giovedì 21 marzo 2019
È morta nella festa di San Benedetto la fondatrice del monastero di San Giulio, sul lago d’Orta. Aveva 87 anni
È morta Madre Anna Maria Cànopi, fondatrice del monastero di San Giulio
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Madre Anna Maria Cànopi era luce. Luce i suoi occhi, luce il suo sorriso, luce il suo pensiero. E quella luce non si è spenta, si è solo trasformata. È morta alle 10 di questa mattina come ha vissuto, pregando, insieme alla sua numerosa comunità. La badessa di Mater Ecclesiae, l’abbazia da lei fondata l’11 ottobre 1973 nell’Isola di San Giulio, sul lago d’Orta, avrebbe compiuto 88 anni il 24 aprile.

La luce di madre Anna Maria nasceva dal suo cuore innamorato, di un amore senza misura per il Signore, per le ottantasette sorelle della comunità e per tutti coloro che a lei si rivolgevano, affidandosi alla sua preghiera. Madre Anna Maria aveva lo sguardo profondo che nasceva da un unico segreto, la contemplazione. La sua giornata non aspettava l’alba per cominciare. Alle tre e mezza del mattino, con un gruppo di coraggiose – come amava chiamarle – iniziava il suo dialogo con il Signore. Un dialogo ininterrotto. Un’ora dopo si univa il resto della comunità benedettina per il Mattutino. Con umiltà e semplicità portava in sé, nel suo corpo, nel cuore e nella mente, come Maria, Colui dal quale lasciarsi portare. Chi la incontrava, anche una sola volta, aveva la certezza di essere stato conosciuto nel profondo, amato, accolto. Madre Cànopi era esile eppure fortissima, ma di una forza non sua. Tutto in lei esprimeva con chiarezza il dono della consacrazione.

Rina, questo il suo nome di battesimo, nasce a Pecorara, nel Piacentino, in una famiglia numerosa e profondamente credente. Fin da bambina il suo amore per Cristo era senza misura e fin dagli inizi era vivo il desiderio di far nascere Cristo in lei. Scriveva: «Non ho mai dimenticato le impressioni avute nella festa del Natale le prime volte che mi portarono alla Messa, e nel vedere il presepe. Quella musica e quei canti, quel Bambino nudo sulla paglia, Maria e Giuseppe amorevolmente chinati su di Lui come in adorazione, e i pastori che andavano a visitarlo portandogli in dono il meglio di quello che avevano.

Per me erano vivi, non statuine, erano talmente veri da confondersi con la folla della gente del paese che si assiepava attorno all’altare e al presepe. Era gente semplice che credeva davvero al mistero del Natale del Figlio di Dio e si commuoveva fino alle lacrime cantando le nenie natalizie in cui si diceva che Gesù è venuto a nascere povero, “al freddo e al gelo”… Il momento culminante era quello in cui il parroco, terminata la celebrazione, faceva baciare Gesù Bambino: io gli baciavo sempre i piedini nudi venuti dal cielo a camminare sulla nuda terra. Mi rimaneva a lungo sulle labbra la dolcezza di quel bacio; era una dolcezza che mi riempiva il cuore e che si riversava su tutti i neonati del mondo a cui Gesù si era assimilato».

Con la famiglia si sposta a Montalto Pavese. Poi gli studi superiori a Pavia, dove soggiorna anche durante gli anni dell’università. Lo studio si accompagna al lavoro di assistente sociale. A Pavia ama in particolare una chiesa, San Pietro in Ciel d’Oro. Risale a quegli anni l’amicizia con il teologo don Cesare Angelini, rettore dell’Almo Collegio Borromeo. Si laurea in Lettere alla Cattolica di Milano. La guida spirituale di monsignor Aldo Del Monte, che diventerà vescovo di Novara, l’aiuta a maturare la vocazione monastica. Entra nell’abbazia benedettina di Viboldone il 9 luglio 1960. Con l’inizio del noviziato canonico, il 14 aprile 1961, riceve il nome di Anna Maria. Il 30 maggio 1965 celebra la professione solenne.

Nell'immediato dopo Concilio partecipa alla revisione della nuova traduzione della Bibbia Cei e alla preparazione dei nuovi libri liturgici. Dal 1968 svolge il compito di maestra delle novizie. L’11 ottobre 1973, su richiesta del vescovo Del Monte, insieme a cinque monache, dà inizio alla vita benedettina sull’Isola di San Giulio, fondando il monastero Mater Ecclesiæ. Il 9 luglio 1979 riceve la benedizione abbaziale. Nel 1993 è la prima donna a firmare il testo della Via Crucis al Colosseo, presieduta da Giovanni Paolo II. Il 23 novembre 1995, su invito della Cei, interviene al Convegno Ecclesiale di Palermo in rappresentanza del monachesimo italiano, con un intervento sul “Vangelo della carità attuato nella vita monastica”. Sotto le direttive dell’allora cardinal Joseph Ratzinger ha collaborato alla revisione del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica. Ha pubblicato numerosi volumi di spiritualità: ricordiamo “L’amore che chiama. Vocazione e vita monastica” (Edb, 2017).

La comunità Mater Ecclesiæ cresce col passare degli anni: il 12 ottobre 2002 viene fondato il priorato Regina Pacis a Saint-Oyen, in Valle d’Aosta, che riceverà le visite di san Giovanni Paolo II e di papa Benedetto XVI; il 10 dicembre 2008 il monastero cistercense della Santissima Annunziata di Fossano, su richiesta delle ultime monache cistercensi, diventa priorato dell’abbazia Mater Ecclesiæ. Alcune sorelle sono chiamate a rivitalizzare i monasteri di Sant’Antonio abate, in Ferrara, e di San Raimondo, in Piacenza.

Per madre Cànopi non c’erano ostacoli né fisici né spirituali che potessero impedire ad alcuno di intraprendere e vivere in pienezza la vita monastica, e tante sue consorelle lo possono testimoniare: nulla può mpedire a Cristo di amare e di essere amato. Su questa intuizione è nato il monastero Mater Ecclesiæ. Per le sue consorelle, l’immagine che più si addice alla Madre – che sempre è stata e ha vissuto come madre per tutte le sue figlie – è quella del Buon Pastore: ha incarnato la figura dell’abate come san Benedetto l’aveva prima vissuta e poi tratteggiata.

Nelle sue parole per “Luoghi dell’Infinito” dell’aprile 2000, su cui da anni firmava la rubrica “Mistici”, è il cuore del suo pensiero e della sua vita: «Il mistero del Dio Trino e Uno è per il credente non tanto una verità in astratto quanto un’esperienza vitale e in certo modo inesprimibile. Ciò che è essenziale, semplicissimo, non lo si conosce attraverso le parole ma con l’esperienza. Ecco perché coloro che ci possono comunicare qualcosa di veramente profondo sulla Trinità sono i mistici. E poiché nella vita mistica la donna, per la sua capacità di intuizione, di amore oblativo e di immolazione, tiene un posto speciale, non sarebbe forse eccessivo affermare che proprio le sante mistiche ci hanno detto e ci dicono le cose più vere, più belle e affascinanti sul mistero di Dio-comunione d’amore».

Anche lei – come scriveva delle mistiche a lei care, Ildegarda, Metilde e Geltrude, tutte benedettine – viveva il «silenzio pieno di stupore e gratitudine per la semplicità con cui il Dio altissimo si dona ai piccoli e ai semplici ai quali sono dati sensi spirituali per immergersi nel mondo soprannaturale e vedere l’invisibile, udire l’indicibile. […] Donne che vivono una intensa vita mistica, in situazioni del tutto ordinarie e che spesso nascondono eroismi inimmaginabili. Tutte, in fondo, hanno il loro prototipo in quell’umilissima donna silente e ignara di sé come una bambina – Maria di Nazareth – che piacque talmente a Dio da essere da lui colmata di grazia e resa la perfetta dimora e icona della Trinità».

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