sabato 19 novembre 2016
Il fondatore della Chiesa evangelica della Riconciliazione spiega il ruolo di papa Francesco nello «sciogliere il ghiaccio» con la parte del mondo protestante meno incline al dialogo ecumenico
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«Ci sentiamo con una certa regolarità e ci vediamo anche, quando è necessario» dice Giovanni Treattino del Papa. Fondatore e pastore della Chiesa evangelica della Riconciliazione, Traettino è l’amico di vecchia data di Bergoglio – «ci siamo conosciuti dieci anni fa» – che fu destinatario di una sua celebre visita a Caserta, nel luglio del 2014. Visita che sollevò la curiosità e anche lo stupore di molti: un Pontefice che si prende la briga di andare a trovare un amico... pentecostale. Traettino ha letto l’intervista di Francesco ad Avvenire con l’interesse di chi si sente parte in causa, soprattutto per i passaggi sul dialogo ecumenico e in specifico con il mondo protestante. Lo ha colpito innanzitutto, dice, «l’umiltà non finta dell’uomo, con il suo richiamo costante all’azione dei Papi che lo hanno preceduto, a partire da Giovanni XXIII passando per Paolo VI ecc. Anche se il suo merito personale, nel processo ecumenico di questi anni, è grande». Ancora, lo colpisce «la riaffermata comprensione del Dio cristiano come di un Dio “debo-le”: la misericordia è il nome di Dio ma è anche il suo punto “debole”. Quindi un Dio umile, servo».

A seguire, Traettino sottolinea il tema «dell’evangelizzazione non come proselitismo, ma come attrazione: anche questo discende da una specifica comprensione di Dio attraverso il volto di Cristo. La responsabilità del cristiano, fa capire papa Francesco, è quella di proclamare Cristo, chiamare le persone ad accettarlo come loro Signore e salvatore. Questo non partendo dalle polemiche, dalle discussioni sulle differenze tra gli uni e gli altri, ma partendo dal patrimonio comune, dall’annuncio fondamentale del Vangelo, dell’amore per Dio e dell’amore per gli uomini». L’evento di Lund, in Svezia, ha mostrato il grado di cordialità, altissimo, dei rapporti tra cattolici e luterani. Ma oggi la parte più cospicua e dinamica del mondo protestante è costituita dai pentecostali. E parlare con loro di ecumenismo è assai più complicato... «Bisogna innanzitutto capire – spiega Traettino – che i pentecostali tendono a prendere le distanze dalla storia dell’ecumenismo come è stato impostato e vissuto dal Consiglio mondiale delle Chiese, soprattutto per una riserva nei riguardi della teologia liberale, perché quello pentecostale è un movimento che dal punto di vista teologico è conservatore, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti legati all’etica – sui quali è paradossalmente più vicino alla Chiesa cattolica che a diverse denominazioni protestanti».

Poi, continua il pastore pentecostale di Caserta, «c’è stata una storia di ostilità e incomprensioni, in particolare nei primi 50 anni del secolo scorso, quando i pentecostali hanno fatto l’esperienza della persecuzione soprattutto nei Paesi di tradizione cattolica. A livello psicologico ciò ha creato un disagio, un malessere che ha iniziato a essere superato con il Concilio Vaticano II: penso all’amicizia tra Giovanni XXIII e David Du Plessis, pentecostale sudafricano poi vissuto negli Usa. Su questa amicizia si è potuto imbastire un dialogo semi-ufficiale che è stato gestito per molti decenni dal Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani. Ciò è servito a fecondare i rapporti tra Chiesa cattolica e pentecostali. Si è visto che era possibile intendersi, essere amici, comunicare. Quello che però ha fatto Francesco con la visita alla comunità della Chiesa evangelica della Riconciliazione di Caserta e non solo, ha un sapore rivoluzionario: basti pensare ai tanti documenti delle Chiese sudamericane negli anni passati, dove i pentecostali erano individuati come “sette”. Diciamo che il ghiaccio ha cominciato a sciogliersi e le prospettive per il futuro sono molto interessanti».

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