Nessuna epurazione al Pontificio Istituto «Giovanni Paolo II»
di Luciano Moia
Dopo le polemiche seguite al rinnovamento della realtà accademica deciso dal motu proprio di Francesco 'Summa familiae cura', ecco come stanno realmente le cose e quali gli obiettivi del percorso

Nessuna epurazione, nessuna volontà di cancellare quanto costruito da papa Wojtyla, nessuna strategia per mettere all’angolo la teologia morale e rimpiazzarla con una confusa sociologia postmodernista. Le voci rimbalzate in questi giorni tra il 'bar sport' dei social e qualche media non si sa quanto capzioso o quanto disinformato, hanno tentato di dipingere l’operazione di rinnovamento del Pontificio istituto teologico 'Giovanni Paolo II', sollecitata da papa Francesco con il Motu proprio Summa familiae cura come una strategia per annacquare gli studi di alta specializzazione sulla famiglia.
Quanto c’è di vero in questa vulgata? Proprio nulla. La gran parte dei docenti che già insegnavano al preesistente 'Giovanni Paolo II' saranno coinvolti nel nuovo. Come previsto dagli statuti, nei giorni scorsi sono state inviate le lettere con cui si annunciava – come esplicitato nel Motu proprio – la cessazione delle attività e quindi, a norma di diritto canonico, la decadenza dei ruoli. Ma in questi giorni stanno partendo altrettante missive per gli incarichi che riguarderanno quasi tutti i docenti. E altri se ne aggiungeranno.
Gli unici due casi di mancata conferma di professori ordinari si riferiscono a situazioni oggettivamente non più sostenibili. La prima riguarda padre José Noriega Bastos che, in quanto superiore generale dell’Istituto Religioso “Discípulos de los Corazones de Jesús y María”, non può essere allo stesso tempo ordinario di una cattedra in un istituto pontificio. Le indicazioni di Veritatis gaudium
dall'incarico
Il secondo caso riguarda don Livio Melina, tra i fondatori di Cl nel Veneto, già preside dell’Istituto e docente di teologia morale fondamentale. Il mancato rinnovo dipende dal fatto che la cattedra è stata sdoppiata «nel duplice insegnamento di Morale del matrimonio e della famiglia e di Etica teologica della vita», come spiega in un comunicato il 'Giovanni Paolo II' . Quindi teologia morale sì, ma 'del matrimonio e della famiglia'. Come non si studierà più genericamente teologia sacramentaria, ma teologia sacramentaria del matrimonio e della famiglia. E con la stessa specializzazione familiare, coerente con il nuovo ordinamento di un istituto pontificio che, a differenza di prima, potrà concedere jure proprio, titoli accademici, saranno modellati gli altri insegnamenti teologici, finalizzati cioè a illuminare «gli avvenimenti della storia, attraverso i quali la Chiesa può essere guidata ad una intelligenza più profonda dell’inesauribile mistero del matrimonio e della famiglia», come scriveva Giovanni Paolo II in Familiaris consortio.
E, a proposito di san Giovanni Paolo II e della cattedra a lui intitolata, non ci sarà alcun 'licenziamento' per il professor Stanislaw Grygiel, allievo del papa polacco e poi suo amico e consigliere. Nonostante i suoi 85 anni, proprio in virtù della memoria storica rappresentata, continuerà ad essere responsabile della cattedra intitolata a Karol Wojtyla. In realtà, d’ora in poi il criterio della scelta attraverso concorsi come previsto dagli Statuti – al di là delle urgenze per questo nuovo inizio – permetterà di puntare alla più alta qualità dei docenti.
Del tutto fuorvianti anche le voci riguardanti i problemi per gli studenti che non potranno terminare gli studi. Basta leggere l’articolo 89 degli Statuti: tutti gli studenti «iscritti ai corsi di studio dell’Istituto, con l’approvazione degli statuti e dell’ordinamento degli studi, potranno scegliere di proseguire il percorso formativo in esso previsto, ovvero procedere con il passaggio al nuovo ordinamento». Quindi, anche in questo caso, tanto rumore per nulla.
Ora, questo quadro ineccepibile dal punto di vista delle regole canoniche e del nuovo piano di studi, esaurisce i motivi che hanno sollecitato il rinnovamento del 'Giovanni Paolo II'? Probabilmente no. Nessuno può dimenticare che nell'intensa stagione sinodale e poi anche nei mesi successivi alla pubblicazione di Amoris laetitia, alcuni rappresentanti di vertice dell’istituto insieme ad alcuni docenti si sono affannati con pubblicazioni, dichiarazioni, interventi a convegni e conferenze, a minimizzare la portata della svolta voluta da papa Francesco.
Tante le sottolineature critiche sul lavoro del doppio Sinodo e anche sui contenuti dell’Esortazione postsinodale. Attacchi tanto più spiacevoli perché provenienti dal cuore di quell’istituto che avrebbe dovuto rappresentare, nell’ambito della formazione specialistica ai massimi livelli, uno dei motori del rinnovamento, non l’organizzatore di una sorta di fronda. Chi si fregia del titolo di 'pontificio', e si assume onori e onori relativi – con conseguente stipendio – non dovrebbe poi comportarsi coerentemente con le proprie scelte?
Ma su questo punto sia l’arcivescovo Vincenzo Paglia, gran cancelliere del 'Giovanni Paolo II', sia il preside monsignor Pierangelo Sequeri preferiscono mettere da parte le polemiche personali e sottolineare invece la continuità dell’ispirazione che amplia l’orizzonte di ricerca per poter ridare forza alla famiglia nella sua missione e vocazione nel mondo di oggi.
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