sabato 8 marzo 2025
Alle adolescenti è vietato studiare, così l’unica alternativa all’isolamento sono le scuole religiose. Si impara a memoria il Corano «ma non abbiamo altre possibilità»
Due giovani alunne fuori da una moschea che ospita anche la scuola coranica

Due giovani alunne fuori da una moschea che ospita anche la scuola coranica - Rukhshana Media

COMMENTA E CONDIVIDI

Dare voce alle donne. Quando e dove non ne hanno. Perché della loro condizione ancora troppo svantaggiata si sappia e si parli. Dal Libano all’Iraq, dal Messico alla Nigeria, dall’Afghanistan alla Somalia, dall’India al Perù: sono 10 le reti indipendenti di giornaliste che hanno aderito alla nostra proposta “Donne senza frontiere”, il progetto di Avvenire per l’8 marzo 2025. A partire da oggi pubblicheremo ogni 15 giorni un reportage di ciascuna delle reti coinvolte. Questa prima puntata è stata realizzata dalla direttrice della rete Rukhsana Media, Zahra Joya. La redazione si trova a Londra, le croniste scrivono in segreto da Kabul.

Mahdia aveva 14 anni quando, nel 2021, i taleban sono tornati al potere. Frequentava la sesta classe, l’ultimo anno della scuola primaria pubblica. Quell’agosto, non immaginava che la sua vita sarebbe cambiata drasticamente. Tra le prime azioni della nuova dittatura è arrivato il divieto di istruzione secondaria per tutte le ragazze.

Le lacrimedi Mahdia e Hakima

Per le adolescenti che vivono oggi nell’Emirato islamico dell’Afghanistan non restano che le madrase. Non ci sono alternative : prendere o lasciare. Mahdia è andata a scuola solo per altri quattro mesi. L’anno successivo nulla. Lontana dai banchi, costretta a rimanere tutto il giorno a casa, è scivolata in una devastante depressione. La madre Hakima, 37 anni, ricorda ancora il dolore di quei giorni: «Vedevo mia figlia rimanere seduta in un angolo della sua stanza a piangere tutto il giorno. I taleban avevano vietato a donne e ragazze anche di uscire di casa da sole. Non avevamo nessun posto dove andare. A un certo punto si è ammalata e l’abbiamo dovuta portare in ospedale. È stato il medico, lì, a dirci che soffriva di un forte stato depressivo e che il rischio di degenerare in una grave malattia mentale era alto. Ero terrorizzata e, pensando che avrei potuto perderla, ho pianto».

Hakima ha così cominciato a cercare un modo per aiutare la figlia a uscire dal buio. «Ho parlato con alcune donne del quartiere e mi hanno suggerito – ricorda - di mandarla alla madrasa affinché potesse, almeno, rivedere le sue amiche di scuola, tenere la mente occupata e sentirsi meglio». Così è stato. Nonostante le tante perplessità, Mahdia è stata iscritta alla scuola religiosa. Come lei hanno fatto tante altre ragazze pur consapevoli che non avrebbero studiato né matematica né letteratura ma che si sarebbero dovute dedicare all’apprendimento mnemonico del Corano. Niente di paragonabile alla scuola vera. «Le materie tradizionali sono più utili ed essenziali di quelle impartite in una madrasa – insiste -. Scienza e tecnologia, per esempio, hanno un impatto più positivo sulla vita e sullo stato mentale di una persona». Tuttavia, ammette amaramente, «noi non avevamo alternative». Chi, in famiglia, non era particolarmente d’accordo con questa decisione è stata Farrokh-Liqa, la nonna 51enne. «Non ho mai mandato i miei figli alle scuole religiose – racconta – perché non sono luoghi di istruzione moderna». Mahdia stessa non è interessata all’istruzione religiosa. Per lei, andare in una madrasa è eseguire i consigli del medico e della sua famiglia, l’occasione per trascorre qualche ora fuori casa ogni giorno e visitare una moschea nei pressi della propria abitazione. «Le lezioni sono ripetitive – ammette – sempre le stesse di generazione in generazione». La giovane continua a sognare una scuola vera: «Mi piace la tecnologia e vorrei tanto studiare informatica – confida – ma finché i taleban saranno al potere so che sarà impossibile». Da quando le è stato vietato di andare a scuola, Mahdia è rimasta in contatto solo con una delle sue ex compagne: Razia. «Non era solo un’amica di classe – precisa – ma anche la persona a me più cara. Lei, che come me non può più studiare, ora trascorre il tempo tessendo tappeti con i suoi fratelli. La maggior parte delle altre è caduta in depressione».

La posa della prima pietra di una scuola religiosa nella provincia di Bamiyan, alla presenza di un gruppo di studentesse. Normalmente alle alunne non è consentito uscire dalle classi ma le autorità le invitano alla cerimonia per propaganda

La posa della prima pietra di una scuola religiosa nella provincia di Bamiyan, alla presenza di un gruppo di studentesse. Normalmente alle alunne non è consentito uscire dalle classi ma le autorità le invitano alla cerimonia per propaganda - Rukhshana Media

La grande rete delle scuole coraniche

Sotto il dominio dei taleban, le istituzioni educative del Paese hanno subito cambiamenti significativi, con un maggiore supporto ed espansione delle scuole religiose, gestite dal ministero degli Affari Religiosi, a scapito di quelle tradizionali. Attualmente, in Afghanistan, il numero delle madrase supera quello degli istituti di istruzione pubblici e privati. Secondo il ministero dell’Istruzione, questi ultimi sono circa 18mila; quelli religiosi superano quota 21.257 con oltre tre milioni di giovani iscritti. All’inizio dell’anno scolastico 1401 del calendario afghano (marzo 2022 in Occidente) il leader dei taleban, Hibatullah Akhundzada, ha emesso un decreto per la creazione di “scuole jihadiste” incoraggiandone l’istituzione in ciascuna provincia, con una capacità di accogliere fino a 1.000 studenti. Tre mesi dopo, la prima di questo tipo è stata inaugurata nell’area di “Pul-e-Charkhi”, a est di Kabul. Le autorità l’hanno definita la più grande del Paese. Entro la fine dell’anno, i funzionari taleban hanno annunciato che una scuola jihadista centrale era stata istituita in tutte le 34 province dell’Afghanistan.

Il governo islamico non si è opposto all’istruzione laica in senso assoluto. I ragazzi possono ancora andare a scuola ma non le giovani che devono concludere il ciclo di studi al sesto (e ultimo) livello della formazione primaria, tra 12 e 14 anni. L’Afghanistan è ora l’unico Paese al mondo in cui le bambine sono private del fondamentale diritto allo studio. A loro sono precluse le classi secondarie e l’università. Per tutta risposta, il ministero dell’Istruzione ribadisce che non ci sono «restrizioni di età» per l’educazione femminile nelle scuole religiose. Le donne, questo racconta la cronaca che arriva da alcune comunità, come quella di Bamiyan, vengono invitate alle cerimonie di inaugurazione delle nuove madrase, o alla deposizione della prima pietra di quelle che verranno costruite, solo per propaganda. A loro, in genere, è proibito uscire dalle aule.

Quaderno e pennaper Sharifa

Sharifa, 13 anni, attualmente frequenta la sesta classe e, durante le vacanze invernali, per quattro ore al giorno segue anche le lezioni di una madrasa a Kabul. «Gli studi religiosi sono utili, imparo molte cose ma – precisa - ma sono preoccupata perché alla fine di quest’anno non potrò più proseguire il mio percorso di istruzione. Spero che il regime talebano cada». Fatima, la madre 51enne, dice che può permettersi di mandare a scuola solo una delle sue figlie femmine. «Mio figlio ha studiato fino alla nona classe ma – confessa – non avevamo la disponibilità economica per poterlo aiutare a proseguire». La donna spiega che andava a scuola anche un altro dei suoi maschietti ma quattro anni fa, ricorda, «al suo istituto c’è stato un attentato suicida, si è molto spaventato e non è mai più tornato in classe». «Mio marito lavora alla giornata ma – conclude – non in maniera continuativa perché a volte non trova nessuno che lo ingaggi. La sua paga, quando ce l’ha, è di 60 afghani al giorno. All’inizio dell’anno scolastico sono riuscita a comprare per Sharifa un quaderno e una penna per 50 afghani».

Ha collaborato Haniya Frotan
Traduzione dall’inglese di Angela Napoletano


>> Rukhshana Media è una piattaforma in lingua inglese e dari specificatamente dedicata alla questione femminile in Afghanistan. L’ha fondata nel 2020 la giornalista Zahra Joya che oggi continua a dirigerla da Londra, dove vive in esilio. Della rete fanno parte reporter che, da Kabul, lavorano in segreto e sotto pseudonimo per motivi di sicurezza. Rukhshana è il nome di una diciannovenne, di un villaggio della provincia di Ghor, che nel 2015 è stata brutalmente lapidata e uccisa per adulterio:aveva deciso di rompere un matrimonio forzato e fuggire con l’uomo che amava. Il video di 30 secondi che documentava i suoi ultimi istanti di vita, in una fossa scavata sulla collina brulla con un gruppo di uomini a guardarla morire, fece allora il giro del mondo. «In una società che punisce le scelte fondamentali delle donne – si legge nella presentazione del portale – raccontare le loro storie è una sfida che accogliamo per generare dibattiti e informare, per analizzare e indagare le problematiche legate alla condizione femminile nel nostro Paese». La direttrice Joya, oggi 33enne, racconta che da bambina, durante il primo regime taleban, si travestiva da ragazzo per poter andare a scuola. Costretta a fuggire da Kabul nel 2021, con il ritorno al potere dei fondamentalisti islamici, la giornalista continua a lottare dal Regno Unito per i diritti delle donne afghane e per raccontare le loro sofferenze e denunciare il regime di apartheid di genere imposto dai taleban. Nel 2022 è stata nominata “Donna dell’Anno” dalla rivista Time proprio per il suo lavoro. Le storie pubblicate da Rukhshana Media sono il frutto di inchieste realizzate in tutte le province dell’Afghanistan, anche in quelle più remote, essenziali ad aprire una finestra di informazione qualificata utile anche ai media internazionali e alla diaspora afghana nel mondo.


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI