«Non imbalsamiamo l'esempio di Bergoglio»

Parla madre Angelini ia monaca benedettina cui sono state affidate le meditazioni nelle ultime assemblee sinodali: papa Francesco ci ha ricordato che il povero è il volto di Gesù
May 6, 2025
«Non imbalsamiamo l'esempio di Bergoglio»
Vatican media | Il Papa pranza con i poveri in Aula Paolo VI
Non un evento prodotto da mano umana bensì un processo suscitato dallo Spirito di Dio. Un divenire da realizzare insieme. L’eredità è compito condiviso tra chi lascia e chi riceve, nello Spirito. Madre Maria Ignazia Angelini offre una chiave per leggere questo momento storico per la Chiesa: il Conclave chiamato a scegliere il successore di Pietro. Monaca benedettina e teologa, nata a Pesaro 81 anni fa, ha guidato per oltre ventidue anni come abbadessa la Comunità di Viboldone, appena fuori Milano. E, ora, nella stessa Abbazia, riceve chiunque abbia necessità di conforto e consolazione, di condividere un tempo di afflizione o di gioia, di sentire una parola amica. Alla religiosa, insieme al domenicano Timothy Radcliffe, è stata affidata la realizzazione delle meditazioni che hanno introdotto le varie sessioni generali delle due Assemblee sulla Sinodalità.
Durante il Sinodo ha avuto modo di conoscere meglio papa Francesco. Come lo definirebbe?
Un cuore grande, forte nella sua fragilità (non paludato, ma scoperto nelle sue insufficienze) e capace di mettere in circolazione il sangue di tutto il corpo dell’umanità con la sua tenace e fiduciosa semplicità.
Un suo ricordo personale?
Un episodio piccolo – cinguettio tra la gravi parole del Sinodo – ma rivelatore. Al termine di una mia riflessione all’inizio di una Congregazione generale, mi si è avvicinato e mi ha detto: “Grazie, mi hanno fatto bene le tue parole, mi hai fatto capire cose cui mai avevo pensato”. Io? Possibile? Ero cosciente di aver semplicemente proposto la meditazione sulla parola evangelica del giorno. Ma l’immediatezza disarmante di questo apprezzamento mi ha profondamente colpito. E subito dopo mi ha domandato se avevo un desiderio. Gli ho raccontato di una mamma che aveva appena perso il figlio unico in un incidente stradale: l’ho raccomandata alla sua preghiera. Mi ha chiesto il nome e il contatto, e immediatamente – lì, in Aula – l’ha chiamata... Lascio immaginare. Ne sono rimasta tanto commossa fino a nascondermi, in lacrime.
Che eredità lascia al successore?
L’eredità spirituale è opera di Spirito Santo e di libertà: da chi lascia – e che cosa lascia – a chi riceve, nello Spirito. Penso all’episodio narrato dalla Bibbia del profeta Elia e di Eliseo: «Mentre passavano, Elia disse a Eliseo: “Domanda che cosa io debba fare per te prima che sia rapito lontano da te”. Eliseo rispose: “Due terzi del tuo spirito diventino miei”. Quegli soggiunse: “Sei stato esigente nel domandare. Tuttavia, se mi vedrai quando sarò rapito lontano da te, ciò ti sarà concesso; in caso contrario non ti sarà concesso”». Quel “vedere l’andarsene del maestro rapito lontano” è l’opera di Spirito Santo. Ereditare fedelmente non è imbalsamare, mitizzare, ma entrare nel vortice del Soffio, del carro di fuoco, lasciando andare il Padre. Immensa è l’eredità di Francesco: ma occorre aprire gli occhi a una visione di futuro “dopo” di lui.
Qual è il suo sogno per il prossimo Pontefice e la Chiesa che verranno?
Francesco nella sua autobiografia scrive: “Se il Conclave è il momento dell’extra omnes, la Chiesa, invece, è caratterizzata dall’intra omnes”. Sogno un Papa che vada avanti nell’apertura sofferta di oggi e che sappia guardare i limiti, pur fecondi, di papa Francesco così da cercare con passione di portare avanti la sua opera incompiuta.
Qual è quest’opera incompiuta?
Francesco lascia un’eredità dalle molte sfaccettature, aperture tutte incompiute, che cioè aspirano ad essere completate, urgenze anche per certi versi ambigue, frammentarie. Ha aperto orizzonti, innovato il linguaggio, coniato tante parole d’ordine: non lasciamo che diventino slogan. Jorge Mario Bergoglio ha portato in primo piano la figura del “povero” e del piccolo come fonte di rivelazione cristologica, fuori di ogni assistenzialismo. Ha appassionatamente denunciato la stoltezza di ogni guerra, di ogni violenza sull’essere umano e sul Creato, di ogni discriminazione. Ha riscoperto, per l’oggi, la sinodalità della prima comunità cristiana, fondata sulla conversazione nello Spirito. Ha portato alla concretezza le intuizioni del Concilio sul “popolo santo” di Dio, riposizionando il senso dei ministeri e della vita consacrata. Ma tutta questa sovrabbondante eredità è rimasta allo stadio di semplice apertura, avvio di processi, un inizio aurorale, ancora univocamente legato alla sua specifica cultura latinoamericana e allo stile personale.
I processi aperti sono, dunque, tanti. In quali la Chiesa ha necessità di avanzare con maggiore slancio?
La questione antropologica: l’umano è il tema oggi più insidiato dalla svolta culturale che a livello globale stiamo attraversando. All’interno dell’ordinamento ecclesiale, mi sembra urgente rileggere in chiave sinodale la questione dei ministeri. E in tutto questo – a fondamento – la riscoperta vissuta delle radici vitali: della preghiera liturgica, di Chiesa, e della lectio divina come fonti di ispirazione dei vari processi.
Come le donne possono trovare piena cittadinanza nella Chiesa?
Ce l’hanno già – di fatto – la cittadinanza, ma dalla mentalità clericale sono rese per lo più invisibili. Semplicemente bisognerebbe spostare l’asse dell’attenzione ecclesiale verso la loro voce e la loro opera, cercando di sintonizzarsi con la lunghezza d’onda del loro messaggio, della loro presenza operante.
Come la Chiesa può parlare all’umanità del XXI secolo?
Ascoltando in verità, con un ascolto totale, a tutto campo – consapevole di non sapere – e tenendosi saldamente radicata nel Vangelo in cui mai smettere di cercare Gesù, il Vivente. Dimorando nell’adorazione stupita delle vie di Dio e insegnando a pregare a partire dall’Eucaristia e dall’antichissima, “corporea”, tradizione di preghiera dei cercatori di Dio: i Salmi.
È un momento difficile per il mondo, sotto tanti punti di vista. Forse mai come ora la Buona Notizia del Vangelo è urgente. Come può la Chiesa testimoniarla?
Traducendo nel linguaggio “corporeo” dei fatti, delle pratiche vive, il mistero di cui ella stessa vive. In questo senso, il gesto testamentario ultimo di papa Francesco ha una densità iconica paradigmatica: dalla sedia gestatoria degli antichi papi, alla papamobile (veicolo della sua ultima presenza, agonica, in mezzo al popolo) lasciata in eredità quale ambulanza pediatrica mobile per i bambini di Gaza, gli sventurati. Ecco come ricevere e rendere fecondo di speranza il prezioso dono del suo pontificato. Tornando al brano di Elia, dobbiamo domandarci: lo “vediamo” andar via, ne seguiremo le orme?

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