mercoledì 18 settembre 2019
Parla il cardinale Blázquez Pérez, presidente dei vescovi iberici che parteciperà all’evento Cei sul Mediterraneo. «La nostra è una comunità che vive sulle due sponde. No ai cuori e alle porte chiuse»
Un padre con la figlia d’origine nordafricana di fronte a una bandiera della Spagna

Un padre con la figlia d’origine nordafricana di fronte a una bandiera della Spagna - Avvenire

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È una piccola via nel cuore di Valladolid calle San Juan de Dios. A poche decine di metri dalla Cattedrale di Nuestra Señora de la Asunción, grandiosa testimonianza di fede rimasta incompiuta dopo il trasloco della capitale del regno a Madrid, la strada dedicata al fondatore dei Fatebenefratelli accoglie in un largo il palazzo arcivescovile. Il grande portone d’ingresso si apre sulla facciata color rosa, incastonata fra due torri. Il cardinale Ricardo Blázquez Pérez rivolge lo sguardo verso una delle finestre del suo studio. «La Chiesa spagnola vive sulle due sponde del Mediterraneo», spiega il porporato di 77 anni che nel 2015 ha ricevuto la berretta da papa Francesco, l’anno dopo essere stato rieletto per la seconda volta presidente della Conferenza episcopale spagnola. Sarà lui a guidare la delegazione nazionale all’Incontro di riflessione e spiritualità “Mediterraneo, frontiera di pace” voluto dalla Cei che si terrà a Bari dal 19 al 23 febbraio 2020 e che sarà concluso da papa Bergoglio.

Con voce pacata, l’arcivescovo di Valladolid si dice convinto che la comunità ecclesiale «è chiamata ad essere testimone di riconciliazione fra i popoli» che orbitano attorno al grande mare «tenendo conto che viviamo nel medesimo spazio vitale e che non possiamo separaci men che meno ora, in un mondo globalizzato. Ricordare quanto ci consegna la storia può aiutare: qui è nato e si è diffuso il cristianesimo. E la convivenza nella diversità è precondizione e punto di partenza». Dalla città nella comunità autonoma di Castiglia e León il cardinale racconta la sua Chiesa, quella spagnola, che è ancora di «popolo» anche se si assiste a «un raffreddamento religioso», che deve essere «missionaria» ripartendo dal laicato, che «soffre» per norme o proposte legislative che minano il matrimonio o aprono all’eutanasia, che sa dialogare con l’islam, che è tenuta a «praticare l’ospitalità in modo generoso».


Eminenza, una parte del bacino mediterraneo è segnata da conflitti e miseria. Come la Chiesa spagnola guarda a quanto accade a poca distanza?


Siamo una comunità ecclesiale che va al di là del mare. Dico fin da subito che quanti vivono nella sponda Sud sono nostri fratelli a tutti gli effetti. Basti citare ciò che accade nelle diocesi di Cadice, Ceuta, Malaga con Melilla che hanno cristiani sulle due rive. Poi la Chiesa di Tangeri, città portuale del Marocco di fronte allo stretto di Gibilterra, tradizionalmente guidata da un vescovo francescano spagnolo, beneficia di aiuti sociali dalla Spagna.


In Italia si discute molto di migranti che giungono sulle nostre coste. Come il suo Paese si confronta con il fenomeno?


Anche da noi arrivano costantemente dall’Africa barche con persone in cerca di un nuovo orizzonte di vita. Molti fuggono dalla fame, dalle persecuzioni, dalla povertà. Il senso di umanità e di fraternità è insostituibile per affrontare la situazione e cercare di trovarvi soluzioni. Il Vangelo è fonte inestinguibile di azioni e comportamenti pacifici e rispettosi. Le condizioni presenti ci pongono la sfida di comprendere e di agire nella convinzione che le migrazioni agitur rea nostra. Viviamo un frangente nuovo che dobbiamo analizzare in modo profondo, tenendo conto dei vari fattori in gioco.


Quale il ruolo dell’Europa di fronte alle crisi nel Mediterraneo?


L’Africa confina con la Spagna, che al contempo è parte dell’Unione europea. L’Europa nel suo insieme deve assumersi la propria responsabilità in tale ambito. L’ospitalità, che è parte dell’etica umana e della morale cristiana, deve essere praticata all’interno di una pluralità religiosa delle nostre società nei confronti degli immigrati e, in particolare, dei rifugiati. D’altra parte, è chiaro che senza una regolazione complessiva cadremo nel caos. Che cosa si può fare nei Paesi d’origine? Ci sono nei tragitti uomini e organizzazioni che abusano dei poveri e degli indifesi? Certamente il cuore chiuso non deve portarci a chiudere le porte. A causa di pressioni sociali e politiche, l’Ue non affronta questa realtà né offre risposte.


La Chiesa spagnola è nel cuore della gente. Eppure un quarto degli abitanti si dichiara non credente o ateo.


Ritengo che la fede cristiana e la Chiesa siano ancora profondamente radicate. Al contempo si assiste a una minore esplicitazione dell’appartenenza ecclesiale, a una poca attenzione all’insegnamento cristiano e a una diminuzione dei praticanti. Che cosa fa la Chiesa? In primo luogo, analizza ciò che sta accadendo. Come cristiani vogliamo essere vicini alle persone con i loro dubbi, intensificare la trasmissione della fede nella vita personale e comunitaria. Comunque negli ultimi tempi notiamo un clima meno aggressivo nei confronti della Chiesa; a ciò contribuisce l’atteggiamento e il messaggio di papa Francesco.


Il Piano pastorale nazionale ha come tema “Chiesa in missione a servizio del nostro popolo”. E state preparando il Congresso nazionale del laicato.


Gli attuali percorsi di iniziazione alla fede non sono più sufficienti. La catena di formazione cristiana che comprendeva famiglia, parrocchia e scuola andava bene in un ambiente sociale uniforme, impregnato di pratica religiosa. Oggi la catena si è spezzata. È dunque necessario un itinerario che unisca dimensione personale e comunitaria. La formazione, l’azione e l’esperienza personale sono inseparabili. La Chiesa “in uscita” è l’altra faccia, necessaria, di una della Chiesa in comunione. Perché comunione e missione hanno una relazione reciproca. La fede deve essere apostolica. E a sua volta la missione consolida l’unità della Chiesa. Inoltre, dopo anni in cui era scomparsa di fatto l’Acción Católica General e quindi si assisteva a rimpianti per la sua assenza, stiamo creando un nuovo stile d’impegno. Ecco, perciò, il Congresso dei laici “popolo di Dio in uscita” che si svolgerà nel febbraio 2020.

Il cardinale Ricardo Blázquez Pérez, presidente della Conferenza episcopale spagnola e arcivescovo di Valladolid

Il cardinale Ricardo Blázquez Pérez, presidente della Conferenza episcopale spagnola e arcivescovo di Valladolid - Avvenire

Anche la Spagna fa i conti con un’onda libertaria. C’è la legge sulle nozze gay. Si discute di eutanasia.


L’istituto matrimoniale qui, come in altri Paesi europei, soffre di una de-istituzionalizzazione. Lo dimostrano le convivenze, le coppie di fatto con o senza forme di riconoscimento giuridico, le numerose separazioni, i divorzi facili, i cosiddetti matrimoni fra persone dello stesso sesso. Tutto ciò provoca instabilità sociale e un’educazione complicata per i figli. Siamo minacciati anche da una legge sull’eutanasia che eufemisticamente viene chiamata “morte degna”, perché manca il coraggio di chiamare le cose con il loro nome. Per la Chiesa ciò è fonte di angoscia. Così ci proponiamo di raccontare, con molte iniziative, la bellezza del matrimonio cristiano, la perseveranza nell’amore, il valore di educare i figli in un ambiente propizio. Uno stimolo importante giunge dall’Esortazione apostolica Amoris laetitia. Tuttavia la legislazione nazionale segue criteri ideologici.


Il Paese è tornato a fare i conti con il terrorismo. Stavolta di matrice islamista.


Per decenni abbiamo sofferto il terrorismo dell’Eta. Sebbene sia stato un sollievo la scelta dell’organizzazione di rinunciare alla violenza, restano numerose ferite da cicatrizzare. Sono necessari molti sforzi, il riconoscimento delle responsabilità e tempo per la riconciliazione.


Attualmente l’islam è la seconda religione spagnola per numero di fedeli. Come si coltiva il dialogo interreligioso?


Il documento firmato ad Abu Dhabi da papa Francesco e dal grande imam di al-Azhar indica il cammino. L’islam è radicato fra noi da anni ed è trattato con rispetto. Su questo ha influito probabilmente la convivenza secolare fra spagnoli e marocchini in Nord Africa. Tutt’altra cosa sono gli attentati terroristici che gli stessi musulmani condannano. Serve rafforzare la convivenza democratica e la formazione che è fondamentale in ogni società civile.

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