La sofferenza che ci rende più umani

A chi attraversa la malattia il Papa oggi è ancora più caro, e prega perché possa dire a sé stesso di aver ricevuto un miracolo. Ma c'è un altro miracolo che la medicina non può garantire...
March 2, 2025
La sofferenza che ci rende più umani
Ansa | Il crocifisso del pastorale nella statua di papa Wojtyla davanti al Gemelli e, sullo sfondo, le finestre del piano dov'è ricoverato il Papa
Quando qualche “grande della terra” è colpito da una malattia importante questo fatto diventa subito una notizia. Cosa ci sia in questo interesse è difficile da dire; spesso, il calcolo di ciò che potrà accadere dopo. La malattia di papa Francesco è diversa; anche nel suo caso vi è un interesse forte, ma è soprattutto quello della gente comune, di quelle persone raccolte a pregare attorno alla statua di san Giovanni Paolo II, nel giardino del Gemelli, a chiedere la grazia della guarigione di papa Francesco a quel suo predecessore che ha ben conosciuto la sofferenza, i lunghi e ripetuti soggiorni al Gemelli, che aveva iniziato a chiamare quell’ospedale il “Vaticano numero 2”.
La catena ininterrotta di preghiera che accompagna l’evolvere della malattia di papa Francesco testimonia di una trepidazione affettuosa, intensa, come per un familiare la cui vita ci è cara. Il dolore rende umani, la malattia rende evidente il limite, il sentirsi esposti alla morte fa sperimentare la propria radicale fragilità. Nessun ruolo fa più da schermo ma, casomai, la popolarità che il ruolo ha accresciuto avvicina ciascuno a quella condizione di fragilità, fa sentire partecipi, genera un’immedesimazione: sembra quasi di sperimentare quello che quella persona, esposta come noi alla fragilità, vive, sperimenta, teme, spera. Non sappiamo come papa Francesco stia vivendo queste giornate; sappiamo solo quello che filtra dalle notizie ufficiali, che sembrano voler conservare nell’opinione l’immagine dell’uomo pubblico: il Papa prega, lavora, incontra i collaboratori... Continua a “fare il Papa”!
Ma chi ha attraversato vicende simili a quella che sta vivendo papa Francesco sa che c’è molto altro nelle sue giornate. C’è il dolore fisico, quando questo sembra invadere tutto di noi, tanto da non lasciare nella coscienza spazio per vivere il molto di più che ciascuno è, rispetto al suo corpo malato. C’è l’esperienza della dipendenza in tutto, della propria intimità violata, della libertà cui occorre rinunciare per fidarsi di chi si prende cura di noi. C’è la rinuncia a quelle occupazioni quotidiane che, importanti o meno che siano, costituiscono la nostra normalità, coinvolgono altri, incidono anche sul loro lavoro, influiscono sulle nostre responsabilità. E quando la malattia espone al rischio della morte, quello è il momento in cui tutta la vita ci passa davanti per essere riconsegnata, in quel salto nell’ignoto che solo la fede rischiara, trasformandolo in compimento, nell’attesa di un abbraccio nel quale ritrovare, purificato, tutto ciò che in quel momento lasciamo. E c’è anche tanto altro: la paura, le domande che non finiscono mai, le lacrime – le nostre e quelle delle persone care – e i progetti improvvisamente interrotti, e la preghiera che salva dalla disperazione, e l’abbandono… La vicinanza di chi ci vuole bene motiva a lottare: dobbiamo farlo anche per loro, e questo pensiero ci aiuta a non lasciarci andare, a non arrenderci al male.
Chissà se questo è quello che vive anche papa Francesco, il molto di più che le cronache dei giornali non possono raccontare perché troppo intimo, troppo normale, troppo simile a quello che ciascun malato sperimenta. Quando sento le notizie che riguardano l’andamento della malattia di papa Francesco, quando vedo le immagini del Gemelli, rivedo me stessa: la soglia di quel Policlinico l’ho attraversata più volte, in quell’ospedale ha soggiornato a lungo. Credo di poter immaginare ciò che sta vivendo il Papa, mi sento partecipe della sua vita da malato. In questi giorni papa Francesco mi è ancora più caro, e prego perché tra pochi giorni anche lui possa dire a sé stesso di aver ricevuto un miracolo. Quello della guarigione lo faranno soprattutto la medicina e la professionalità di un personale molto qualificato. Ma c’è un altro miracolo che nessuno, tranne lui, potrà avvertire: quello di aver sperimentato che c’è un dolore che rende la nostra umanità più intensa e consapevole; che c’è un Amore che ci sostiene e ci fa credere alla bellezza della vita anche mentre attraversiamo l’inferno.

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