lunedì 6 maggio 2019
Il sacerdote 90enne racconta i suoi 40 anni a San Rocco all'Augusteo: ci sono anime generose che illuminano la Capitale. E lancia un appello alla comunità: donare è gioia
Ogni domenica mattina i poveri del centro storico in fila a San Rocco per un bicchiere di latte e una fetta di torta

Ogni domenica mattina i poveri del centro storico in fila a San Rocco per un bicchiere di latte e una fetta di torta

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«Roma è una città difficile, piegata. La guardo da troppi anni e, da troppi anni, vedo che mancano soluzioni stabili al disagio, alla povertà, alle periferie malandate. Manca un Progetto. Poi, però, c’è una luce che ogni tanto si accende e mi fa sperare. C’è un sottofondo di anime generose che illumina la Capitale». Don Filippo Tucci "regala" un sorriso leggero: «Il Vangelo ci fa vedere i poveri. Ma non basta fare l’elemosina. Bisogna guardarli, prenderli per mano, chiamarli per nome, pensare alle loro vite». È domenica mattina e come ogni domenica mattina, a San Rocco all’Augusteo va in scena il "miracolo". Quella chiesetta nel pieno centro di Roma è da mezzo secolo un punto di riferimento per i poveri del centro storico. Per quel pezzo di umanità sofferente che passa troppe notti in un sacco a pelo sotto i portici di piazza Augusto imperatore. Qui, a san Rocco, trovano un pasto, qui possono fare una doccia. Don Filippo li guarda felice mentre le immagini si accavallano e ci scorrono davanti agli occhi. Lo scambio del segno della pace. Il padre Nostro recitato a voce bassa. La comunione. Poi tutti in fila, sorridenti, per un caffè caldo e una fetta di dolce. Cose semplici che danno l’idea di comunità. «Nel silenzio c’è una Roma bella. Solidale. Generosa. E c’è una chiesa che non è un salotto, è un ospedale da campo. Una chiesa con il grembiule. Una chiesa che serve. Che aiuta. Che accoglie. Che cura», ripete il sacerdote. Ed è felice.

Don Filippo ha 90 anni, ma è come se non li avesse. Ricorda date. Episodi. Parla della sua vita e della carità che ha tenuto vivo il "miracolo". «Qui tutto è complicato. Le bollette, i pasti, i lavori di manutenzione... Ma la Provvidenza ci ha sempre dato una mano. Penso a quanto sia bello donare e direi a tutti: "sperimentate la gioia che si prova a dare"». A giorni don Filippo passerà il testimone al nuovo Rettore, don Edoardo Valentini. C’è un po’ di inevitabile malinconia ma c’è anche tanta fiducia: «Sono pronto a fare un passo di lato. A dire obbedisco. A rispettare la volontà di Dio e dei miei superiori. Il mio Progetto per i prossimi anni? Essere vicino a don Edoardo e continuare a lavorare per questi poveri. Cercano la fede, cercano il Signore e io sono un prete, voglio essere prete. Fino a quando avrò la forza di respirare. È il mio primo impegno. La Santa Messa ogni mattina alle 8, il Rosario ogni pomeriggio alle 17. Io e loro. Io e i poveri».

A mezzogiorno la chiesetta si anima. Si parla. Si ride. Si discute di calcio. In un salottino dall’arredamento semplice don Filippo pesca nella memoria. «Quanti ricordi, quanti fatti. Quanta gente è passata qui. Si è seduta tra i poveri. Penso a Francesco Cossiga. Lui capo dello Stato, loro gli "scarti" della società. Quanta umanità, quanta voglia di aiutare». E ora? «Ho scritto al capo dello Stato Sergio Mattarella, ai presidenti di Camera e Senato. Sono sempre alla ricerca di aiuto. Senza non si va avanti. Avevamo un fondo che negli anni si è consumato, ma c’è la Provvidenza. C’è stata per 40 anni e ci sarà anche quando non ci sarò più».

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