Fondazioni a caccia di competenze: in Cattolica un corso di alta formazione
Nascono nuove fondazioni, le vecchie si rinnovano complice il passaggio generazionale che segnerà un travaso record di ricchezza. Ma mancano professionisti competenti a gestire erogazioni e bilanci

L’America è sempre lontana, per quantità e qualità, ma anche nella piccola Italia della filantropia qualcosa si muove: nuove fondazioni, nuovi progetti, nuove collaborazioni. Anche perché tanto piccola, alla fine, l’Italia del “give back” non è più: in un recente quaderno della Fondazione Cariplo si ricordava che a fronte di una ricchezza complessiva delle famiglie italiane pari a 8.500 miliardi, il passaggio generazionale vedrà trasferiti 1.100 miliardi tra il 2020 e il 2030 e addirittura 3.222 miliardi tra il 2030 e il 2040. Quando si muore non per forza si fa beneficenza, ma nel caso puramente teorico in cui tutte le persone singole e le famiglie senza eredi dovessero devolvere interamente il proprio patrimonio a istituzioni di beneficenza, i lasciti al Terzo Settore sarebbero pari a 20,8 e 88,1 miliardi.
Cifre che danno l’idea dell’inedita congiuntura in cui presto ci troveremo. E che aiutano a capire perché non passi giorno in cui non si senta parlare di una nuova fondazione. «Prima dell’inizio del millennio, gran parte delle fondazioni italiane assumeva la forma della fondazione operativa: la fondazione gestiva in prima persona un museo, una casa di riposo, una mensa per poveri – segnala Gian Paolo Barbetta, docente all’Università Cattolica e responsabile del Centro di ricerche sulla cooperazione e sul non profit -. Ora sono molto più diffuse le fondazioni di erogazione: gestiscono un patrimonio finanziario ed erogano risorse economiche a fondo perduto a soggetti che le aiutano a perseguire i propri obiettivi». Un cambio di pelle che porta con sé una diversa domanda di competenze: «Gestire una fondazione di erogazione non è un mestiere semplice: presuppone di determinare obiettivi di cambiamento, di sviluppare strategie erogative, di mettere in atto strumenti operativi e di provare a comprendere se le erogazioni sono state efficaci», aggiunge Giampiero Giacomel, fondatore e managing director di Cultural Philanthropy, società specializzata nella consulenza, formazione e ricerca sulla filantropia culturale: «Non si improvvisa e sono richieste competenze specifiche che non si limitano a quelle comunicative e gestionali tradizionali».
Da queste premesse nasce una nuova iniziativa di formazione specifica, il corso executive in Philanthropy organizzato dalla Cattolica, che vede lo stesso Barbetta nel ruolo di direttore scientifico e Giacomel in quello di coordinatore didattico. Il progetto riprende il filo di quello avviato in passato all’Università di Torino e vedrà iniziare il nuovo percorso formativo a settembre; articolato in 72 ore di formazione frontale (al sabato) e 22 online, il corso terminerà ad aprile 2026 e punta a formare tre diversi profili: il philanthropy advisor, il funzionario di fondazione e la poliedrica figura di chi si occupa di filantropia aziendale. Il corso – rivolto sia a chi sta già lavorando nel settore, sia a chi vorrebbe fare di queste attività il proprio lavoro - parte dai fondamenti della filantropia, attraversa il contesto giuridico che caratterizza le fondazioni, giunge alla formulazione della strategia erogativa per concludersi con l’analisi delle metodologie per stabilire relazioni causa-effetto tra le attività svolte e i cambiamenti osservati nella realtà. Più testa, in pratica, e strumenti. Perché «la filantropia spesso guidata dal solo “cuore” non basta più nella nostra società diversificata, globale e multietnica – conclude Barbetta -. Serve un approccio professionale che porti anche “cervello” per disegnare strategie e concepire azioni coerenti, nonché la capacità di comprendere con rigore i risultati sia economici che sociali generati da ogni azione filantropica». © riproduzione riservata
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