lunedì 22 maggio 2017
Portare il nome di Rita da Cascia comporta una responsabilità: specie per chi ne condivide l'esperienza di unione con Dio nella sofferenza. La testimonianza e la preghiera di una scrittrice disabile.
La sua spina, la mia disabilità: perché amo la «santa degli impossibili»
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Che importanza si dà al proprio nome? Cosa significa realmente, per chi lo ha e lo porterà con sé per il resto della vita? Talvolta le persone non sono soddisfatte del proprio nome, perché non l'hanno potuto scegliere. Per me invece è il contrario. Sono fiera e onorata di chiamarmi come la «santa degli impossibili», la santa della rosa e della spina, un vero esempio di virtù, di fede e di amore per Cristo. Non smetterò mai di ringraziare chi ha scelto per me questo nome, lo percepisco giusto per me, e mi ha sempre spronato a prendere come modello Rita da Cascia.

Una vita che ispira

Fin da piccolissima mi è stata raccontata la sua vita, come fosse stata una figlia docile e ubbidiente, una moglie e una madre irreprensibile, e infine una monaca agostiniana esemplare. Ecco perché, portando il suo nome, mentre crescevo ho sentito aumentare in me un senso di responsabilità, come se dovessi fare qualcosa nella mia vita, imitando il comportamento della "mia" santa per onorarla e per mostrarmi degna di essere stata chiamata come lei. So che non potrò mai eguagliarla, né per fede né per altre doti in cui lei era impareggiabile, però posso prenderla a modello, cercare di vivere la mia vita come lei, in un continuo atto d'amore. Rita amava Dio e di conseguenza la sua famiglia, il marito che è riuscita a convertire, i figli che ha amato così grandemente da preferirli salvi in Paradiso piuttosto che vivi ma colpevoli di un peccato mortale, e infine come monaca era tanto innamorata di Gesù crocifisso da chiedergli una Sua spina.

A Cascia in carrozzina

Questo gesto mi ha sempre affascinato ma anche impressionato, non sarei mai in grado di arrivare a tanta compartecipazione al dolore di Cristo. Però posso vivere la mia condizione di disabile con amore, senza ribellione, come offerta al Signore per la sua crocifissione, per la Chiesa, per i peccatori, per i sacerdoti e le suore, in particolare per quelle di clausura, che come Rita, hanno scelto di mettere Gesù al centro del loro cuore. Nel giorno della sua festa, ricordo con commozione i pellegrinaggi a Cascia, fin da quando avevo otto anni, un luogo dove mi sono sempre sentita accolta e amata come una figlia quando va a trovare la propria madre. Con Rita sento di avere un legame speciale, una sorta di dialogo interiore, percepisco di essere ascoltata e capita, e so che lei mi parla attraverso il mio cuore. A lei mi sono sempre rivolta quando avevo bisogno, e non me l'ha mai negato.

Dalla ribellione alla preghiera

Quando ero piccola non capivo perché non mi esaudisse nella richiesta che ritenevo più importante, la guarigione fisica. Ora, dopo trent'anni che porto con gioia il suo nome, credo di comprendere un po' di più: paragono la mia carrozzina alla sua spina, anche se è molto meno dolorosa: credo che sia comunque un pegno d'amore verso Dio da accettare e offrire e, se possibile, da portare con gioia. Così nel giorno della sua festa voglio esprimere a santa Rita un ringraziamento speciale: «Mia venerata santa protettrice, grazie per essermi sempre così vicina, grazie per non avermi mai abbandonato, neanche quando io stessa ti respingevo, Grazie per il tuo esempio di figlia, sposa, madre e suora; grazie per avermi sempre amata e protetta e grazie soprattutto perché mi hai fatto comprendere che l'importante nella vita non è camminare ma amare, e che non bisogna guardarsi intorno quanto piuttosto tenere lo sguardo verso Dio. Continua ad aiutarmi, perché io impari sempre di più ad amare come tu hai amato, a perdonare come tu hai perdonato, ad accettare come tu hai accettato. Nel giorno della tua festa voglio solo ringraziarti, le mie parole non vogliono essere né una supplica né un addio, ma semplicemente una promessa d'amore».

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