Leone XIV agli influencer: «Non contano i follower. Siate agenti di comunione»
L'incontro a sorpresa nella Basilica di San Pietro. «Dare spazio all’altro più che a se stessi». La missione di «nutrire una cultura di umanesimo cristiano». Seminare la «pace» anche attraverso il web

Si sa: il mondo digitale ha bisogno di sorprese. E Leone XIV ne regala una preziosa ai volti “cattolici” del web arrivati da tutto il mondo a Roma: l’incontro con loro nella Basilica di San Pietro. Non previsto nel programma ufficiale del Giubileo degli influencer, si concretizza questa mattina dopo la Messa all’altare della Cattedra presieduta dal cardinale Luis Antonio Tagle. In realtà la voce dell’udienza “inattesa” si diffonde presto. E la Basilica Vaticana si riempie di giovani che hanno invaso la Capitale per il loro Giubileo. Voglia di stringersi attorno al nuovo Papa: per i ragazzi e per i «missionari digitali», come la Santa Sede definisce i 1.100 “testimonial” del Vangelo su Internet che sono i protagonisti delle due giornate dell’Anno Santo dedicate a loro. Selfie con Leone XIV, strette di mano, video, scambi di battute veloci assieme al Pontefice riprese dai telefonini che si alzano sopra le teste quando il Papa passa a piedi in mezzo al popolo “giovane” che lo attende fra le navate. Eppure, avverte il Pontefice, non conta «il numero dei follower» e servono «reti che diano spazio all’altro più che a se stessi, dove nessuna “bolla” possa coprire le voci dei più deboli». Non è un Papa che ammonisce, ma che mette in guardia dai rischi di una tecnologia sul crinale del disumano. «Non si tratta semplicemente di generare contenuti, ma di incontrare cuori, di cercare chi soffre e ha bisogno di conoscere il Signore per guarire le proprie ferite, per rialzarsi e trovare un senso».

La sfida digitale è un tema caro a Leone XIV. Vuoi perché è un Papa laureato in matematica; vuoi perché è il primo Pontefice della storia che ha e continua a usare il cellulare. Non è un caso che abbia parlato di «intelligenza artificiale col suo potenziale immenso» nella sua prima udienza, quella ai giornalisti quattro giorni dopo l’elezione al soglio di Pietro. «La scienza e la tecnica – dice ai missionari digitali – influenzano il nostro modo di essere e di stare nel mondo, fino a coinvolgere persino la comprensione di noi stessi e il nostro rapporto con gli altri e con Dio. Ma niente che viene dall’uomo e dal suo ingegno deve essere piegato sino a mortificare la dignità dell’altro. La nostra, la vostra missione, è nutrire una cultura di umanesimo cristiano, e di farlo insieme. Questa è per noi la bellezza della “rete”». È ancora più diretto quando aggiunge: «Oggi ci troviamo in una cultura nuova, profondamente segnata e costruita con e dalla tecnologia. Sta a noi – a voi – far sì che questa cultura rimanga umana».

La comunità ecclesiale non ha paura delle trasformazioni, ricorda papa Leone. «Di fronte ai cambiamenti culturali, la Chiesa non è mai rimasta passiva; ha sempre cercato di illuminare ogni tempo con la luce e la speranza di Cristo, di discernere il bene dal male, quanto di buono nasceva da quanto aveva bisogno di essere cambiato, trasformato, purificato». E oggi, «in una cultura dove la dimensione digitale è presente quasi in ogni cosa, in un tempo in cui la nascita dell'intelligenza artificiale segna una nuova geografia nel vissuto delle persone e per l’intera società», si impone «il dovere di elaborare insieme un pensiero e un linguaggio che, nell’essere figli del nostro tempo, diano voce all’amore».

Leone XIV è consapevole che il web, coperto anche dall’anonimato di chi lo abita, possa essere il regno dei peggiori istinti. Ecco perché occorre essere «agenti di comunione, capaci di rompere le logiche della divisione e della polarizzazione; dell’individualismo e dell’egocentrismo». E agli influencer venuti in San Pietro per «rinnovare l’impegno a nutrire di speranza cristiana le reti sociali e gli ambienti digitali» affida un compito: «Siate centrati su Cristo per vincere le logiche del mondo, delle fake news, della frivolezza, con la bellezza e la luce della verità». Un mondo offeso dai conflitti: sul terreno e nel web. E, come all’inizio del suo pontificato, il primo vocabolo che pronuncia di fronte ai missionari digitali è «pace». «Quanto abbiamo bisogno di pace in questo nostro tempo dilaniato dall’inimicizia e dalle guerre. E quanto ci chiama alla testimonianza il saluto del Risorto: “Pace a voi!”». Poi chiarisce: «Questa è la missione della Chiesa: annunciare al mondo la pace! La pace ha bisogno di essere cercata, annunciata, condivisa in ogni luogo; sia nei drammatici luoghi di guerra, sia nei cuori svuotati di chi ha perso il senso dell'esistenza e il gusto dell'interiorità, della vita spirituale. E oggi, forse più che mai, abbiamo bisogno di discepoli missionari che portino nel mondo il dono del Risorto; che diano voce alla speranza che ci dà Gesù vivo».

Quindi l’appello che, partendo dal Vangelo, gioca sul doppio significato del termine “rete”. «Andate a riparare le reti», aveva invitato Gesù chiamando i primi apostoli. «Lo chiede anche a noi – sottolinea il Papa –. Anzi ci chiede oggi di costruire altre reti: reti di relazioni, reti d'amore, reti di condivisione gratuita, dove l'amicizia sia profonda. Reti dove si possa ricucire ciò che si è spezzato, dove si possa guarire dalla solitudine. Reti che liberano, che salvano. Reti che ci fanno riscoprire la bellezza di guardarci negli occhi». Non soltanto attraverso uno schermo.
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