Pensioni svalutate: in 14 anni perso il 21% del potere di acquisto
Indagine di Itinerari Previdenziali e Cida: perso un 12% solo nell'ultimo triennio. Basta un assegno lordo di poco meno di 2300 euro per non avere più un'indicizzazione piena

Più contributi hai versato, meno ricevi dallo Stato per la tua pensione. Mentre il governo vorrebbe abbassare l’età pensionabile a 64 anni utilizzando come “bonus” il tfr del lavoratore, chi in pensione c’è già è costretto a scoprire un’amara verità. A causa delle mancate indicizzazioni - il meccanismo per cui le pensioni si rivalutano in base all’andamento dell’inflazione – dal 2012 al 2022 i trattamenti pensionistici oltre le 10 volte il minimo hanno perso rispetto a un’inflazione totale dell’11,6% circa 9 punti percentuali. È quanto viene rilevato nella ricerca “La svalutazione delle pensioni in Italia” promossa da dall’Osservatorio sulla spesa pubblica di Itinerari Previdenziali e Cida, la confederazione sindacale dei manager pubblici e privati. Se poi si considera anche la svalutazione del triennio 2023-2025, ancora più ingente per l’effetto combinato del boom dell’inflazione e dei meccanismi di perequazione introdotti dal governo di Giorgia Meloni, in questo caso, le perdite ammontano a circa il 12% e, sommate alle precedenti, determinano una perdita del valore d’acquisto delle pensioni di oltre il 21% nell’arco di 14 anni.
I numeri della svalutazione
Ma attenzione il “jolly” di bloccare l’adeguamento delle pensioni “ricche”, a partire da quelle che superano di 4 volte il trattamento minimo dell’Inps (parliamo di un importo lordo di 2271 euro lordo, cioè circa 1.500 netti) è stato introdotto dal governo tecnico di Mario Monti nel 2012 ma poi tutti gli esecutivi che si sono succeduti negli anni, da Renzi a Conte, da Gentiloni a Meloni hanno di fatto utilizzato lo stop delle rivalutazioni più come una leva contabile che uno strumento di giustizia previdenziale. «In trent’anni le pensioni medio-alte hanno perso oltre un quarto del loro potere d’acquisto: una pensione da 10mila euro lordi al mese ha visto svanire quasi 180mila euro, l’equivalente di un anno intero di assegno – ha spiegato il presidente di Cida, Stefano Cuzzilla –. È il simbolo di un sistema che punisce chi ha dato di più, mortifica i contribuenti più fedeli e incrina il legame di responsabilità tra generazioni. Le pensioni non sono un privilegio, sono salario differito, il frutto di una vita di lavoro e tasse pagate».
Già perché la perdita media legata alla mancata rivalutazione sarebbe quantificabile nei prossimi 10 anni in almeno 13mila euro, valore destinato a salire progressivamente fino ai 115mila per i percettori di assegni oltre i 10mila euro lordi (6.000 circa il netto). Un provvedimento iniquo che penalizza proprio chi ha più contribuito al sistema, e peraltro «non esente da possibili profili di incostituzionalità – sottolinea la ricerca – con particolare riferimento alle quote di pensione calcolate con metodo contributivo, il quale prevederebbe la rivalutazione piena degli assegni».
La questione dell'incostituzionalità
Insomma, in questi anni i governi sono riusciti a “fare cassa” grazie ai pensionati e questo non va proprio giù al professor Alberto Brambilla, presidente di Itinerari Previdenziali e curatore dello studio. «Rispetto alle persone in età attiva – ha detto – i pensionati hanno meno possibilità di difendersi dall’inflazione, tanto che il mantenimento del loro potere d’acquisto è affidato quasi esclusivamente ai meccanismi di indicizzazione: ecco perché sarebbe innanzitutto importante avere regole stabili nel tempo e, ancora di più, eque».
A partire dalla manovra economica bisogna capire se si potrà tornare alle regole del 1996 - anno in cui è partito anche il sistema contributivo per tutti - che prevedono una rivalutazione a scaglioni al 100%. Non è una partita facile anche perché recentemente una sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato legittimo il sistema di “raffreddamento” della rivalutazione automatica delle pensioni per fasce di reddito. «Sì ma la stessa Corte – ha concluso Brambilla – ha raccomandato che il “taglio” subito dalle pensioni di importo medio-alto fosse di breve durata, proporzionato e non ripetitivo». Tutto il contrario di quanto accaduto fino ad oggi.
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