sabato 13 settembre 2014
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Non è la prima volta che il Papa punta il dito contro il commercio delle armi, quale causa delle guerre, come ha fatto a Redipuglia. L’8 settembre dello scorso anno, nell’Angelus all’indomani della preghiera per la Siria, Francesco disse: «Sempre rimane il dubbio: questa guerra di là, quest’altra di là - perché dappertutto ci sono guerre - è davvero una guerra per problemi o è una guerra commerciale per vendere queste armi nel commercio illegale?». Una preoccupazione, quella relativa alla turpe e lucrosa attività, che è tornata ad affacciarsi nelle parole del Pontefice lo scorso 15 maggio, nel discorso ai nuovi ambasciatori di Svizzera, Liberia, Etiopia, Sudan, Giamaica, Sud Africa e India: «Tutti parlano di pace, tutti dichiarano di volerla, ma purtroppo il proliferare di armamenti di ogni genere conduce in senso contrario. Il commercio delle armi ha l’effetto di complicare e allontanare la soluzione dei conflitti, tanto più perché esso si sviluppa e si attua in larga parte al di fuori della legalità». Da qui l’auspicio «che la comunità internazionale dia luogo ad una nuova stagione di impegno concertato e coraggioso contro la crescita degli armamenti e per la loro riduzione». Di nuovo il 24 maggio, davanti profughi della Siria, nella tappa giordana del viaggio in Terra Santa, Francesco, parlando a braccio ha chiesto: «Chi è dietro a tutto questo, chi continua a dare le armi a tutti quelli che sono in conflitto?». Un crescendo di interventi culminato nella dura condanna dell’11 giugno scorso, durante l’udienza generale. «I fabbricanti di armi, che sono mercanti di morte, un giorno dovranno rendere conto a Dio». Queste persone, aggiunse, «non saranno mai felici nell’aldilà». (M.Mu.)
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