martedì 11 maggio 2021
Parla Lo Iacono presidente della cooperativa intitolata al giudice che coltiva terreni confiscati alla mafia «Aveva capito che sottrarre beni alla criminalità organizzata era la chiave giusta
Agrigento, la “stele” dedicata a Livatino

Agrigento, la “stele” dedicata a Livatino - .

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«La nostra libertà è frutto del sacrificio del giudice Livatino. La sua beatificazione non è un punto di arrivo ma un impegno per noi ancora maggiore». Sono le parole di Giovanni Lo Iacono, presidente della cooperativa Rosario Livatino, giovani agrigentini che dal 2012 coltivano terreni confiscati alla mafia proprio dal “piccolo giudice” a metà degli anni ’80. E da uno di questi terreni, in contrada Gibbesi nel comune di Naro, viene una grande pietra di 400 chili, una sorta di stele che la cooperativa ha posto nella grande piazza Rosario Livatino, nel quartiere periferico di Fontanelle ad Agrigento. Roccia tipica delle colline agrigentine. Sopra la famosa frase del magi-strato: “Quando moriremo nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti ma credibili”. «È un segno della riappropriazione di uno spazio, proprio come faceva Livatino, e simboleggia un ulteriore presidio di legalità», spiega Giovanni. La pietra, infatti, è stata posta nell’area verde al centro della piazza, da tempo in stato di abbandono. La cooperativa e il Comitato di quartiere hanno chiesto al comune la sistemazione e loro hanno contribuito con la stele, alcune piante e una targa che spiega l’iniziativa. «A Rosario Livatino, uomo semplice, leale, attento ai bisogni, che ha saputo restituire gesti concreti di legalità e umanità, atti a garantire e valorizzare il bene comune. Questa pietra proviene dai terreni che lui stesso contribuì a confiscare a mani mafiose. Viene posta e affidata alla collettività nel giorno della sua beatificazione. StD Sub tutela Dei 9 maggio 2021».

Giovanni, cosa ha voluto dire per voi in questi anni portare il nome di Rosario Livatino?
Dal suo esempio abbiamo portato avanti la credibilità. Per noi è la parola più importante assieme a cooperazione. Ed è quello che facciamo tutti i giorni. Cioè fare le cose semplici, quelle che facciamo sempre, nel migliore dei modi, ma senza slegare il nostro fare da quello che diciamo e vogliamo.

Che è quello che scriveva Livatino e che voi avete riportato sul grande sasso.
Esatto. L’insegnamento massimo è questo.

Cosa vuol dire coltivare i terreni che sono stati confiscati da Livatino?
È una responsabilità e un impegno in più. Ha comportato doverci impegnare al massimo, sempre e costantemente. Come faceva Livatino nel suo lavoro. Era attento al bene comune, ma anche a tematiche ambientali. Quello che facciamo noi è valorizzare i terreni, cercando di farlo nel massimo rispetto dell’ambiente, del territorio e delle risorse impegnate in questo progetto.

Livatino aveva capito benissimo che la confisca dei beni era uno strumento che dava molto fastidio alle mafie. E anche voi lo avete capito sulla vostra pelle, con tante intimidazioni.
La storia si ripete. Livatino aveva capito che sottrarre beni ai mafiosi era la chiave giusta per poterli contrastare. Questo contrasto continua con la presenza della cooperativa e delle forze dell’ordine che ci affiancano. E questo dà ancora molto fastidio ai mafiosi.

Voi ospitate ogni anno i campi di lavoro di “Libera”, incontrate tanti giovani. Cosa raccontate a loro di Livatino?
In primo luogo lo facciamo conoscere perché purtroppo per molti è ancora una figura poco conosciuta. Poi li portiamo nei posti in cui ha operato. Così facciamo conoscere bene anche il territorio. E pian piano spieghiamo quale è la figura, quale è stato il suo ruolo, in un periodo storico in cui chi faceva quel lavoro e lo voleva fare bene rischiava la vita.

Dopo che lo hanno conosciuto, i giovani sono interessati dalla sua storia, c’è qualcosa in particolare che li colpisce?
Scoprono la straordinarietà di questo uomo che è stato precursore della confisca dei beni. Quello che stupisce i ragazzi è che nella semplicità è riuscito ad emergere tra i buoni.

Una persona normale, non un supereroe.
Non viene raccontato come un superman, né come un “santino”. Questo è importante. Quello che ha fatto il giudice Livatino, il traguardo raggiunto, è alla portata di tutti. Lo possono fare tutti se scelgono da che parte stare e percorrono questa strada che sicuramente è la più difficile ma che è quella da fare.

Ora la beatificazione cosa aggiunge di questa storia di cui anche voi siete protagonisti?
È sicuramente un momento di maggiore conoscenza del giudice. Ci aiuta a diffondere il suo insegnamento di rispetto per la cosa pubblica, per l’ambiente, di coraggio ma soprattutto di coerenza. Da oggi il lavoro aumenterà. Abbiamo avuto tanti inviti dalle scuole per parlare della cooperativa e del giudice Livatino. E noi ci impegneremo.

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