«Così gli amici musulmani pregano per il Papa che soffre»

Parla l'arcivescovo di Rabat in Marocco. «Fra i musulmani c’è ammirazione per Francesco. Così ha incentivato il dialogo fra le fedi. I cattolici anti-islamici? Contro il Concilio»
March 7, 2025
«Chi ha rapporti di amicizia e di collaborazione con noi cattolici ci fa molte domande sulla salute di Francesco e si interessa su che cosa stia accadendo in ospedale. Ma soprattutto prega per il Papa». Il cardinale Cristóbal López Romero dà per sottinteso chi siano i “vicini di casa” della comunità ecclesiale in Marocco: sono gli «amici musulmani». Salesiano, 72 anni, originario della Spagna, è l’arcivescovo di Rabat, una delle due diocesi che insistono sul Paese nordafricano. Paese che in base alla Costituzione è «uno Stato musulmano» dove il 99% della popolazione abbraccia il Corano. Appena 31mila i cristiani su 37 milioni di abitanti, di cui i cattolici non superano i 20mila.
Il cardinale Cristóbal López Romero, arcivescovo di Rabat - Agenzia Romano Siciliani
Il cardinale Cristóbal López Romero, arcivescovo di Rabat - Agenzia Romano Siciliani
«Senza volere generalizzare, posso dire che il sentimento di apprezzamento, rispetto e ammirazione verso papa Francesco è maggioritario tra i musulmani, almeno da quanto osservo qui in Marocco. Logicamente la sua presenza nei media e nella vita quotidiana non è così forte come nelle nazioni con radici e tradizioni cristiane. Però credo che qualsiasi osservatore attento non potrà fare a meno di affermare che Francesco ha dato un grande impulso al dialogo islamo-cristiano durante il suo pontificato», spiega López Romero ad Avvenire. Arcivescovo e poi cardinale per volontà proprio di papa Bergoglio che nel dicembre 2017 lo invia a Rabat e nell’ottobre 2019 gli consegna la berretta. Porpora che arriva sette mese dopo aver accolto Francesco in Marocco durante il viaggio in occasione dell’ottavo centenario dello storico incontro tra Francesco d’Assisi e il sultano d’Egitto al-Malik al-Kamil. «Il 30 e il 31 marzo saranno trascorsi sei anni dalla visita di papa Francesco a Rabat – sottolinea il cardinale López Romero –. Sua Maestà il Re, che Dio lo custodisca, mi ha detto: “Il ricordo della visita del Papa resta indelebile”».
Eminenza, come si vive dal Marocco il ricovero del Pontefice?
«Con grande tristezza per ciò che il Papa rappresenta per la Chiesa e per il mondo e per la conoscenza e l’amicizia che ho instaurato con lui. Ma anche con assoluta fiducia perché ritengo che i problemi di salute siano normali, soprattutto all’età del Papa, e perché credo nello Spirito Santo e sono convinto che la Chiesa è nelle sue mani».
La visita di papa Francesco in Marocco nel 2019 - Ansa
La visita di papa Francesco in Marocco nel 2019 - Ansa
Il Policlinico Gemelli è ora la nuova cattedra di Francesco. Quale testimonianza giunge dalla sua stanza?
«La malattia fa parte della vita e dobbiamo sempre essere pronti ad accettarla e a viverla come parte della vita stessa. Inoltre, rimanda alla nostra fragile e povera realtà di esseri umani e mortali. Sospendere le attività ordinarie, o anche un certo attivismo, ci aiuta a tornare all’essenziale ed è invito all’umiltà. Diceva il vescovo tedesco Klaus Hemmerle: “Chi lavora per il Regno, ottiene molto; chi prega per il Regno, fa di più; chi soffre per il Regno, fa tutto”. Il Papa, che ha fatto molto per il Regno, ora fa di più, e tutto, soffrendo e pregando dalla sua camera d’ospedale».
Una “catena” orante sta accompagnando il Papa. Come la preghiera è aiuto nella prova?
«Tutti noi ne abbiamo fatto esperienza attraversando situazioni complesse. Non riesco a smettere di pensare a Gesù che ci dice: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro”. La preghiera è la via per eccellenza. Però, non possiamo trasformare la preghiera in un “antidolorifico” La preghiera deve essere libera, non utilitaristica. Chiedere aiuto quando qualcosa non va ma non ringraziare quando tutto va bene è una distorsione della preghiera».
Papa Francesco ripete: “Fratelli tutti”. Nel messaggio per Quaresima, invita a «camminare con gli altri» e ad «essere fautori dell’unità». Eppure una parte dell’Europa ha paura del “pianeta” musulmano. E cresce l’islamofobia.
«È un peccato. Ci sono persone, istituzioni e partiti politici interessati a incendiare il rapporto tra musulmani e cristiani, ad alimentare lo scontro o il conflitto, quando invece il rapporto potrebbe essere di amicizia, di collaborazione, persino di fraternità. Che questo clima negativo esista tra i non cristiani potrebbe anche essere comprensibile; ma il fatto che ci siano cattolici (alcuni in posizioni di responsabilità) che non abbiano preso atto di quanto il Vaticano II ha affermato su questo tema 60 anni fa è triste e angosciante. Basta leggere la Dichiarazione conciliare Nostra Aetate: “La Chiesa guarda con stima anche quei musulmani che adorano ‘unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente… Se nel corso dei secoli sono sorti tra cristiani e musulmani molti dissensi e inimicizie, il Sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a lavorare insieme per promuovere la giustizia sociale, il bene morale, la pace e la libertà per tutti gli uomini”».
La visita di papa Francesco in Marocco nel 2019 - Ansa
La visita di papa Francesco in Marocco nel 2019 - Ansa
Come favorire il dialogo fra cristiani e musulmani?
«Non c’è alcun segreto. Si tratta di vivere l’incontro perché “il cammino si fa camminando”. C’è bisogno di chi si sforza di uscire da se stesso andando oltre la propria “comfort zone” e di quanti hanno il coraggio dell’alterità. Così si fa esperienza dell’arricchimento reciproco e della gioia della fratellanza. Suggerisco sempre di “parlare meno dei musulmani e più con i musulmani”. Il resto verrà da sé ogni volta che lavoreremo insieme per le grandi cause dell’umanità; ogni volta che condivideremo l’incontro con Dio e con la fede; ogni volta che, se il Signore ci concede questa grazia, pregheremo insieme».
Sono appena iniziate la Quaresima e il Ramadan che quest’anno in gran parte si sovrappongono.
«È davvero una felice coincidenza che si verificherà anche nei prossimi anni. Tutto questo ci aiuta a comprendere che, come sosteneva san Giovanni XXIII, “ciò che ci unisce è molto più di ciò che ci divide”. Siamo chiamati a condividere non solo alcune pratiche come il digiuno, la preghiera, l’elemosina, ma soprattutto gli atteggiamenti interiori: la conversione, il ritorno a Dio, la riconciliazione, il perdono, la solidarietà con i poveri».
Anche dall’ospedale papa Francesco chiede pace nel testi che sono stati diffusi. Lei, eminenza, ha appena reso noto un messaggio in cui invita a pregare per la pace in Africa e nel mondo.
«Nella relazione possiamo scoprire che “ogni uomo è mio fratello”, al di là della religione, della cultura, della nazionalità o dei tratti etnici. Ne deriva che nessuno ha il diritto di combattere il prossimo. La pace si costruisce partendo dalla conversione dei cuori. Ma l’istruzione è il fattore essenziale. E, quando parlo di istruzione, non intendo solo la scuola, ma anche la famiglia, i media, la società».

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