sabato 18 marzo 2017
Sacerdoti o laici, padri di famiglia o religiosi: ecco chi in nome del Risorto pagò con la vita il rifiuto di essere complice del regime
Da padre Kolbe a Edith Stein, i «martiri» del Führer
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La vicenda di Josef Mayr-Nusser, martire del nazismo per il suo no a Hitler, non è certo un caso isolato. Come lui, non pochi altri cristiani, cattolici, protestanti, ortodossi, rifiutarono di essere complici di un regime folle: ascoltando ciascuno la propria coscienza e aggrappandosi al Vangelo. Come lui per questo, trovarono la morte: una fine immediata per impiccagione, fucilazione, decapitazione, o più lenta, strangolati da una corda che saliva e scendeva, o attesa nell’inferno dei lager. Se poi è vero che la prima figura subito associabile a Mayr-Nusser, è quella di un altro beato, quasi conterraneo, l’austriaco Franz Jägerstätter, ghigliottinato per essersi rifiutato di entrare nelle armate del Führer (in entrambi i casi le scelte maturarono in famiglia e furono esibite di fronte agli altri con valenza pubblica), l’elenco dei laici – spesso sposi e padri – di questo martirologio dell’ultimo secolo causato dalla barbarie nazista, non è proprio breve.

Di certo non si perde nell’infinita lista, insieme a quanti, sacerdoti, pastori, suore, educatori, già noti o anonimi, sugli altari o senza alcun riconoscimento, hanno scritto col loro sangue l’ultimo capitolo di quella sorta di “libro” degli “Atti dei martiri” che da duemila anni accompagna la storia della Chiesa. Dove, appunto, troviamo sì – per restare tra i religiosi e il clero – personaggi ormai conosciuti come il francescano Maximilian Kolbe, il carmelitano Titus Brandsma, il gesuita Alfred Delp, Edith Stein, il luterano Dietrich Bonhoeffer, il vescovo ortodosso Gorazd, i parroci Max Josef Metzger, Francesco Rogaczewski o Bernhard Lichtenberg, morto prima di arrivare a Dachau.

Oppure – per restare fra i laici – i noti fratelli Hans e Sophie Scholl, i loro amici della “Rosa bianca” Christoph Probst e Alexander Schmorell, canonizzato dalla Chiesa ortodossa, i nostri Teresio Olivelli, Odoardo Focherini, Gedeone e Flavio Corrà ed altri, ma anche innumerevoli altre vittime le cui storie devono essere ricostruite. Basta ricordare qui, riferendoci ad esempio alla Germania, il lavoro voluto tempo fa dalla Conferenza episcopale tedesca per richiamare «il dovere della memoria» (come aveva chiesto Giovanni Paolo II nella Tertio millennio adveniente), confluito poi in un libro della San Paolo Testimoni di Cristo curato da Helmut Moll, che ha fatto conoscere insieme ai casi di decine di sacerdoti diocesani, religiosi e religiose, anche quelli di sessantuno laici e laiche, tedeschi, cattolici, e martiri sotto il nazismo in nome della fede. Impiegati e studentesse, ingegneri e avvocati, maestri e sindacalisti, operatrici sanitarie e giornalisti, operai e artigiani .

Accomunati dall’essere andati incontro alla morte pregando come i protomartiri cristiani. Storie dolorose, nel rifiuto di ogni neopaganesimo, concluse nella preghiera e persino nel perdono dei carnefici. Laici erano ad esempio Maria e Bernhard Kreulich, a morte nel ’44 per aver criticato il regime. E Nikolaus Gross, padre di sette figli, redattore, giustiziato a Plötzensee nel ’45. Oppure l’apprendista meccanico Walter Klingenbeck, ghigliottinato nel ’43 dopo aver scritto ad un amico: «Ho appena ricevuto i sacramenti e ora sono pronto, se vuoi far qualcosa per me, recita un Pater noster ».

E tanti altri, protagonisti di storie somiglianti eppure uniche. Tornano alla mente le parole di Giovanni Paolo II in un incontro con superstiti di Mauthausen nel 1988. Aveva Massimiliano Kolbe detto: «Uomini di ieri e di oggi… diteci, abbiamo forse noi dimenticato con troppa fretta il vostro inferno?». Non a caso Wojtyla aveva usato le parole «uomini di ieri e di oggi». Perché il ricordo del beato Mayr-Nusser, e dei martiri di ieri di ogni credo, aiuta a capire la Chiesa, ma deve muovere il nostro impegno sui fronti dei martirii che si ripetono nel mondo, pure in modi diversi, nel nostro tempo.

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