venerdì 18 marzo 2022
Dopo l'Anno dedicato al Custode di Gesù, la Lettera Patris corde e un ciclo di catechesi del Papa, si traccia un bilancio sulla devozione a san Giuseppe. Parla padre Luigi Testa osj.
«La Sacra Famiglia con un piccolo uccellino», opera di Bartolomé Esteban Murillo

«La Sacra Famiglia con un piccolo uccellino», opera di Bartolomé Esteban Murillo

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Un Anno dedicato alla sua figura, una Lettera apostolica (Patris corde) per tracciarne il profilo, un ciclo di dodici catechesi nell’udienza generale del mercoledì. Davvero mesi intensi quelli che hanno preceduto l’odierna solennità di san Giuseppe. E «nel caso di noi Oblati di San Giuseppe – spiega padre Luigi Testa religioso della congregazione fondata ad Asti nel 1878 da san Giuseppe Marello – dobbiamo aggiungere un Anno straordinario sul nostro patrono che come famiglia religiosa abbiamo voluto dedicargli proprio l’anno prima di quello poi indetto da papa Francesco». Padre Testa, per la sua congregazione, fa parte del Comitato San Giuseppe, creato dall’impegno di tre congregazioni che in san Giuseppe hanno il proprio patrono: i Giuseppini del Murialdo, gli Oblati di san Giuseppe e le suore di san Giuseppe. «Una collaborazione iniziata proprio in vista dei 150 anni della proclamazione di san Giuseppe a patrono della Chiesa universale – spiega padre Testa –, solennizzata poi con l’Anno voluto dal Papa e dalla Lettera apostolica Patris corde».
Siamo davanti a un grande impegno per la riscoperta della figura di san Giuseppe, che un suo confratello, padre Tarcisio Stramare, definiva un «santo molto amato, ma poco conosciuto»?
Direi proprio di sì. È una riscoperta della sua figura e della sua opera, che ci aiuta a comprendere che non siamo davanti a un personaggio marginale nella storia della Salvezza. Al contrario appare sempre di più la consapevolezza che si tratta di una figura necessaria a questo piano di Dio. Una figura importante nel suo ruolo di padre, di sposo, di custode del Redentore.
Dunque un protagonista del piano di redenzione?
Lo spiega bene papa Francesco quando nella Patris corde ricorda come Giuseppe con il suo coraggio creativo porta a compimento il miracolo di salvare Maria e Gesù dalla persecuzione di Erode, e quindi di salvare il piano di Salvezza di Dio. Giuseppe si fida di Dio quando l’angelo lo invita a fuggire in Egitto con Maria e il bambino, ma anche Dio si fida di Giuseppe lasciando al suo coraggio creativo la modalità di mettere in campo questa fuga. Giuseppe non è lo strumento di cui si serve il Signore, bensì l’uomo che si fida del Signore. Lo fa anche quando gli viene detto di non aver paura di prendere Maria come sua sposa anche se incinta.
Come mai in passato la figura di san Giuseppe sembrava essere marginale o legata solo al devozionismo?
Ovviamente siamo davanti a una evoluzione dello studio teologico sulla figura del Custode di Gesù, anche se diversi Papi hanno avuto grande attenzione nei suoi confronti. Basti pensare Pio IX che lo proclamò patrono della Chiesa universale nel 1870. E proprio da quell’evento nel corso del Concilio Vaticano I sono sorte numerose famiglie religiose - maschili e femminili - che hanno in san Giuseppe il proprio patrono. Oggi, inoltre, l’approccio teologico evidenzia maggiormente la sua capacità di ascolto, il sapersi mettere in movimento, anche il suo travaglio davanti ai cambiamenti nei suoi progetti di vita. E poi emerge sempre con maggior chiarezza il suo ruolo di custode e di educatore di Gesù. San Giuseppe, assieme a Maria, ha educato Gesù, lo ha accompagnato nella sua crescita umana e spirituale, aiutandolo così a maturare la consapevolezza della sua missione salvifica.
C’è un’eredità che gli avvenimenti degli scorsi mesi hanno lasciato?
Proprio la consapevolezza dell’importanza del ruolo ricoperto da san Giuseppe nella formazione di Gesù, nel lasciargli un’eredità non materiale, ma di sensibilità, valori e spirituale. Anche il ciclo di dodici catechesi che papa Francesco ha voluto inserire nelle udienze generale delle scorse settimane hanno voluto passare da una devozione a una conoscenza teologica di Giuseppe. Insomma un approfondimento biblico sulla sua figura.
Quali obiettivi si è dato il Comitato San Giuseppe fondato dalle vostre tre congregazioni, che nel tempo hanno visto anche altre adesioni?
Il nostro lavoro in comune è nato nel 2015 dopo il Simposio internazionale su san Giuseppe svoltosi in Messico, per preparare il terzo simposio nazionale che si svolse ad Asti e a Torino. Ci è parso decisivo unire le forze, visto che ognuna delle nostre congregazioni guarda alla figura di san Giuseppe. Il nostro obiettivo è quello di mettere in campo iniziative, progetti e idee che permettano di trasmettere al mondo di oggi quanto ci dice san Giuseppe. Cerchiamo di farlo con convegni, momenti di studio, incontri online. Nel dicembre scorso a Roma abbiamo realizzato un incontro dal titolo «A occhi aperti con san Giuseppe oltre il 2021», proprio con l’obiettivo di proseguire il nostro lavoro ben oltre la conclusione dell’Anno dedicato al Custode di Gesù.
Ci sono già appuntamenti in programma?
Si tratta di incontri online, complice ancora il periodo condizionato dalla pandemia. L’ultimo in ordine di tempo è stato lo scorso 28 febbraio con don Luigi Maria Epicoco, autore di un libro di meditazioni e preghiera su san Giuseppe. Il cammino è orientato all’appuntamento del 18-25 settembre 2022 per il XIII Simposio internazionale che si svolgerà in Messico.
Il 23 marzo una delegazione del vostro Comitato incontrerà il Papa. Cosa gli direte?
Sarà a margine dell’udienza generale. Sarà l’occasione per consegnargli i fondi raccolti nell’iniziativa «Il giglio di san Giuseppe», con la quale abbiamo voluto far diventare un atto concreto la nostra attenzione alla povertà. Sarà il Papa a destinare la somma, che abbiamo pensato per un campo profughi.

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