sabato 21 gennaio 2017
Il 22 gennaio 2007 a Parigi la scomparsa, «la partenza», dell’apostolo dei senzatetto. A raccoglierne l’eredità spirituale i 450 gruppi e comunità Emmaus, 18 soltanto in Italia, presenti nel mondo
L'abbé Pierre

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Il 22 gennaio 2007 la “partenza” dell’abbé Pierre “per le Grandi vacanze”, come egli chiamava la morte. Dieci anni dopo, domani ricorre il decenna-le, egli è ancora, è sempre presente, soprattutto nei 450 gruppi e comunità Emmaus, sparse in 35 Paesi d’Africa, Americhe, Asia ed Europa. In Italia le Comunità Emmaus sono 18 sparse in tutta la penisola, “dal Manzanarre al Reno”… Diverse volte, “Avvenire” ha parlato di questo Movimento, nato “quasi per caso” in Francia nel 1949. Già, “quasi per caso”, perché in quella casa, alla periferia di Parigi, acquistata e sistemata dall’abbé Pierre, frate-prete, cappellano della Cattedrale di Grenoble, all’epoca anche deputato.

Voleva dar vita ad un “ostello” della gioventù, affinché i giovani d’Europa e del mondo, potessero ritrovarsi, e tentare la costruzione di un’altra società, più umana, aperta a tutti… Per quella “casa” l’abbé Pierre trovò un nome che, specie in seguito, ha avuto tutto il suo pieno e provocatorio significato: Emmaus. Il luogo della Palestina ove alcuni discepoli riconobbero Gesù, “nello spezzare il pane”. In quella casa, un giorno arrivò George, un anziano assassino, ergastolano, rientrato dalla Guyana francese, tentato suicida per la disperazione d’aver trovato la moglie accompagnata ad un altro, insieme a figli che portavano il suo nome, ma non erano suoi…. (già qui ci sarebbe materia per un “romanzo”…) Con George arrivarono altri… e pian piano Emmaus diventò il “rifugio” per tanti “disperati” di ogni specie, che lavorando in Emmaus come recuperatori di quanto la gente “butta via”, si guadagnano la vita legalmente e permettono, con la loro solidarietà, di fare lo stesso, a tanti altri.

In Francia, in Italia e nel mondo intero. Potrei scrivere dell’abbé Pierre e sull’abbé Pierre pagine e pagine… ho avuto la gioia e la responsabilità di condividere con lui mille e più occasioni in Italia, in Europa, in Africa, in America Latina… ma stavolta preferisco lasciare a lui la parola, prendendola da un interessante libro, uscito in Francia, ricavato da “inediti” dell’abbé Pierre messi in ordine da Jean Rousseau, già presidente di Emmaus Internazionale. Per comprensibili ragioni di spazio, sono costretto a scegliere solo alcune “Parole di una vita”.

La prima: Insolenza. «Può darsi che ciò che abbiamo fatto di più importante, sia d’aver avuto questa insolenza di fare cose che non si fanno, di dire cose che non si dicono, di affrontare questa ipocrisia di gente felice e di gettare loro in faccia lo spettacolo sgradevole della sofferenza, della disperazione ingiusta di quanti sono infelici. Che non mi si chieda di essere prudente o di riflettere seriamente prima di prendere una decisione. Non mi si domandi di essere saggio, come si fa coi bambini. Tempo perso. Non avrò mai questa saggezza. È così, sono fatto così». Più avanti, in un foglio “senza data”, scriveva: «Anche se voi sapete tutto, senza conoscere la miseria di coloro che soffrono, voi, pur con tutto il vostro sapere, sarete domani capi disastrosi per i vostri popoli». (Bombay, 1958 Federazione delle università cattoliche). E ancora: «Il primo dovere, il primo lavoro da fare è senza dubbio, d’avere il coraggio dell’insolenza, di fare cose che non si fanno, di dire cose che non si dicono, di gettare in faccia a quanti stanno bene, lo spettacolo della sofferenza e della disperazione degli infelici dopo esserci messi noi, in mezzo a loro…». (Rivista Faim et Soif). «Quando ciascuno di noi attende che l’altro cominci, non accade nulla. Ma quando i nostri vicini, i nostri amici vedranno che noi facciamo qualcosa, ci raggiungeranno…» (Mani- festo contro la miseria, 2004)

Alla voce Miseria, tra altri interventi interessanti, troviamo questa precisazione: «Preferisco che si parli di paesi “asserviti” piuttosto che “sotto-sviluppati”, perché la maggior parte delle loro popolazioni è resa schiava, tanto dai notabili, dai ricchi del paese che dai potenti stranieri che la sfruttano». (Assemblea Emmaus, Namur 1984) Nel “capitolo” Donare, leggiamo alcune indicazioni abbastanza provocatorie: «Non si dona ciò che si possiede, non si possiede che ciò che si è capaci di donare, altrimenti ne siamo posseduti». «La vera carità non consiste affatto nel piangere, o semplicemente nel dare, ma nell’agire contro l’ingiustizia». (Note personali, 1968) «Avremmo un bel da fare a costruire barriere col filo spinato o mettere guardie armate alle frontiere… non riusciremo mai ad impedire alle persone di passare. Non ci sono esempi nella storia in cui siano riuscite queste soluzioni. O si cercano soluzioni condivise, ragionevoli, altrimenti bisognerà impedire le persone con le armi, obbligandole a rimanere nei loro paesi, minacciandole di bombardarle.

Violenze simili non sarebbero solo insopportabili, ma non si farebbe altro che scatenare un terrorismo spaventoso su scala planetaria. Non aspettiamo che i popoli più miseri siano anche disperati. Diamo loro una mano, condividendo quanto noi abbiamo». ( Fraternité, 1999). E più indietro nel tempo: «Se i popoli liberi non saranno capaci di chiedere alla loro gioventù altrettanto eroismo per la Guerra alla Miseria come è stato fatto per la guerra alla dittatura, è inutile chiedere ai nostri giovani di dare il proprio sangue per la vittoria della libertà. Questa vittoria della libertà, così ottenuta, sarebbe già cadavere» (Messaggio consegnato al presidente Eisenhower alla Casa Bianca nel 1955) Interessanti anche gli altri “capitoli”: Civiltà, Diritti, Dignità, Rivoluzione, Libertà, Uguaglianza, Fraternità, Pace, Politica, Agire, Umanità. Sarà per un’altra ricorrenza.

*presidente onorario Emmaus Italia

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