sabato 25 gennaio 2025
La testimonianza del fondatore di una grande agenzia di comunicazione: la missione di noi comunicatori, con una ritrovata passione per il vero dalla parte degli ultimi nell’era delle diseguaglianze
Edoardo Caprino

Edoardo Caprino

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Avere una visione della vita carica di entusiasmo da trasmettere. È uno dei primi segni di speranza indicati da Francesco nella bolla d’indizione del Giubileo. Come operatori della comunicazione possiamo sentirci esentati da questo invito? Certo che no. Se quello giubilare è soprattutto periodo di conversione non possiamo non dare un nuovo senso al cammino professionale. È quindi utile riscoprire – e riattualizzare – l’insegnamento di Paolo VI all’Ucsi nell’udienza del 22 settembre 1963. Come figlio di un giornalista, aveva ben chiari i compiti, cui siamo chiamati ogni giorno, racchiusi in due parole: mediazione e missione. Mediazione in quanto soggetti in mezzo tra la verità e la pubblica opinione. Un compito già allora grave e reso ancora più complesso dalla deliberata diffusione di fake news. Come aiutare la pubblica opinione a discernere tra vere e false notizie diffuse per confondere le menti?

Ciò è ancora più difficile se si considera come spesso l’inquinamento delle fonti avvenga da parte di alte figure istituzionali a livello globale per non dire di alcune piattaforme digitali. Nel vivere questo tempo giubilare gli operatori della comunicazione – credenti o no – dovrebbero tenere a mente un altro insegnamento di Paolo VI sulla stampa: «Una splendida e coraggiosa missione al servizio della verità, della democrazia, del progresso, del bene pubblico, in una parola» . Ancora oggi tanti giornalisti pagano con la loro vita la ricerca della verità e quindi del bene pubblico. La ricerca della verità da parte di un operatore della comunicazione è il contributo più prezioso che può dare allo sviluppo di quell’«alleanza sociale per la speranza» reclamata da papa Francesco. In un’epoca di sempre più accentuate diseguaglianze economiche, sociali e politiche lo sguardo non può essere girato dall’altra parte rispetto agli ultimi.

Nella bolla Spes non confundit Francesco evidenzia come è scandaloso non solo l’impiego di enormi risorse per la corsa agli armamenti ma la menzione dei poveri – nei dibattiti politici ed economici internazionali – come «un’appendice, una questione che si aggiunga quasi per obbligo o in maniera periferica, se non li si considera un mero danno collaterale». Se crediamo che la questione dei poveri non sia solo un’appendice, quale risposta vogliamo dare come categoria aldilà di retorici – e spesso vuoti – richiami etici? Vogliamo essere autentico “sale nelle ferite” dei potentati economici e politici che conducono il gioco e che a fronte di iniziative filantropiche pensano di lavarsi la coscienza e di considerarsi esenti dall’impegno nel contribuire – attraverso ad esempio una giusta tassazione – al bene comune e al sollievo dei più deboli? Dobbiamo ritrovare il coraggio di porre le giuste domande. E di riporle se non si raccoglie una risposta adeguata. Tra gli ultimi rientrano i tanti che si sentono disamorati rispetto alla ricerca della verità dei fatti attraverso i media tradizionali. Con un mondo in continuo e sconvolgente stravolgimento è ancora più impellente il compito di una comunicazione sana, autorevole e capace di leggere nel profondo.

* Fondatore e Ceo di Bovindo

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