
don Roberto Lai - diocesi di Ales-Terralba
La diocesi di Ales-Terralba piange la morte di don Roberto Lai, 46 anni, il cui cammino terreno si è concluso lo scorso 15 gennaio a causa di un tumore contro cui lottava da tempo.
Impegnato nell'educazione dei giovani, in 20 anni di sacerdozio ne aveva coinvolti centinaia ad Arbus, Mogoro, Terralba, Siddi e Pauli Arbarei, in ultimo a Uras, sia con incontri formativi che con i Grest estivi. Aveva accompagnato e consolato tanti sofferenti, condividendo con loro la prova della malattia.
Aveva lavorato tanto anche per il giornale diocesano, dove per anni aveva scritto con passione e competenza. Voleva informare e far riflettere, rafforzare la fede dei lettori con le storie di santi e i tanti approfondimenti e numeri speciali che realizzava. A dicembre era diventato giornalista pubblicista dopo una lunga collaborazione con il Nuovo Cammino, giornale che aveva amato e tenuto tra le mani fino agli ultimi giorni.
Don Roberto Lai lascia un vuoto immenso in una piccola diocesi che di un prete giovane come lui avrebbe avuto tanto bisogno nei prossimi anni, a fronte di un clero che invecchia. Ma lascia anche molti semi di speranza.
In tanti sono venuti a Villacidro, suo paese natale, per le esequie celebrate dal vescovo Roberto Carboni. C'erano anche i vescovi Giovanni Paolo Zedda, emerito di Iglesias, e Corrado Melis, pastore di Ozieri, sacerdoti delle due diocesi, sindaci con la fascia tricolore, insieme ai familiari e ai parrocchiani. La chiesa dedicata a Santa Barbara è diventata troppo piccola per accogliere tutti, è stato aperto l'auditorium adiacente ma non è bastato neppure quello.
Pochi fiori, belli, gialli, portavano il nome degli amici di una vita. Solo qualche pennellata di colore perché don Lai aveva chiesto opere di bene. E la gente ha risposto generosamente: tante offerte sono state raccolte per la ricerca contro il cancro.
Nel testamento spirituale che aveva consegnato al vescovo pochi giorni prima di morire, don Roberto ha chiesto al «Padrone della messe» che «susciti ancora vocazioni al sacerdozio, per la messe diocesana: non ne siamo degni, ma ne abbiamo bisogno».
«Don Roberto – ha detto il vescovo Carboni – ha potuto sperimentare la bellezza della vita, la grande dignità della vocazione, la gratitudine per tutta la magnificenza che ci circonda e al tempo stesso la durezza della malattia, la vita appesa ad un filo. Per don Roberto questa esperienza di precarietà è durata a lungo, quasi 8 anni, duranti i quali ha lottato con un tumore al fegato, “il compagno di viaggio”, come lo ha chiamato, esigente e molesto. In questi anni egli si è sforzato di portare avanti il suo ministero sacerdotale e l’impegno pastorale, nonostante tutto. Il suo rammarico era – a causa delle chemioterapie continue – di non poter assolvere i suoi compiti di parroco per dover spendere del tempo per curarsi. Nel suo tempo di malattia ha lentamente accolto l’idea della caducità e della fine della sua vita. Da uomo intelligente, egli ha capito subito che si trattava di un cammino che lo avrebbe portato alla conclusione dell’esistenza. Don Roberto ha iniziato lentamente a dialogare con la possibilità della morte, rinnovando la sua fiducia in Dio e nella Sua promessa di essere con Lui sino alla fine e oltre la fine. Cercava spazi di preghiera e meditazione, nel desiderio di un contatto frequente con il Signore. Il suo è stato un cammino di vita, di malattia e incontro con la morte, ma nella luce della Resurrezione».