La corsa alle fonti rinnovabili di energia s'è fermata. C'entrano Trump e la Cina

L'Agenzia internazionale dell'energia accusa le politiche dei due Paesi come principali responsabili della battuta d'arresto. L'Ue fa il record sul solare, Italia in ritardo
October 7, 2025
La corsa alle fonti rinnovabili di energia s'è fermata. C'entrano Trump e la Cina
Non c’è niente di consolatorio negli ultimi dati sulle rinnovabili forniti stamane dall’Agenzia internazionale dell’energia: la corsa globale verso le energie pulite sta perdendo slancio e il traguardo fissato a Cop28 — triplicare la capacità entro il 2030 — appare ora fuori portata. Il nuovo rapporto Aie rivede al ribasso le proiezioni mondiali e indica che, allo stato attuale delle politiche, la capacità installata nel 2030 sarà tra 2,6 e 2,8 volte quella del 2022, non 3 volte come previsto solo un anno fa. L'anno scorso, la stessa Aie riteneva che fosse ancora possibile raggiungere gli obiettivi fissati nell'accordo finale della COP28 di Dubai nel 2023: oggi, non più. E la responsabilità, secondo gli esperti, ha contorni precisi: l’Agenzia indica infatti in primo luogo Usa e Cina come le due variabili decisive e, per ragioni opposte, problematiche.
L’accusa dell’Aie verso gli Usa è netta: le misure recessive dell’amministrazione Trump — cancellazione o limitazione di incentivi fiscali, restrizioni alle importazioni, blocchi e rallentamenti nelle autorizzazioni per grandi impianti di energia rinnovabile su terre federali — hanno ridotto drasticamente le attese di crescita. In numeri, la previsione per gli Usa è stata praticamente dimezzata rispetto al 2024, con l’atteso apporto cumulato tra 2025 e 2030 fissato intorno ai 250 gigawatt e un picco di nuove installazioni previsto nel 2027, prima di un regresso nel 2028 e di una stabilizzazione bassa fino al 2030. È un effetto che si propaga: meno incentivi significano catene di valore più fragili, investimenti rimandati, e progetti che saltano o si ridimensionano.
Dietro queste scelte c’è anche un messaggio politico e culturale. Nelle sedi internazionali Trump ha ribadito toni di aperto scetticismo verso la minaccia climatica, definendola ancora nei giorni scorsi all’Assemblea generale dell’Onu il cambiamento climatico una «truffa» e promuovendo tagli e annullamenti di finanziamenti per la transizione. Tra le ultime mosse dell’amministrazione vi è la cancellazione di miliardi destinati a programmi per l’energia pulita e a iniziative per famiglie a basso reddito, decisioni che hanno provocato cause legali e l’unanime preoccupazione degli esperti. Questo dietrofront politico produce effetti concreti — non ideologici — sulla traiettoria globale delle rinnovabili.
La Cina, dall’altra parte, mostra una parabola diversa ma non priva di criticità. Pechino ha annunciato nuovi impegni: la prima riduzione assoluta delle emissioni entro il 2035 (-7/10% rispetto al picco), l’aumento della quota di fonti non fossili oltre il 30% e l’obiettivo di moltiplicare per sei la capacità solare ed eolica rispetto al 2020, mirando a 3.600 GW installati. Tuttavia, il governo ha anche modificato i meccanismi di prezzo per l’energia rinnovabile, passando da tariffe fisse a un sistema di aste che ha reso meno prevedibile l’economia dei progetti e ha spinto l’Aie a correggere al ribasso le sue stime per la Cina. In sostanza: ambizione strategica e riforme di mercato convivono con incertezze che pesano sulle tempistiche d’installazione.
Questo contrasto — Usa che arretrano per scelta politica, Cina che avanza ma con ragionamenti economici e tecnici che complicano il ritmo — è la ragione principale del gap rispetto all’obiettivo di Cop28. L’Aie non dice che la transizione sia finita, ma che senza politiche più robuste, snellimento delle autorizzazioni, e incentivi stabili i numeri non saranno sufficienti. Le energie rinnovabili restano molto competitive sul piano dei costi, ma la loro diffusione dipende da scelte pubbliche visibili e durature.
Nel mezzo di questa partita globale, l’Unione Europea si pone come caso di studio opposto: a giugno 2025, ha appena certificato Eurostat, il solare è stato per la prima volta la principale fonte di elettricità nell’Ue, con il 22% della generazione mensile, superando il nucleare e l’eolico; nel secondo trimestre del 2025 le rinnovabili hanno raggiunto il 54% del mix elettrico dei Ventisette. Sono risultati che raccontano di un percorso in cui politiche di sostegno, integrazione di rete e investimenti pubblici hanno prodotto un’accelerazione evidente. Tuttavia, anche nell’Ue l’espansione incrocia opposizioni: conflitti locali, lentezze amministrative e dibattiti politici mettono freni che, se non affrontati, ostacolano la replicabilità del modello in altri contesti.
L’Italia, da parte sua, paga la sua parte di ritardo. Nonostante nel 2024 siano stati installati 6,6 GW nuovi di capacità rinnovabile — con il fotovoltaico a trainare le installazioni — il ritmo resta insufficiente per centrare gli obiettivi del Pniec: servirebbero circa 10,7 GW all’anno per colmare un gap che oggi si misura in decine di gigawatt. Dati più recenti indicano un rallentamento nei primi mesi del 2025: tra gennaio e maggio sono stati aggiunti meno gigawatt rispetto allo stesso periodo del 2024, e il quadro territoriale è sbilanciato: la maggior parte delle aree vaste è in posizione di svantaggio secondo il rapporto BenVivere diffuso nei giorni scorsi al Festival nazionale dell’Economia civile di Firenze. Le ragioni sono note: burocrazia lenta, complicazioni nelle autorizzazioni, carenza di progetti utility scale e un eolico che fatica a decollare. Senza una normalizzazione delle procedure e incentivi mirati, la crescita osservata rischia di esaurirsi.
Cosa serve, quindi, per tornare a credere che il traguardo di Cop28 sia ancora possibile? Secondo molti esperti, stabilità normativa e fiscale (per evitare che gli investitori paghino il conto delle oscillazioni politiche), semplificazione delle autorizzazioni e potenziamento delle reti elettriche per integrare volumi crescenti di energia variabile. In più, una cooperazione internazionale che riduca le tensioni sulle catene di approvvigionamento — componenti solari, terre rare, turbine — è indispensabile per non trasformare il boom di domanda in strozzature produttive.

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