lunedì 10 maggio 2021
Il commerciante ha permesso la cattura degli assassini del giudice. Ma ha dovuto cambiare identità e tagliare legami con il passato. «Spero che il suo esempio possa ispirare i giovani»
Il beato Rosario Livatino

Il beato Rosario Livatino - Fotogramma

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Nel giorno della beatificazione del giudice Rosario Livatino, Lecco organizza una commemorazione per rinsaldare il legame che c’è tra la città lariana e il giudice siciliano. Nel cortile dell’ex Wall Street, luogo simbolo della ’ndrangheta negli anni ’90 e restituito alla collettività con il progetto sociale di Fiore - cucina in libertà, le principali autorità del territorio ricordano il ruolo avuto l’agente di commercio lecchese Piero Nava nel permettere la cattura degli assassini del giudice. Nava per questo da trent’anni ha cambiato identità e ha dovuto tagliare legami con il passato, anche con la sua città natale, ma partecipa - telefonicamente - alla commemorazione lecchese.

«Il giorno che ho appreso della notizia della beatificazione – spiega Nava, storico testimone di giustizia contro la criminalità organizzata – ho provato un’emozione molto forte. Quando a dicembre è stata resa nota la decisione ho considerato un dono straordinario l’idea che questo riconoscimento spirituale a Livatino sia stato annunciato lo stesso anno, il trentennale dall’omicidio, in cui anch’io ho in parte rivisto la luce riuscendo a raccontare ciò che io e la mia famiglia abbiamo dovuto vivere, ma anche per ricordare la straordinaria figura di Rosario Livatino. Un esempio di dovere civile e morale, un magistrato e un martire. Con la sua beatificazione papa Francesco ci ricorda la forza della fede e della giustizia».

Il giorno della morte del giudice Livatino è cambiata anche la sua di vita: da allora come si è evoluto il suo percorso spirituale? «Da piccolo ho frequentato l’oratorio delle Rondinelle, un oratorio molto grosso dei salesiani a Sesto San Giovanni. Andavo sempre a Messa la domenica. E anche ora sono credente. Sono stati 30 anni bui, faticosi e dolorosi, per me e per tutti la mia famiglia, durante i quali ho potuto sempre fare affidamento sulla preghiera e sul conforto della fede. Io vado in chiesa tutte le domeniche e all’eucarestia io dico un’Ave Maria per i miei morti iniziando dal giudice. Si è creato un rapporto speciale con Livatino».

Quelli di Livatino e di Nava sono destini incrociati.

Ieri il giudice di Canicattì è diventato beato, un esempio universale delle virtù morali e spirituali che incarnava contrastando la criminalità organizzata, mentre Nava è ufficialmente da due settimane Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana - dopo il decreto emesso da Mattarella a ottobre 2020, quando incontrò personalmente il lecchese -.

Nava con il suo ruolo di testimone è stato, ed è, un servitore dello Stato. «Quella mattina ho assistito alla barbara morte di Rosario Livatino e ho deciso di testimoniare. Non sapevo chi fosse la vittima dell’agguato cui avevo assistito, solo molte ore più tardi ho saputo che si trattava di un giudice, di un giovane magistrato antimafia. Oggi so che quell’istante che ha cambiato per sempre la mia vita è servito a dare giustizia ad un beato.

Quel giorno sono morto insieme a lui, mi sono caricato sulle spalle una croce che continuo a portare ancora oggi. Spero che l’esempio, la Fede e il rigore morale del giudice Livatino possa ispirare i giovani nel fare le scelte giuste. È il motivo per cui ho deciso di raccontare la mia storia in un libro. Ho voluto dire dire ai ragazzi che la mafia e la criminalità organizzata proliferano dove c’è indifferenza, invece ciascuno di noi è chiamato a fare la propria parte, perché lo Stato siamo tutti noi».

La storia di Piero Nava è raccontato nel libro “Io non sono nessuno”, scritto da Stefano Scaccabarozzi, Lorenzo Bonini e Paolo Valsecchi, che per l’occasione presentano l’adattamento teatrale “Sono Stato anch’io”.




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