Il Pil crescerà con l'IA, ma 6 milioni di posti di lavoro a rischio
di Redazione
Il presidente di Confcooperative: «Sale il Pil +1,8% entro il 2035, ma scende il lavoro 6 milioni di posti a rischio. L’IA sia al servizio delle persone e non viceversa»

Da oggi al 2035 l’intelligenza artificiale si stima che possa portare a una crescita del Pil del nostro Paese fino a 38 miliardi (+1,8%): questa crescita, però, avrà un costo in termini di riqualificazione, ma anche di perdita di posti di lavoro: 6 milioni di lavoratori sono a rischio sostituzione, mentre altri 9 milioni potrebbero vedere l’IA integrarsi con le loro mansioni. «Un conto economico in chiaro scuro quello che l’intelligenza artificiale si appresta a presentare al nostro Paese – lo ha definito Maurizio Gardini, commentando il Focus Censis Confcooperative “Intelligenza artificiale e persone: chi servirà chi?”.
L'impatto ambivalente dell'IA in Italia avrà delle ricadute sul fronte occupazionale, si stima che entro il 2030 circa il 27% delle ore lavorate in Europa sarà automatizzato. I settori più esposti sono considerati la ristorazione (37%) con una gestione degli ordini sempre più automatizzata, il supporto d’ufficio (36,6%) e la produzione (36%), mentre quelli meno impattati saranno la sanità e il management.
Secondo i dati del Censis rielaborati dall'ufficio studi di Confcooperative, tra le professioni più esposte alla sostituzione, da un lato, ci sono quelle intellettuali automatizzabili come contabili, tecnici della gestione finanziaria e statistici. Dall'altro lato, le professioni ad alta complementarità includono, invece, avvocati, magistrati e dirigenti, direttori e dirigenti in ambito finanziario, ma anche psicologi clinici e psicoterapeuti.
In pratica, si vede come il grado di esposizione alla sostituzione o alla complementarità aumenti con l’aumentare del livello di istruzione. Tra i lavoratori a basso rischio di sostituzione il 64% non ha un diploma e solo il 3% possiede una laurea; questo perché le mansioni svolte da chi ha un livello di istruzione più basso sono generalmente meno suscettibili all’automazione rispetto a quelle che richiedono competenze specialistiche e un’istruzione superiore.
Per quanto riguarda le professioni ad alta esposizione di sostituzione, la maggior parte dei lavoratori (54%) ha un’istruzione superiore e solo il 33% un diploma di laurea. I lavoratori con un livello di istruzione più alto – nel 59% dei casi sono laureati e nel 29% dei casi hanno un diploma superiore – sono più inclini a sperimentare la complementarità dell'IA nel proprio lavoro. Questo significa che l’IA può supportare e migliorare le loro attività, piuttosto che sostituirle completamente.
In altre parole, è possibile che le persone con un'istruzione più alta utilizzino l'IA in modi più complessi e strategici, rendendoli meno vulnerabili alla sostituzione. Secondo il focus Censis Confcooperative “Intelligenza artificiale e persone: chi servirà chi?”, le donne risultano più esposte rispetto agli uomini: rappresentano, infatti, il 54% dei lavoratori ad alta esposizione di sostituzione e il 57% di quelli ad alta complementarità. Questo dato suggerisce che l’IA potrebbe acuire il divario di genere nel mercato del lavoro.
Il gap non è solo di genere ma anche nel confronto tra i sistemi imprenditoriali dei Paesi europei. Nel 2024, solo l’8,2% delle imprese italiane utilizza l’IA, contro il 19,7% della Germania e la media UE del 13,5%. Il divario è particolarmente evidente nei settori del commercio e della manifattura, dove l’Italia registra tassi di adozione inferiori alla media europea.
L’Italia mostra un ritardo significativo nell’adozione dell’Intelligenza Artificiale rispetto ad altri Paesi europei. Secondo il Government AI Readiness Index 2024, l’Italia si posiziona al 25° posto, dietro a 13 Paesi europei. E nel report viene rilevato come l'utilizzo di strumenti di IA sul luogo di lavoro al momento riguardi principalmente la scrittura, di mail, report e cv. Inoltre, è più diffuso tra i lavoratori più giovani (18-34 anni) rispetto a quelli più anziani, probabilmente per una maggiore familiarità con questa nuova tecnologia. Nello specifico, il 35,8% dei lavoratori tra i 18 e i 34 anni utilizza l'IA per la stesura di rapporti, rispetto al 23,5% tra chi ha più di 45 anni. Similmente, il 28,8% dei più giovani utilizza l'IA per la scrittura di e-mail, rispetto al 21,9% della fascia di popolazione che ha più di 45 anni.
«Questi dati dimostrano come il paradigma vada subito corretto: la persona va messa al centro del modello di sviluppo con l’intelligenza artificiale al servizio dei lavoratori e non viceversa» ha concluso Gardini alla luce del Focus Censis Confcooperative “Intelligenza artificiale e persone: chi servirà chi?”.
«Questi dati dimostrano come il paradigma vada subito corretto: la persona va messa al centro del modello di sviluppo con l’intelligenza artificiale al servizio dei lavoratori e non viceversa» ha concluso Gardini alla luce del Focus Censis Confcooperative “Intelligenza artificiale e persone: chi servirà chi?”.
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