Basu: andiamo oltre il Pil, per mettere le persone al centro

di Francesco Riccardi inviato a Firenze
L’economista indiano è il co-presidente del gruppo di studio dell’Onu chiamato a individuare nuove metriche e politiche per la crescita economica e sociale
October 5, 2025
Basu: andiamo oltre il Pil, per mettere le persone al centro
L'economista indiano Kaushik Basu, docente alla Cornell University
«Il nostro obiettivo è mettere a disposizione dei Paesi nuovi strumenti di analisi, in maniera che i governi non competano più solo sulla crescita economica, al di là di come questa viene ottenuta e come viene distribuita, mettano da parte le politiche iper-nazionaliste e pongano al centro invece la nostra comune umanità». Kaushik Basu, originario di Calcutta, professore di economia alla Cornell University, già consigliere del Governo di New Dehli e capo economista della Banca Mondiale, è attualmente il co-presidente del gruppo di studio di alto livello istituito dall’Onu per andare “Oltre il Pil”. In questa intervista anticipa alcuni dei temi che tratterà oggi al Festival dell’Economia Civile a Firenze.
Qual è lo scopo del Gruppo indipendente di alto livello per sviluppare una nuova misura del benessere, istituito dal Segretario Generale dell’Onu e di cui lei è co-presidente?
Negli ultimi anni si è diffusa la consapevolezza di una contraddizione evidente: da una parte l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, che punta allo sviluppo sostenibile; dall’altra, il continuo confronto fra Stati, quasi un gioco competitivo, solo sulla crescita e sull’incremento del Prodotto interno lordo. Come se il Pil fosse l’unico parametro per stabilire il successo di un Paese. Proprio per affrontare questa sfida, il Segretario Generale António Guterres ha istituito il gruppo di studio di alto livello “Beyond Gdp”, per andare oltre il Pil. In un mondo segnato da conflitti e tensioni, con nubi oscure che si addensano ovunque, cambiare le regole del gioco diventa un obiettivo non solo necessario, ma urgente.
L’Onu dispone già dell’Indice di sviluppo umano (Hdi), che integra salute, istruzione e reddito. Volete spingervi oltre, includendo altri aspetti?
Sì, questo è proprio il nostro intento. Il gruppo di studio è stato istituito per lavorare in questa direzione. Parlo a titolo personale, perché non voglio sostituirmi alla voce degli altri membri, ma posso dire che ho accettato di essere co-presidente con entusiasmo. L’Indice di sviluppo umano ha avuto un ruolo storico, ci ha aiutato a ridefinire gli obiettivi e a superare la logica esclusiva del Pil. Ma restano sfide enormi. Penso, per esempio, a un limite cruciale: il Pil non tiene in alcun conto la distribuzione della ricchezza. Questo può avere effetti molto dannosi, perché incoraggia dinamiche di clientelismo e di concentrazione dei benefici in poche mani. La gente viene spinta ad applaudire la crescita del Pil, anche quando questa crescita è determinata dall’arricchimento di pochi super-ricchi. È questo il gioco che dobbiamo cambiare: lo sviluppo deve avere al centro equità e sostenibilità, altrimenti rischiamo di smarrire il senso stesso del progresso umano.
A che punto siete con i vostri lavori? Quando prevedete di presentare una proposta finale?
In realtà siamo nel pieno del lavoro, che sta procedendo bene. Il calendario è serrato e, se tutto andrà come previsto, la proposta finale sarà pronta entro l’inizio del 2026.
Nel 2015 l’Onu ha lanciato gli Obiettivi di sviluppo sostenibile per il 2030, ancora molto lontani dall’essere raggiunti. Il vostro lavoro si inserisce in questo quadro? Può facilitare il conseguimento di quegli obiettivi?
Il nostro lavoro si inserisce certamente in quel quadro, ma con l’ambizione di andare oltre. Durante la prima riunione in presenza del gruppo di studio, che si è svolta il 6 e 7 settembre a New York, Amina Mohammed, Vice Segretaria Generale delle Nazioni Unite, ha tenuto un discorso profondo e motivante. Ha sottolineato che il mondo sta vivendo un passaggio delicatissimo, un vero punto di svolta. E che, in quanto gruppo indipendente, abbiamo la possibilità – e direi anche la responsabilità – di pensare fuori dagli schemi. È questo lo spirito con cui stiamo portando avanti i lavori.
Oltre a una nuova metrica, a una diversa metodologia di misurazione dello sviluppo, proporrete anche politiche da mettere in pratica? E in quale direzione?
Personalmente spero che il nostro contributo non si limiti a proporre indicatori, ma riesca davvero a orientare le politiche. Cambiare la bussola dello sviluppo, spostandola da un concetto ristretto di Pil, può aiutare i governi ad abbandonare politiche basate sull’iper-nazionalismo. La mia speranza è che si arrivi a un approccio che celebri la nostra comune umanità, ricordandoci che le scelte di oggi segneranno il mondo che erediteranno le generazioni future. Non possiamo ignorare questa responsabilità.
Nell’Economia Civile, le relazioni tra le persone sono poste al centro. Oltre al reddito, alla salute e all’istruzione, le persone hanno bisogno di sentirsi parte di una comunità per costruire un percorso condiviso di sviluppo umano, capace di generare la felicità individuale e quella collettiva. Lei condivide questa visione?
Lo spirito dell’Economia Civile, e del Festival in corso a Firenze, è molto vicino al lavoro che stiamo portando avanti con il gruppo di studio “Beyond Gdp”. Anche il Festival invita a compiere un cambiamento radicale: ci allontana da un’economia fondata esclusivamente sull’interesse personale e ci orienta verso un’economia che valorizza i legami, le relazioni, la vita comunitaria. È un richiamo profondo alle radici del pensiero illuminista, da David Hume ad Antonio Genovesi. Non è un caso che oggi, in un mondo frammentato e polarizzato, questo messaggio risuoni con tanta forza.

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