sabato 29 luglio 2023
Raggiungere la terra di Gesù era diventato per il futuro fondatore dei gesuiti un obiettivo irrinunciabile. Ma alla sua richiesta di poter restare «per aiutare lì le anime» ricevette il no dal Custode
Sant'Ignazio di Loyola

Sant'Ignazio di Loyola - Archivio

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La festa di sant’Ignazio di Loyola, che ricorre questo 31 luglio, ha un significato particolare quest’anno per la Terra Santa. Nel 2023 ricorrono infatti i 500 anni dal pellegrinaggio che il futuro fondatore dei gesuiti compì a Gerusalemme nel 1523. Si tratta di un anniversario che ricorda un evento centrale nella vita di Ignazio di Loyola: quel viaggio in Terra Santa fu infatti un’esperienza fortemente desiderata e a lungo attesa dall’allora 32enne ex cavaliere Iñigo che – dopo essere rimasto ferito da una palla di cannone nel maggio 1521 durante l’assedio di Pamplona – nelle pagine della Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine e della Vita di Cristo di Lodolfo Cartusiano aveva capito che l’unico Signore che valeva la pena di servire era Gesù.

Il desiderio di recarsi in Terra Santa era stata la logica conseguenza: per lui non fu un semplice viaggio, ma un vero e proprio progetto di vita. Nella sua marcia di avvicinamento durata due anni si fermò a Montserrat, dove scambiò le sue ricche vesti con quelle di un mendicante. Poi - a Barcellona, dove avrebbe voluto imbarcarsi per Roma - fu sorpreso dalla peste che lo costrinse a ritirarsi a Manresa, in meditazione e solitudine, maturando i pensieri che sono alla base degli Esercizi spirituali. Anche dopo aver ottenuto dal Papa le credenziali del pellegrino, poi, dovette attendere ulteriori mesi a Venezia per trovare una nave su cui imbarcarsi (e una tradizione locale sostiene che alla fine ci riuscì solo procurando al capitano una buona scorta di baicoli, i famosi biscotti veneziani).

Con altri 20 pellegrini arrivò a Gerusalemme il 4 settembre 1523 e vi soggiornò per 19 giorni (anche se poi dal porto di Giaffa sarebbero realmente ripartiti solo il 3 ottobre). Dai racconti dei compagni di viaggio sappiamo che alloggiavano all’allora convento francescano del Monte Sion, adiacente al Cenacolo, e che visitarono molti dei Luoghi Santi ma senza poter spingersi fino a Nazareth, sul lago di Tiberiade e in Samaria, perché ritenuti in quei mesi dai francescani «luoghi non sicuri».

In realtà Ignazio di Loyola era arrivato a Gerusalemme con il desiderio di fermarsi stabilmente: è lui stesso a raccontarlo nella sua autobiografia, ripercorrendo la giornata per lui cruciale del 22 settembre 1523. Staccandosi dagli altri pellegrini andò, infatti, a incontrare il Custode di Terra Santa di allora, padre Angelo da Ferrara, a cui confidò il desiderio di rimanere a Gerusalemme per «aiutare lì le anime». Ma dal Custode - preoccupato per una presenza così poco gestibile in un contesto delicato - incassò un «no» molto fermo, accompagnato anche dall’ammonizione su una possibile scomunica se non fosse ripartito col resto del gruppo.

Quella reazione gettò Ignazio nella tristezza e nello sconforto: trascorse l’ultimo giorno da solo presso l’Edicola dell’Ascensione, sul monte degli Ulivi, dove in una pietra sono impresse quelle che secondo la tradizione sono le orme lasciate dai piedi di Gesù prima di salire al Cielo.

«L’ultima immagine che Ignazio volle conservare del suo pellegrinaggio - ha commentato il gesuita padre Iuri Sandrin in un articolo dedicato a quest’anniversario pubblicato sulla rivista Terrasanta - fu la direzione indicata da quelle orme, ovvero la ricerca di un segno che potesse offrire un nuovo punto di partenza su che cosa fare nella sua vita, occupandosi delle cose di Dio e trovando un posto nelle trame della storia degli uomini. La risposta assunse un volto, attraverso vicende ancora lunghe e tortuose, che condussero alla nascita del Compagnia di Gesù nel 1540».

A Gerusalemme i gesuiti sarebbero poi tornati solo nel 1913 con la fondazione del Pontificio Istituto Biblico. «Una presenza - ha ricordato in questi giorni in un’intervista al Christian Media Center padre David Neuhaus - che vuole essere il segno concreto del desiderio del santo di essere in contatto con i luoghi dove il Signore si è reso presente». Accanto all’archeologia e allo studio dei testi biblici, i gesuiti hanno poi sviluppato in Terra Santa anche altre forme di presenza, in ambiti che vanno dall’ecumenismo all’insegnamento nell’Università di Betlemme, fino all’assistenza ai migranti in Israele.


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