giovedì 8 aprile 2021
Il virus si è portato via una delle figure più amate della città: il cappuccino padre Corrado Lancione, presenza familiare a chi frequentava l'ospedale. Era stato estratto vivo dalle macerie del sisma
Padre Corrado Lancione

Padre Corrado Lancione

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Il suo sorriso – veramente serafico – ha accompagnato i giorni e le degenze di tanti pazienti all'ospedale San Salvatore dell'Aquila. Padre Corrado Lancione – al secolo Domenico – la prima cosa che sapeva donare ai "parrocchiani" dell'ospedale era proprio il sorriso con cui riusciva a trasmettere amicizia e fraternità. Il religioso cappuccino, che portava bene i suoi 86 anni, non è riuscito a sconfiggere il Covid. Aveva lasciato il servizio di cappellano da poco più di un anno, ma per quarant'anni è stato un punto di riferimento, insieme ai suoi confratelli cappuccini, per chi era ricoverato in ospedale.
Fedele, generoso e sempre presente: chi è stato più volte nell’ospedale aquilano sapeva ormai che il suono del campanello annunciava l'arrivo di padre Corrado. Letto per letto. Per una confessione, per distribuire l'Eucaristia, per una parola di conforto. Per un sorriso.
Sessantuno anni di sacerdozio, offerti per due terzi sempre a servizio dei malati, prima in una clinica privata cittadina e poi nell'ospedale del capoluogo abruzzese.
Scampato dal terremoto del 2009 ed estratto dalle macerie grazie ai novizi del Convento di Santa Chiara in città, padre Corrado non aveva mai abbandonato i suoi malati. Era rimasto con loro, all'aperto, nel piazzale antistante il «San Salvatore» dove i pazienti erano stati collocati nell'immediato post-sisma. Poi lo vedevi girare tutte le tendopoli per cercare i "suoi" malati, quelli meno gravi, che vivevano nelle tende blu della Protezione Civile.
Aveva fatto anche il parroco nei primi anni anni del suo ministero. Nel paese più alto dell'Appennino centrale, Rocca di Cambio, e poi nella periferia dell'Aquila, a Pile, nella parrocchia di San Giovanni Battista.
In una recente intervista, dopo essersi congedato dall'ospedale, aveva ricordato i suoi anni di ministero in parrocchia: «Nella vita parrocchiale ho sperimentato le sofferenze della gente. Così iniziai a girare tra i malati, sulla scia dei miei confratelli padre Raffaele Di Clemente e padre Urbano Gizzi. Negli ammalati ho riconosciuto il volto di Cristo. Così ho continuato a dedicarmi sempre a loro».
«A Dio, padre Luciano – lo ha salutato su Facebook un aquilano –, amico dei malati e dei sofferenti. Sono sicuro che ci saranno molti malati ad accompagnarti davanti al Signore: quei malati per i quali sei stato sempre presente e capace di cura evangelica».

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