giovedì 10 luglio 2014
«Venerabile» l’industriale che scelse gli ultimi.
EDITORIALE Marcello dei lebbrosi di Piero Gheddo
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Era un industriale affermato nell’Italia del boom economico. Un uomo generoso, stimato da tutti nella sua Milano. Ma a un certo punto della sua vita tutto questo non bastava più: sentiva che Dio gli stava chiedendo ben altro. Così decise di vendere tutto per costruire un ospedale sul Rio delle Amazzoni. E andare a trascorrere là il resto dei suoi giorni, povero in mezzo ai poveri.Si può riassumere così la storia eccezionale di Marcello Candia, riconosciuto ufficialmente come venerabile dalla Chiesa cattolica. La Sala Stampa vaticana ha reso noto ieri che - durante un’udienza concessa martedì al cardinale Angelo Amato - papa Francesco ha autorizzato il decreto che riconosce le virtù eroiche di Candia, insieme a quelle di altri sei servi di Dio. Giunge dunque a un primo traguardo la causa di beatificazione di questo grande laico missionario del Novecento, aperta a Milano dal cardinale Carlo Maria Martini nel 1991.Era nato a Portici nel 1916 il piccolo Marcello, figlio del dottor Camillo Candia, fondatore dell’omonima Fabbrica italiana di acido carbonico. Studi in chimica, si era formato nella sua Milano preparandosi a seguire le orme del padre. Poi - negli anni difficili della ricostruzione, mentre al timone delle sue aziende maturava un successo dietro l’altro - non si era tirato indietro nel finanziare tante opere di solidarietà. Comprese quelle al servizio delle missioni. Finché negli anni Cinquanta, durante un viaggio in Brasile, arrivò l’incontro con padre Aristide Pirovano, missionario del Pime e vescovo dell’Amapà. Fu incontrando con lui i poveri dell’Amazzonia che nel cuore di Candia nacque l’idea: vendere tutto per costruire a Macapà un ospedale al loro servizio. I lavori cominciarono nel 1961, ma Marcello dovette aspettare altri quattro anni prima di partire per il Brasile: nel frattempo un grave incendio aveva devastato una delle aziende e lui - da vero imprenditore - non volle partire prima di aver sistemato tutto.In Brasile seguì il consiglio che gli aveva dato l’allora cardinale arcivescovo Giovanni Battista Montini: «Faccia tutto in modo di non essere più indispensabile». Così cedette ai Camilliani il grande ospedale che aveva fatto costruire, perché non si pensasse che quella era la sua nuova impresa. Di sé diceva: «Mi basta il Battesimo per essere missionario». Un battesimo che lo portava a prediligere le periferie più estreme; così, quando all’ospedale di Macapà venne a contatto con il dramma dei lebbrosi, che erano tenuti ancora ai margini, gli venne spontaneo andare a vivere in mezzo a loro a Marituba. E lanciarsi in un nuovo progetto: trasformare l’“anticamera dell’inferno” in un luogo a misura d’uomo. Fu proprio a Marituba, tra i suoi lebbrosi, che nel 1981 ebbe la gioia di accogliere in visita Giovanni Paolo II. Rientrò in Italia solo quando ormai era già gravemente malato: morì nel giro di poche settimane, il 31 agosto 1983. Nel frattempo a far conoscere a tanti in Italia la figura di Marcello Candia, sul finire degli anni Settanta, era stato il libro di Giorgio Torelli “Da ricco che era”. «Obiettano che le scelte per il progresso devono essere solo e sempre politiche, non singole – raccontava Candia in quel libro, alludendo al clima di quegli anni –. E allora io rispondo: “Giusto. Anzi, dicendo così dimostrate un’intelligenza che io non ho. Io ho un solo, eventuale talento: so appena chinarmi su quello che riconosco per fratello. Permettetemi di farlo, intanto che maturano le vostre azioni politiche. Mio fratello ha bisogno oggi, non può aspettare. Insieme a quell’uomo aspetterò voi”». Sempre in quell’intervista Candia diceva anche: «Il Signore mi ha fatto capire a fondo il Vangelo quando l’ho letto qui in Amazzonia. In Italia l’avevo già letto tante volte, ma solo qui ho capito a fondo quella frase del Signore: “Quello che fate ad uno di questi piccoli lo fate a me”. Quindi se tu mi chiedi: è più quello che diamo o quello che riceviamo? Io rispondo: molto più quello che riceviamo, perché qui io ho capito il Vangelo come non lo avevo capito mai».
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