venerdì 10 febbraio 2023
Solenne celebrazione nella Basilica di San Giovanni in Laterano, presieduta dal presidente della Cei
Il cardinale Zuppi alla Messa per i 55 anni di Sant'Egidio

Il cardinale Zuppi alla Messa per i 55 anni di Sant'Egidio - Agenzia Romano Siciliani

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La Comunità di Sant’Egidio compie 55 anni. E come da tradizione festeggia il compleanno con una solenne celebrazione nella Basilica di San Giovanni in Laterano, la cattedrale della diocesi di Roma, la Chiesa che ha generato questa esperienza ecclesiale fondata da Andrea Riccardi sulla scia del Concilio. Quest’anno la liturgia è presieduta da un “figlio” della Comunità. Un “figlio” della prima ora, il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, dopo essere stato ausiliare del cardinal vicario e prima ancora parroco della centrale Basilica di Santa Maria in Trastevere e nella periferica Santi Simone e Giuda Taddeo a Torre Angela.

Questa di Roma è la prima di tante altre celebrazioni negli oltre 70 Paesi in cui è presente Sant’Egidio, dall’Europa all’Africa, dall’Asia all’America.

La Basilica Lateranense accoglie gente di ogni età e condizione sociale insieme agli amici della Comunità ora presieduta da Marco Impagliazzo. Nel “popolo” che partecipa alla liturgia tanti i senza dimora, gli anziani, le persone con disabilità, gli immigrati oggi integrati nel nostro paese e i rifugiati venuti con i corridoi umanitari. Ma anche i profughi ucraini. Numerose le autorità. I ministri Tajani (Esteri), Piantedosi (Interno) e Valditara (Istruzione). La figlia del presidente Mattarella, Laura. Presente anche il direttore di Avvenire Marco Tarquinio con il direttore generale Alessandro Belloli.

Con Zuppi concelebrano numerosi cardinali e vescovi. Tra gli altri il suo predecessore alla guida della Cei Gualtiero Bassetti e l’attuale segretario generale, l’arcivescovo di Cagliari Giuseppe Baturi. Alla consacrazione salgono sull’altare il cardinal decano Giovanni Battista Re, il cardinal vicario Angelo De Donatis con Walter Kasper e Kevin Farrell. Nell’omelia Zuppi dipinge la Comunità come un’Arca di Noè dove «il grido di pace di interi popoli» ha trovato «ascolto, protezione, compagnia, casa, luce, calore». Il porporato ricorda «le tante comunità sparse nel mondo, dai piccoli e sperduti villaggi nel Nord del Mozambico o del Congo, segnati dalla violenza alle tante comunità in Ucraina e in Russia che nella tempesta della guerra non hanno smesso di aiutare i più deboli». Invita tutti a continuare ad «accendere luci di speranza e a mostrare un mondo migliore quando intorno c’è il buio della violenza, della guerra, ma anche quello della solitudine e dell’insignificanza». Esorta tutti ad essere operatori di pace, a «conservare un cuore umano di agnello anche quando il mondo diventa lupo, crede solo nelle armi e non sa più trovare umanità». A gettare «semi di un mondo diverso, per iniziare già oggi dove siamo il cessate il fuoco, disarmando le mani e le menti e riempiendole di sentimenti e legami di amore». Perché dove «la guerra spegne anche i sogni e gli slanci» le comunità di Sant’Egidio «li riaccende, li difende, germoglio di pace che continua a fiorire, anticipo della pace che può fare fiorire la vita».

Così Sant’Egidio tutto «è un popolo di operai di pace, perché avvicina i cuori, combatte le barriere, abbatte i muri, costruisce luoghi dove Fratelli tutti non è solo una visione grande ma la realtà di comportamenti e parole».

Zuppi ha parole di riconoscente affetto per il fondatore e per il presidente. Ringrazia «Andrea» che «non smette di lottare con inquietudine e intelligenza contro le tenebre del male», e che «continua a sognare di cambiare il mondo, perché ascolta Dio e la sua passione per le messi». E ringrazia «Marco» con tutta la presidenza per l’impegno profuso affinché la Comunità sia davvero «una madre che non dimentica nessuno». E terminata la liturgia è proprio il presidente Impagliazzo a rivolgere il saluto finale. Con «il più affettuoso e filiale pensiero» a papa Francesco e con «un deferente saluto al Presidente della Repubblica che sentiamo tanto vicino e di cui conosciamo la partecipazione con cui segue la nostra opera».

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