Ravagnani: dai giovani un grido, forse l’ultimo. Ora va ascoltato sul serio

Il prete influencer: evitiamo che questo evento, incredibilmente bello, resti isolato. Le folle di Roma non smentiscono la "crisi della fede" ma chiedono una Chiesa che cammina davvero c
August 1, 2025
Ravagnani: dai giovani un grido, forse l’ultimo. Ora va ascoltato sul serio
Stefano Carofei / fotogramma.it |
In questi giorni, a Roma, sono convenuti centinaia di migliaia di giovani da tutto il mondo. Zaino in spalla e cuore aperto, hanno viaggiato per giorni, hanno faticato sotto il sole, hanno investito i loro risparmi. Perché? Per ascoltare parole di senso, di fede, di incoraggiamento. Per cercare una voce capace di orientare il caos delle emozioni, dei dubbi, delle ferite, dei desideri che portano dentro. Per accogliere il dono della speranza.
Ma ora, in realtà, tocca anche alla Chiesa ascoltare tutti questi giovani.
Se questo Giubileo non vuole limitarsi a un evento ben riuscito e partecipato, ma vuole essere un vero punto di svolta, allora la Chiesa, dopo aver parlato ai giovani, deve mettersi ad ascoltarli sul serio. Ascoltare le loro domande, le loro istanze, i loro linguaggi. E poi deve guardarli attentamente: come si vestono, come si relazionano sui social, come vivono la fede – o come non riescono più a viverla. E poi deve lasciarsi interrogare dalla loro presenza, dai loro silenzi, dalle loro proteste e dal loro slancio.
Don Alberto Ravagnani - Fotogramma
Don Alberto Ravagnani - Fotogramma
È tempo di ascoltare la loro fatica ad amare secondo la morale cattolica, senza subito sgridare o correggere. È tempo di prendere sul serio le loro istanze sull’inclusione, sulla partecipazione, sull’identità personale e spirituale. È tempo di riconoscere che la tradizione cattolica, per essere viva, deve potersi confrontare senza paura con la sensibilità contemporanea.
È il richiamo della speranza a convocare i giovani a questo Giubileo. E la Chiesa, autorevolmente, si assume la responsabilità di annunciarla e renderla possibile.
Ma che cosa significa sperare per i ragazzi di oggi? Speranza, per loro, non può essere solo una dottrina né uno slogan gridato a gran voce. Deve essere qualcosa di tangibile: la possibilità di sentirsi accolti, di essere parte, di poter credere senza doversi snaturare. Hanno sete di autenticità, di relazioni vere, di adulti credibili, di comunità dove la fede non sia una maschera ma un respiro. Dove si possa camminare insieme, anche con le proprie fragilità. Dove, in altre parole, si possa essere autorizzati a sperare.
Non possiamo lasciare che questo evento resti un episodio isolato, seppur incredibilmente bello. Le folle entusiaste che vediamo in questi giorni per le strade di Roma non sono una smentita della crisi della fede: sono un grido, forse l’ultimo, che chiede ascolto. Chiede di essere accolto in modo stabile, duraturo, quotidiano. Chiede una Chiesa che non organizza solo eventi, ma che cammina davvero con i giovani: con pazienza, con umiltà, con amore.
Forse è proprio questa la conversione a cui siamo chiamati oggi: passare da una Chiesa che parla ai giovani, a una Chiesa che li lascia parlare. Perché la speranza non nasce da un messaggio trasmesso, ma da un legame costruito. E la speranza, quella vera, cammina sempre su due gambe: quella di chi guida... e quella di chi viene accolto.

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