Investitori in fuga dai debiti globali: la tempesta tra incertezza e deficit
Da Tokyo a Parigi, da Londra a Washington le fragilità politiche, i timori sul riaccendersi dell’inflazione e i conti pubblici sotto stress stanno facendo impennare i rendimenti obbligazionari

È una tempesta perfetta a livello globale quella che sta investendo il tradizionale porto sicuro dei titoli di Stato a lunga scadenza. Rendimenti in crescita record, valute sotto pressione e oro ai massimi storici sono tutti elementi di uno scenario che inquieta governi e investitori. A far salire la tensione sui mercati sono fattori comuni a più economie avanzate: livelli di debito pubblico elevatissimi, bilanci statali sotto stress, inflazione che rischia di riaccendersi. Ma anche fragilità politiche: in Giappone il governo Ishiba è in difficoltà dopo la perdita della maggioranza al Senato; in Francia il premier François Bayrou deve affrontare un voto di sfiducia; nel Regno Unito la cancelliera dello Scacchiere Rachel Reeves si prepara ad annunciare nuove tasse. Ogni incertezza politica diventa immediatamente preoccupazione fiscale. I mercati, in cerca di certezze, scaricano i titoli di Stato, facendo impennare i rendimenti: il trentennale giapponese ha raggiunto il record del 3,29%, quello britannico ha toccato il 5,75%, massimo dal 1998, mentre il Treasury americano a 30 anni è tornato vicino al livello di guardia del 5%. Anche il Bund tedesco, da sempre benchmark europeo, si aggira sui livelli più alti degli ultimi 14 anni.
Quando i titoli sovrani smettono di essere un rifugio, gli investitori si spostano altrove. L’oro è tornato protagonista assoluto: il prezzo ha superato i 3.500 dollari l’oncia, toccando quota 3.546,99, un massimo storico. La corsa al metallo giallo fotografa la ricerca affannosa di beni rifugio in un contesto in cui perfino i debiti pubblici delle economie più solide sembrano meno sicuri. Parallelamente, le valute dei Paesi più esposti subiscono la pressione: la sterlina è scesa ai minimi di un mese sul dollaro e lo yen ha toccato quota 148,60, segnalando la sfiducia crescente verso economie percepite come fragili sul fronte del debito.
Il Giappone ha uno dei rapporti debito/Pil più alti tra le economie avanzate e il futuro del premier Shigeru Ishiba è incerto da quando le elezioni di luglio hanno privato il suo governo della maggioranza alla Camera Alta. L'asta dei titoli di stato giapponesi a 30 anni prevista per oggi sarà seguita con grande attenzione dagli investitori di tutto il mondo. Sullo sfondo resta il ruolo degli Stati Uniti. Le tensioni sui Treasury, esacerbate dai piani di bilancio dell’amministrazione Trump e dagli attacchi del presidente alla Federal Reserve, hanno fatto da detonatore globale. I dazi imposti da Washington, contestati anche in tribunale, stanno già lasciando il segno sull’industria americana, con sei mesi consecutivi di contrazione manifatturiera. Gli operatori si aspettano che la Fed intervenga con un taglio dei tassi già entro settembre, ma resta l’incognita di quanto questa misura possa arginare la sfiducia verso debiti pubblici gonfiati da spese sempre più difficili da finanziare.
La domanda di fondo è se quella in corso sia una correzione temporanea o il segnale di una crisi strutturale. Per molti osservatori siamo davanti a una “tempesta perfetta”: troppi debiti, troppa incertezza politica, timori inflazionistici e fine della caccia al rendimento che per anni aveva sostenuto i mercati obbligazionari. Mentre le Borse per ora confidano in politiche monetarie più accomodanti, i titoli di Stato – il cuore del sistema finanziario globale – traballano come non accadeva da decenni. Se il trend dovesse proseguire, i governi si troverebbero a finanziare i propri deficit a costi insostenibili, con il rischio di trasformare una crisi di mercato in una crisi politica e sociale di proporzioni più ampie.
Le ricadute non si limitano all’obbligazionario. I gestori segnalano che il livello del 5% sui Treasury trentennali comincia a farsi sentire anche sulle azioni, con vendite che hanno colpito in particolare i titoli tecnologici. L’anomalia, spiegano gli analisti, è che oggi la fuga dal rischio non salva neppure i bond, che tradizionalmente si muovono in controtendenza rispetto all’azionario. In questo scenario, le curve dei rendimenti si deformano: negli Stati Uniti lo spread tra titoli a 2 e 30 anni è risalito ai massimi dal 2021; in Gran Bretagna si registra il livello più alto dal 2017. Un movimento autoalimentato anche dalla ritrovata attrattiva dei titoli giapponesi: per decenni i risparmiatori nipponici hanno investito in bond esteri alla ricerca di rendimento, ma con tassi interni più alti non hanno più lo stesso incentivo. Un fattore che sottrae domanda al debito di altri Paesi.
In mezzo alla bufera, l’Italia è riuscita martedì a collocare con successo un’emissione “jumbo” da 18 miliardi di euro in Btp a 7 e 30 anni. La domanda complessiva ha superato i 200 miliardi, con un record assoluto sugli ordini per la scadenza settennale. Un risultato che le autorità di mercato leggono come un segnale di fiducia verso la solidità creditizia del Paese, nonostante un debito pubblico vicino al 140% del Pil e una crescita lenta. Certo, se l'Italia non è più l'osservato speciale numero uno d'Europa, fanno notare alcuni analisti, è anche per demerito dei partner. È il caso della Francia – con uno spread rispetto ai Bund tedeschi in area 80 punti – e della Gran Bretagna, sullo sfondo di un Trump determinato a picconare l'ordine economico e finanziario di una volta. Se il trend globale dei bond dovesse proseguire, governi e investitori dovranno rivedere strategie di bilancio e portafogli, calibrando rischi e rendimenti in un contesto sempre più incerto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA





