venerdì 12 settembre 2014
Domani la visita del Papa al sacrario. L’arcivescovo: qui i confini sono ricchezza.
L'ORDINARIO Marcianò: «Il Dio che stronca le guerre
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A Gorizia la guerra è entrata nei paesi e nelle case, i confini hanno segnato intere generazioni. Per questo l’appello per la pace che Francesco lancerà domani da Redipuglia sarà sostenuta dalla testimonianza di una terra che ha saputo fare delle diversità una ricchezza. Ne è convinto l’arcivescovo del capoluogo isontino, Carlo Roberto Maria Redaelli.Redipuglia custodisce una memoria dolorosa non solo locale ma internazionale. Che significato ha la visita del Papa in questi luoghi?La visita si colloca nel contesto dei 100 anni dallo scoppio della Prima Guerra mondiale, ma non ha un mero significato commemorativo. In un momento in cui la pace è seriamente minacciata dai numerosi conflitti in atto, il fatto che il Papa venga a pregare nei luoghi che hanno vissuto da vicino quell’inutile strage di cui parlava Benedetto XV diventa un forte appello per l’oggi.Nella lettera inviata per il 100° anniversario dall’inizio della guerra – che in queste terre è stata vissuta "dall’altra parte" perché territorio asburgico –, lei pone una domanda: le ferite di allora si sono realmente rimarginate o sono state semplicemente dimenticate? Come risponde?Dico che quelle ferite – alcune superate, altre ancora vive – devono costantemente metterci in guardia dai meccanismi che generano i conflitti, da quelle strutture di peccato che una volta messe in moto è difficile fermare. Un monito che può rimanere vivo anche grazie alla memoria: alcuni parroci anziani mi hanno mostrato le foto dei loro padri soldati austriaci che hanno partecipato alla prima Guerra. Questo colpisce perché siamo appena a poche generazioni di distanza da chi ha vissuto quella tragedia in prima persona. E poi spaventano ancora i numeri enormi di quel conflitto: nove milioni di soldati morti, sette milioni di vittime civili, 21 milioni di feriti. Una realtà che il territorio dell’arcidiocesi di Gorizia ha vissuto sulla propria pelle, segnata ancora di più in seguito dalla seconda Guerra mondiale. Tutto ciò deve spingerci a una costante azione concreta a favore della pace.Cosa può fare per questo la comunità cristiana?Nella lettera per il centenario indico alcune strade da percorrere per costruire la pace: si tratta sempre di azioni «preventive». Come ad esempio il conoscere l’altro, accoglierlo, farlo uscire da una categoria generica (ad esempio «il nemico») per incontrarlo di persona. È un messaggio che in queste settimane di preparazione alla visita del Papa abbiamo lanciato durante le veglie di preghiera che abbiamo tenuto nei singoli decanati della diocesi. E poi siamo chiamati a mostrare concretamente la ricchezza delle diversità: un’esperienza – quella del dialogo – che appartiene alla tradizione di questo territorio, caratterizzato dalla compresenza di più culture. Arrivando qui quasi due anni fa ciò che mi ha affascinato è proprio la percezione di essere davanti a un confine diverso da tutti gli altri del Nord Italia: un confine con una cultura, quella slava, che mette a contatto con l’immensità dell’Europa orientale. Certo non sono mancate le fatiche della vicinanza; fatiche che però non hanno ostacolato la crescita di una cultura dell’apertura all’altro.Questo significa, quindi, che Gorizia, oltre alla memoria custodita nei monumenti come Redipuglia, ha qualcosa di più da offrire?Sicuramente questa vocazione alla diversità è un patrimonio prezioso da offrire agli altri. Una vocazione che oggi viviamo nell’incontro con le comunità di immigrati, con una particolarità: oltre al Centro di accoglienza dei richiedenti asilo di Gradisca d’Isonzo e alla folta comunità bengalese cresciuta attorno ai cantieri navali di Monfalcone, siamo impegnati nell’aiuto alle persone che entrano dal confine orientale. Tra queste molte vengono dall’Afghanistan e con la Caritas stiamo dando loro accoglienza.Qui la storia, quindi, è diventata davvero ricchezza per la costruzione della pace?Penso di sì. Per questo stiamo pensando di organizzare per gruppi di altre diocesi dei percorsi attraverso i luoghi della prima Guerra offrendo anche una lettura ecclesiale di quell’evento e quindi un’occasione formativa.
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