venerdì 22 giugno 2018
Guidò le Chiese di Bari e Torino. Presidente della Cei nei primi anni Ottanta, è stato un fine tessitore di riconciliazione. Padre conciliare, a lui si deve il titolo della Gaudium et Spes
La «lezione» del cardinale Ballestrero a 20 anni dalla morte
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Un pastore che ha saputo costruire sulla roccia e non sulla sabbia. Così l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, suo terzo successore, ha ricordato ieri durante la Messa al Santuario della Consolata il cardinale Anastasio Alberto Ballestrero nel ventesimo anniversario della morte (Bocca di Magra, 21 giugno 1998). Il porporato ha saputo vivere, ha detto Nosiglia, «una sapienza del cuore maturata e costruita dentro un carattere impetuoso e un’intelligenza vivissima. Una sapienza che gli ha permesso di guidare la Chiesa in Italia come presidente della Cei e le diocesi di Bari e di Torino affrontando con coraggio e vigore i nodi anche più intricati che si creavano quando prevalevano idee o posizioni contrapposte, non sempre verificate, e vissuta con la dovuta umiltà alla luce della fede». Nosiglia ha sottolineato l’affetto di tanti, clero e laici, che anche oggi ricordano il suo ministero di padre nella Chiesa torinese e ovunque in Italia. E ha aggiunto il suo ricordo personale legato al Convegno ecclesiale nazionale di Loreto nel 1985 dove le parole del cardinale «furono un capolavoro di saggezza e di equilibrio, un momento di pacificazione che senza rinnegare una o l’altra posizione riuscirono a riportare serenità e fiducia in tutti». È a buon punto anche il processo di beatificazione del porporato che apparteneva all’Ordine dei Carmelitani Scalzi. «La parte più impegnativa è terminata – dice don Giuseppe Tuninetti, il prete torinese che è giudice del tribunale diocesano –. Ora aspettiamo che concludano il lavoro i periti storici e i censori teologi». Sono stati ascoltati 93 testimoni oculari tra il 2014 e il 2016. Sono state sentite le monache di clausura che lo hanno avuto per confessore o predicatore, a Firenze come a Siracusa, a Milano come a Cagliari. A Bari, per la grande quantità di materiale e di persone, si è lavorato per rogatoria. Il Tribunale ha anche sentito un confratello di Ballestrero ancora vivente a Praga, nel convento del Bambino Gesù a Malà Strana. (M.Bon.)

Padre Giuseppe Caviglia, suo segretario per 25 anni, se n’è andato a gennaio dello scorso anno, ma con la certezza di aver compiuto anche l’ultimo lavoro: infatti la causa di beatificazione del suo confratello il carmelitano Anastasio Alberto Ballestrero era stata avviata solennemente il 2 ottobre 2014. A vent’anni dalla morte la figura del cardinale che fu arcivescovo di Bari (1973-1977) e di Torino (1977-1989) emerge con forza ed è sempre ricordata con grande stima e affetto. Fu lui a volere la grande ostensione della Sindone nel 1978: tre milioni di persone coinvolte in un pellegrinaggio popolare di preghiera, di penitenza e di contemplazione verso quel “Volto” che richiama la Passione del Cristo ma anche rilancia la domanda sulla sofferenza degli uomini di ogni tempo. E Ballestrero con la Sindone prese intera la sua “croce” quando si trattò di gestire le ricerche sulla datazione col Carbonio 14.

Ancora oggi i risultati di quelle ricerche, e il metodo con cui furono condotte, sono molto discussi e tutt’altro che acquisiti. Di Ballestrero rimane attuale l’ispirazione che egli seppe dare non solo al suo episcopato ma all’intera vita sacerdotale e religiosa: quella di un primato di Dio che significava, molto concretamente, non fondare su forze e circostanze umane il cammino della Chiesa, ma andare in cerca ogni volta del «coraggio della fede», anche a costo di trovarsi soli, controcorrente, criticati. Al primato di Dio il cardinale seppe unire sempre una conoscenza profonda, disincantata e però rispettosa del mondo.

A oltre 35 anni di distanza stupisce ancora l’attualità di un documento come La Chiesa italiana e le prospettive del Paese, firmato dal Consiglio permanente della Cei nel pieno della presidenza Ballestrero (ottobre 1981). Vi si legge: «La crisi in corso non si risolverà a brevi scadenze né possiamo attendere soluzioni miracolistiche. Conosceremo ancora per molto tempo le contraddizioni di carattere socio-economico, le minacce della violenza e del terrorismo, la precarietà delle strutture pubbliche, la fatica di costruire l’Europa, i rischi per la pace internazionale, il dramma della fame nel mondo».

Nato a Genova il 3 ottobre 1913, entrò nell’Ordine dei Carmelitani Scalzi e nel 1936 venne ordinato sacerdote. Dal 1955 al 1967 è stato alla guida dei carmelitani scalzi di tutto il mondo come preposito generale. Nominato arcivescovo di Bari, ricevette la consacrazione episcopale il 2 febbraio 1974 e l’anno successivo predicò gli Esercizi spirituali a Paolo VI e alla Curia Romana. Il 1º agosto 1977 fu chiamato a succedere al cardinale Michele Pellegrino e divenne arcivescovo di Torino. Giovanni Paolo II lo creò cardinale nel 1979. E dallo stesso anno al 1985 è stato presidente della Cei.

Morì il 21 giugno 1998 a Bocca di Magra, in Liguria, nella casa di spiritualità carmelitana dove si era ritirato. Aveva 84 anni. È sepolto nell’eremo carmelitano del Deserto di Varazze. Il ricordo di molti è legato al Convegno ecclesiale nazionale di Loreto nel 1985 (il secondo promosso dalla Cei), quando Ballestrero, insieme con il cardinale Carlo Maria Martini, seppe ribaltare il clima di confronto aspro tra le varie anime della Chiesa italiana rilanciando con forza il valore della riconciliazione. Come presidente della Cei il porporato si trovò anche a gestire una situazione completamente nuova: quella di un vescovo di Roma e primate d’Italia che, per la prima volta da 450 anni, non era italiano, il Papa polacco Karol Wojtyla. Ma la figura del cardinale va anche oltre: è l’uomo che partecipò a tutti i lavori – nella veste di superiore generale dei carmelitani – del Concilio Vaticano II, dalla sessione antepreparatoria alla conclusione dell’8 dicembre 1965.

Lui stesso ricordava come intervenne, all’ultimo minuto, sulla Costituzione pastorale dedicata al mondo contemporaneo, che il 7 dicembre doveva ancora essere approvata. Ballestrero fece invertire le prime parole, che danno il titolo al documento: non Angor et luctus, come risultava fino ad allora nella bozza, ma appunto Gaudium et spes.

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