Da poliziotto a diacono: la storia di Mauro Ravazzani
L'agente della Digos in pensione ha curato la sicurezza di 4 arcivescovi. Sabato scorso la sua ordinazione nel Duomo di Milano. Ora è anche segretario di Delpini

«Sono Mauro, ho 61 anni, sono sposato con Roberta e abbiamo 3 figlie. Da pochi giorni sono divenuto diacono permanente e per 35 anni, sono stato un poliziotto, in pensione dal 2023». Inizia cosi, con semplicità, il racconto di Mauro Ravazzani, uno degli 8 neo diaconi permanenti della diocesi ordinati dall’arcivescovo in cattedrale. Quel Duomo che è proprio di fronte al suo nuovo ufficio di segretario di Delpini, dove ha preso servizio ieri. «Ho iniziato nel 1991 con il cardinale Carlo Maria Martini e ho proseguito con i successori Tettamanzi e Scola sino al vescovo Mario, svolgendo il mio ruolo nel servizio scorte della Polizia di stato. Avendo percorso in lungo e in largo l’intera diocesi e conoscendo tanti diaconi, mi sono sempre interessato a questo ministero. Ma è grazie alle sollecitazioni venute dall’arcivescovo, che mi ha spinto a riflettere sulla mia vocazione, che ho preso la decisione, nel 2019, di intraprendere il cammino vero e proprio dei 6 anni per diventare diacono. Ho quindi iniziato a frequentare l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Milano e a partecipare agli incontri formativi mensili nel Seminario di Venegono, fino ad arrivare all’ordinazione diaconale permanente». Ma come nasce una vocazione così specifica, svolgendo un lavoro come quello dei tutori dell’ordine? La risposta di Ravazzani non si fa attendere. «Devo ringraziare la mia famiglia che mi ha sempre sostenuto anche quando gli impegni lavorativi e del cammino verso il ministero mi portavano lontano. A loro, che mi hanno supportato e sopportato, devo dire il mio primo grazie, non c’è dubbio», riflette, «anche perché talvolta, dopo essere tornato a casa, dovevo mettermi a studiare: a questa età rincominciare non è facile»
E, a proposito di cose facili e difficili, Mauro aggiunge. «Nei decenni in cui ho prestato servizio, i momenti complessi non sono mancati, come è facile immaginare per un lavoro come quello in polizia, ma la fede mi ha sempre sorretto, aiutato e mi pare di poter dire che con questo passaggio al diaconato si compie la mia maturità umana e cristiana. Mi piace pensare che tra la questura di via Fatebenefratelli e il palazzo Arcivescovile ci sono solo, in linea d’aria, 800 metri e che vi sia un filo invisibile: non solo palazzi fatti di pietre, ma luoghi dove ho vissuto, lavorato, fatto esperienze che li legano insieme per sempre nel mio cuore». Insomma, il disegno di una vita completata dall’essere - come sono i diaconi permanenti - a tutti gli effetti parte del clero. «All’inizio nei colleghi a cui, già all’inizio nel 2019, avevo parlato di questa mia scelta c’era curiosità, anche perché pochi sanno cosa sia il diaconato, ma poi subito sono stato circondato dall’affetto, tanto che per la celebrazione in Duomo erano presenti molti di loro e il questore Bruno Megale, ieri mi ha accolto in questura consegnandomi una targa quale riconoscimento “Per l’impegno e la professionalità dimostrati negli anni trascorsi nella Polizia di Stato”». E ora? «Conosco abbastanza bene la macchina organizzativa stando accanto all’arcivescovo, ma adesso sento una responsabilità in più: il lavoro non è più solo lavoro ma un ministero che mi è stato conferito con questa destinazione e questo ruolo che spero di onorare al meglio per il bene che voglio al Signore, alla Chiesa e all’arcivescovo di Milano, alla mia famiglia e a tutti coloro che hanno creduto in me». Il diacono Mauro sarà anche il protagonista di una approfondita videointervista all’interno del magazine di informazione religiosa “La Chiesa nella Città” in onda su Telenova alle 18.30 di giovedì prossimo e da venerdì mattina on line sul portale della diocesi di Milano.
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