Contro ogni abuso: come sta crescendo nella Chiesa la tutela dei più piccoli

I contributi di teologi, psicologi e canonisti per affrontare in modo interdisciplinare una questione complessa. Creare una vera "cultura della cura"? Non basta la "tolleranza zero&quot
August 28, 2025
Contro ogni abuso: come sta crescendo nella Chiesa la tutela dei più piccoli
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Nella decisiva battaglia per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili finalmente ingaggiata dalla Chiesa ad ogni livello, si sta affermando un concetto che sembra riassumere al meglio l’intensità di un impegno sistemico, il safeguarding. Potremmo parlare di salvaguardia – che ne sarebbe la traduzione letterale - oppure di custodia, di prevenzione, ma secondo gli esperti che si occupano dell’argomento l’idea di safeguarding abbraccia ambiti e propositi più ampi, perché non sintetizza soltanto il dovere di proteggere i piccoli e i vulnerabili dagli abusi, ma serve a definire l’obiettivo di creare ambienti sicuri, selezionare e formare persone preparate e consapevoli, garantire accompagnamento e supervisione, mettere in atto processi, sensibilizzare e coinvolgere tutte le realtà interessate nella formazione, verificare periodicamente e regolarmente le procedure in vista di un continuo miglioramento. E, allo stesso tempo, permette di gestire le segnalazioni di abusi in modo corretto, «dotarsi di policy e codici di condotta per le varie categorie di persone e le varie istituzioni, prendersi cura di chi abusa e, soprattutto, delle persone ferite». La riflessione di Grazia Vittigni, psicologa e psicoterapeuta, docente all’Istituto formatori della Gregoriana, compare in un contributo pubblicato nel saggio Abusi nella Chiesa. Un approccio interdisciplinare (Ancora), a cura di Ferruccio Ceragioli e Carla Corbella, che raccoglie quanto emerso nel corso universitario proposto nel 2022 dalla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, sezione di Torino.
Approfondimento originale e ricco di nuovi spunti che mette insieme informazioni di carattere generale sul cammino avviato dalla Chiesa universale e da quelle locali, accostate a letture antropologiche, psicologiche, teologiche e giuridiche. Un testo che aiuta a comprendere quello che è successo, raccontando senza sconti silenzi e imbarazzi della Chiesa, ma soprattutto a farsi un’idea su quello che occorre mettere in campo per realizzare quel salto culturale indispensabile, all’insegna della trasparenza e dalla generatività, per cancellare la mentalità abusante che si nutre non solo di degrado morale, ma anche di clericalismo, di patriarcato, di cattiva teologia.
Comprendere e cancellare un certo sistema ecclesiale anti-evangelico che ha permesso l’affermarsi di una mentalità abusante significa anzitutto superare una serie di stereotipi che in passato hanno determinato la sottovalutazione del fenomeno. Importante quindi non limitarsi al giudizio morale perché – come scrive Carla Corbella, teologa morale, docente presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, sezione di Torino, «il comportamento è solo l’epifenomeno di una condotta sessuale impropria che implica una serie di fenomeni e di dinamiche umane e spirituali più complesse».
Perché c’è ancora chi minimizza («In fondo sono pochi…»), chi sostiene che le vittime sono spesso millantatori e che i media danno loro troppo risalto. All’opposto c’è chi invoca continuamente la “tolleranza zero”, che è importante, ma come misura singola non fa un buon servizio alla causa perché – spiega la teologa – «rischia, se presa da sola, di isolare la questione alla singola persona colpevole e ai suoi comportamenti senza favorire una comprensione sistemica».
Quell’atteggiamento, cioè, che non ha paura di mettere in discussione le scelte del passato e di proporre nuove visioni per individuare un esercizio evangelico del potere che, come suggerisce Ferruccio Ceragioli, docente di teologia fondamentale e filosofia della natura presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, passi attraverso l’attenzione ai piccoli, ai fragili, ai poveri, investa in modo più coraggioso in collaborazione e corresponsabilità (“basta con l’idea dell’uomo solo al comando”), sappia gestire i conflitti in una logica di ascolto.
L’esercizio evangelico del potere ripudia il clericalismo nelle sue varie forme: quello del sacro, quello del potere e quello della burocrazia (“il prete funzionario che tratta le persone come casi da risolvere”). Quando il potere ecclesiale viene esercitato in modo superbo e narcisista, quando il clericalismo diventa ipertrofia dell’io, «apre la strada alla mentalità abusante» a cominciare, come spiega Aristide Fumagalli, docente di teologia morale alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, dall’abuso di coscienza. L’abusante insinua la sua voce nella coscienza del minore o della persona vulnerabile – tutti lo siamo in alcuni momenti della nostra vita – «e una volta carpito il controllo dell’intimo, l’abuso sessuale non ha più i tratti della violenza perpetrata, potendo apparire agli occhi dell’abusato persino come corrispondenza dovuta e risultando agli occhi dell’abusatore come comportamento consensuale».
L’abuso di coscienza diventa in questi casi abuso emotivo, abuso morale e, quando l’abusatore pretende di far percepire alla vittima l’eco dello Spirito, anche abuso spirituale. Alla base di queste azioni scellerate c’è sempre un abuso di potere per troppo tempo tollerato, anzi, come scrive il teologo, prodotto talvolta in seno alla Chiesa da una cultura dell’abuso «alimentata dall’incredulità circa la gravità del fenomeno, dal timore di perdere i privilegi e il potere acquisito, dalla consapevolezza che il diritto canonico non obbliga alla denuncia pubblica». E su questi punti occorre insistere e intervenire con coraggiose revisioni.
Insomma, se tanto è stato fatto, soprattutto nell’ultimo decennio grazie allo sforzo di papa Francesco, tanto ancora rimane da fare anche a livello canonico visto che alcuni comportamenti, come l’abuso di potere «non hanno ancora piena formulazione giuridica».
Ma, come messo in luce da Alessandro Giraudo, vescovo ausiliare di Torino e docente di diritto canonico, si tratta di un rinnovamento che dovrà toccare anche le procedure processuali e gli strumenti che le varie istituzioni canoniche, dalla Chiesa particolare agli istituti di vita consacrata,
«dovrebbero attivare per dare concreta attuazione alla tutela del bene dei fedeli e del loro cammino di credenti».

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