mercoledì 8 aprile 2020
Sono passati 12 anni e, dei ricordi della Giornata mondiale della Gioventù ospitata da Sydney nell’estate 2008, due si affacciano tra gli altri leggendo del proscioglimento del cardinale George Pell
Il cardinale George Pell

Il cardinale George Pell - Reuters

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Sono passati 12 anni e, dei ricordi della Giornata mondiale della Gioventù ospitata da Sydney nell’estate 2008, due si affacciano tra gli altri leggendo del proscioglimento del cardinale George Pell. Il primo è legato alla festa con cui migliaia di giovani italiani vollero ringraziarlo per l’ospitalità, regalando una felpa azzurra a quel pastore imponente, sempre paterno e lieto con tutti. Un simbolo.

Ma c’è soprattutto l’esperienza che i nostri ragazzi e ragazze fecero della Chiesa australiana: Chiesa d’immigrazione, dalla parte dei marginali, mix di lingue e tradizioni, paladina degli aborigeni, spina nel fianco di una società che attira gli stranieri ma si mostra selettiva come i più chiusi lembi d’Occidente. Il successo di quella Giornata smentì le ritrosie di un Paese condizionato da polemiche mediatiche e, invece, sorpreso dalla vitalità di una Chiesa fuori da schemi perbenisti e già oggetto delle accuse per i primi casi di abuso. Molte cause seguirono, arrivando infine – e quasi fatalmente – a colpire il bersaglio grosso, quel cardinale Pell che dopo essere diventato nel 2014 uno dei più stretti collaboratori del Papa aveva accresciuto la sua visibilità. Colpito il pastore, il gregge sarebbe stato disperso, e Francesco forse ridimensionato.

Una strategia inesorabile che il processo ha evidenziato come un caso da manuale, inclusa l’onta delle manette per condurre in aula un vescovo di 78 anni in diretta tv. L’umiliazione che ha deciso di non risparmiarsi arriva ora al suo rovesciamento per l’inconsistenza delle tesi accusatorie, apparsa sempre più lampante, tra lo scetticismo dei tanti che ormai avevano deciso per la colpevolezza di Pell, quasi fosse un inevitabile sacrificio espiatorio.

La Chiesa sta pagando un prezzo altissimo per gli abusi di consacrati la cui responsabilità è aggravata dalla vulnerabilità delle vittime, segnate per sempre. L’opera di pulizia e prevenzione praticata per l’azione di tre Papi deve ancora percorrere molta strada, la stessa Chiesa italiana vi si è incamminata con determinazione rendendo operativo il Servizio nazionale per la Tutela dei Minori. Ma la lezione dell’”affaire Pell” impone oggi di non archiviare quello che il Papa stesso ha definito un «accanimento». La verità sugli abusi va perseguita sempre, fino in fondo, evitando sentenze preventive, pronti a riconoscere i propri errori. E questo non vale solo per la Chiesa.

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