mercoledì 24 gennaio 2024
La Chiesa cattolica di rito orientale con base in Kerala da gennaio ha una nuova guida, chiamataa risolvere il caso dell’arcieparchia “ribelle”di Ernakulam-Angamaly
L'intronizzazione del nuovo arcivescovo maggiore di Ernakulam-Angamaly, Raphael Thattil

L'intronizzazione del nuovo arcivescovo maggiore di Ernakulam-Angamaly, Raphael Thattil - Syro-malabar Catholic Church

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L’elezione lo scorso 9 gennaio di Raphael Thattil a nuovo arcivescovo maggiore della Chiesa siro-malabarese è una di una quelle notizie che apparentemente riguardano solo gli addetti ai lavori, gli esperti di quell’arcipelago un po’ esotico costituito dalle Chiese cattoliche di rito orientale. In realtà è uno di quei fatti che proiettano la “periferia ecclesiale” al centro e hanno un peso specifico ben maggiore di quanto molti immaginano. Per più di un motivo. Intanto la Chiesa siro-malabarese – che deve il suo nome al rito siriaco orientale che le è proprio e a Malabar, la regione nella parte nord nello Stato indiano del Kerala – con le sue 35 eparchie (diocesi), i suoi 4 milioni e mezzo di fedeli, oltre 10mila sacerdoti tra diocesani e religiosi, e oltre 36mila suore, è la seconda Chiesa cattolica di rito orientale, o sui iuris, dopo la Chiesa greco-cattolica ucraina come grandezza. Una Chiesa dalla storia antichissima, che risale alla predicazione dell’apostolo Tommaso, che partendo dalla Mesopotamia sarebbe arrivato sulle coste dell’attuale Kerala, sudovest dell’India, nel 52 d.C. In secondo luogo la Chiesa siro-malabarese è oggi fra le più feconde di vocazioni e dinamiche in senso missionario nel panorama asiatico (il sito della locale commissione per le vocazioni dice addirittura «del mondo», con una punta di compiacimento forse eccessiva). «Lo scorso anno i nuovi sacerdoti sono stati circa 230» ci conferma al telefono don Abraham Kavilpurayidathil, cancelliere della Chiesa siro-malabarese, «sono tanti i preti che si trovano in missione in Europa, è il modo con cui la nostra Chiesa restituisce alla Chiesa universale il bene ricevuto nei secoli scorsi. Nel nord dell’India ci sono più di 14 vescovi nella Chiesa cattolica latina che provengono dalle nostre file, anche in Africa ce ne sono due. Da noi grazie a Dio non ci sono problemi di mancanza di clero, solo le vocazioni alla vita religiosa femminile stanno dando segni di rallentamento».

In terzo luogo è nella Chiesa siro-malabarese che, paradossalmente pensando alla sua vitalità, che dovrebbe rimandare a una condizione di relativa serenità, è in atto uno degli scontri liturgici più accesi e a tratti drammatici che si siano registrati nell’orbe cattolico dai tempi dell’opposizione alla riforma liturgica post-conciliare capeggiata da monsignor Marcel Lefebvre. La storia è estremamente complessa. In pillole, la larga maggioranza dei sacerdoti e dei fedeli dell’arcieparchia di Ernakulam-Angamaly – il cui arcivescovo è d’ufficio la guida spirituale della Chiesa siro-malabarese, quindi non una diocesi qualsiasi – rifiuta di adottare il rito riformato per la celebrazione della Messa, chiamata Santa Qurbana, come stabilito già nel lontano 1999 dal Sinodo della Chiesa siro-malabarese stessa, in accordo con Roma, e poi nel 2021, con un atto che doveva segnare la fine di 20 anni di traccheggiamento. Ma che invece ha scatenato la protesta a Ernakulam, con scene surreali: preti in sciopero della fame a oltranza, picchetti di fronte alle chiese, missive e documenti ufficiali bruciati in pubblico, la Cattedrale chiusa da allora per sedare i tumulti.

Ma cosa ha scatenato tutto ciò, liturgicamente? Fin dai primi tempi i sacerdoti siro-malabaresi hanno celebrato la Santa Qurbana rivolti ad Orientem, con i fedeli alle loro spalle. Hanno continuato a farlo anche durante il periodo della “latinizzazione”, cioè dell’influsso missionario da Occidente, un’epoca in cui anche il clero occidentale per altro celebrava ad Orientem. La “latinizzazione” ha fatto sì che molte eparchie abbiano seguito spontaneamente il cambiamento avvenuto nella Chiesa latina con la riforma liturgica conciliare e la celebrazione che si è imposta versus populum. Solo che nel frattempo il decreto del Concilio Vaticano II Orientalium ecclesiarum aveva dato un impulso di segno diverso, a recuperare cioè l’originalità delle forme liturgiche orientali, depurandole da sedimenti latini. Ovvero, ritorno alla celebrazione esclusiva ad Orientem.

La soluzione fu trovata nel 1999 dal Sinodo siro-malabarese: celebrazione versus populum durante la liturgia della Parola, celebrazione ad Orientem durante la liturgia eucaristica, e ritorno versus populum nella parte finale della Santa Qurbana. Una soluzione che nel tempo, non subito, è stata accettata da tutti tranne che dall’arcieparchia di Ernakulam-Angamaly, la quale è rimasta ferma in un’opposizione radicale, che cela forse anche motivi extra-liturgici, tra cui una gelosia della propria indipendenza.

Per risolvere la divisione il Papa si è speso in prima persona: ha indirizzato una lettera all’arcieparchia il 25 marzo 2022, ha inviato un suo delegato speciale lo scorso agosto – l’arcivescovo-vescovo di Košice dei bizantini, in Slovacchia, Cyril Vasil’ – e lo scorso 7 dicembre ha mandato un accorato videomessaggio. Lo stesso giorno ha poi accettato le dimissioni del contestato arcivescovo maggiore, il cardinale George Alencherry, e del vescovo Andrew Thazhath, da due anni amministratore apostolico di Ernakulam-Angamaly, decisione che ha portato all’elezione del nuovo arcivescovo maggiore Raphael Thattil.

A lui ora l’arduo compito di portare a termine una pacificazione che sembrerebbe a portata di mano, ma che nei fatti appare ancora tutt’altro che vicina.

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