Il sogno di pace dei giovani ucraini e i flashmob sui coetanei uccisi
Duemila ragazzi dal Paese invaso che portano in giro per la città le foto degli studenti morti per i bombardamenti russi. Il vescovo di Donetsk: online i giovani dei territori occupati
Il volto del 18enne Hennadiy Havrashenko è accanto alla bandiera gialla e blu che due coetanei tengono in mano. Sullo sfondo la chiesa dei Santi Sergio e Bacco, quella che a Roma chiamato tutti la Cattedrale degli ucraini e che nelle giornate del Giubileo dei giovani è il passaggio obbligato per chi arriva dal Paese sotto le bombe. Cappellino sulla testa, maglietta nera, Hennadiy sorride. Ma nella foto che lo ritrae. È stato ucciso nel settembre 2022 da un razzo russo. Come Polina Zheldak, 20 anni, che insegnava inglese, scriveva poesie, amava disegnare: il suo cuore si è fermato il 3 marzo 2022 sotto le macerie di un palazzo di Chernihiv distrutto da un attacco di Mosca. O come Daniel Shmahlii, 17 anni, che studiava medicina e amava giocare a scacchi: è morto il secondo giorno d’invasione russa, il 25 febbraio 2022, dopo essersi lanciato dal ponte di Irpin per ripararsi dai raid del Cremlino.

Le loro immagini accompagnano i ragazzi che dall’Ucraina sono riusciti a raggiungere l’Italia per il più grande appuntamento dell’Anno Santo. «Quasi duemila - spiega padre Roman Demush, vice-responsabile della pastorale giovanile della Chiesa greco-cattolica ucraina -. Ma hanno scelto di ricordare e raccontare anche chi è stato spazzato via dalla guerra negli anni più belli della vita». Quindici ritratti di giovanissimi che «non hanno potuto concludere gli studi a causa dei bombardamenti russi», si legge nei cartelli che vengono portati in giro per la Capitale in flashmob fra i vari angoli della città: anche davanti al Colosseo. «È un doppio messaggio quello che i giovani ucraini mandano al mondo: anzitutto, intendono essere testimoni di speranza, di un futuro che ripudia la guerra dopo oltre tre anni di conflitto; poi, chiedono che non siano dimenticate le vittime di una follia atroce e che l’umanità non si volti dall’altra parte mentre loro stessi non possono né studiare, né dormire, né progettare il proprio avvenire perché la vita è sempre in bilico», aggiunge il sacerdote.

«Siamo qui per invitare tutti a pregare per la pace, anche nel nostro Paese», dice Dmetro Hohol. Ha 19 anni e vive nella regione di Chmelnyckyj. Sta concludendo la sua formazione tecnica. «L’Ucraina attraversa adesso un periodo molto difficile», ammette. Forse il più incerto dopo le prime settimane di aggressione: l’esercito russo avanza e strappa nuove terre. «Ma la speranza non è mai venuta meno, come ci chiede anche il Giubileo - prosegue Dmetro -. Continuiamo a vivere senza perdere la pace nei nostri cuori, anche se l’abbiamo persa nella nostra patria».

A papa Leone guarda con fiducia per il suo impegno a far tacere le armi. «Ci ha fatto gridare in piazza San Pietro: “Vogliamo la pace”. Straordinario. Se potessi incontrarlo, gli chiederei di sostenere noi giovani. Perché abbiamo bisogno di sentire che non siamo soli». Un segno concreto di vicinanza della Chiesa è stata la possibilità stessa di essere a Roma, anche attraverso l’aiuto del Dicastero per l’evangelizzazione.

Eppure c’è chi non ha potuto giungere nella Penisola. Come i ragazzi ucraini delle regioni cadute in mano russa. Quelle, ad esempio, che formano oltre la metà della diocesi greco-cattolica di Donetsk. «In questi giorni mi sono scritto con alcuni giovani che sono nei territori occupati - afferma il vescovo di Donetsk, Maksym Ryabukha -. Mi hanno detto: vedere le vostre immagini e sapere che la vita non si ferma è fondamentale per noi. C’è bisogno di essere anche la voce di coloro che sperimentano in maniera più disumana il dramma della guerra. Nella Messa di apertura della settimana l’Ucraina è stata associata alla Palestina: sono entrambi luoghi di genocidio, seppur con modalità diverse. E ci domandiamo: possibile che chi ha in mano le sorti delle nazioni non riesca a fare nulla per fermarli?».
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