sul piano professionale.
L’Europa è la destinazione percepita come privilegiata per il 77% dei giovani, con Germania, Regno Unito, Spagna e Svizzera in testa. Uno su cinque guarda verso l’America (20%), soprattutto agli Stati Uniti. Chi ha già vissuto un’esperienza all’estero superiore ai tre mesi – il 23% del campione – la valuta molto positivamente (76%) e nella maggior parte dei casi è pronto a rifarlo.
Il 46% dei giovani pensa che chi parte farà ritorno in Italia, ma la maggioranza (54%) ritiene che chi va via non tornerà più e i dati reali confermano questo scetticismo: dal 2011 al 2023 solo il 31% dei giovani che si sono trasferiti all’estero è rientrato. Chi vede i giovani far ritorno in Italia pensa succeda mediamente dopo circa 2-5 anni (50%). Chi ha già vissuto un’esperienza all’estero superiore ai tre mesi è rientrato principalmente per motivi familiari, perché aveva concluso il proprio percorso formativo all’estero o per nuove opportunità professionali in patria.
Il 17% dei giovani non prenderebbe mai in considerazione un’esperienza all’estero. Tra i principali ostacoli emergono l’attaccamento al proprio territorio (24%), la barriera linguistica (23%), il legame con la propria famiglia (11%) e la percezione che l’esperienza costi troppo (7%). Un 8% esprime paura di non sapere cosa li aspetta fuori confine e un altro 14% confida nelle prospettive offerta dall’Italia.
La posizione degli intervistati è divisa: il 41% auspica che il governo italiano incentivi le esperienze all’estero, vedendole come un’opportunità di crescita culturale e professionale e uno strumento per ridurre la disoccupazione giovanile. Al contrario, il 42% teme che questo fenomeno provochi una perdita di capitale umano e indebolisca l’economia interna, dunque auspica che le nostre istituzioni lo frenino. Un consenso più ampio emerge invece verso l’Unione Europea (63%), le Università (60%) e la scuola (56%) per un ruolo attivo nell’incoraggiare la mobilità internazionale. Il mondo del lavoro risulta più diviso, con un 36% che opta per arginare l’uscita in questa sfera perché teme di perdere risorse qualificate fondamentali per il nostro Paese.
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