venerdì 21 febbraio 2020
I 58 presuli protagonisti del G20 ecclesiale sulla pace nei quartieri difficili del capoluogo pugliese o del paesi dell'arcidiocesi di Bari-Bitonto
I vescovi che partecipano all'Incontro "Mediterraneo, frontiera di pace"

I vescovi che partecipano all'Incontro "Mediterraneo, frontiera di pace" - Siciliani

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Il nome ufficiale dell’agglomerato è “San Paolo” ma nessuno lo chiama così a Bari. Per chi lo abita è semplicemente «il quartiere», mentre per l’intero capoluogo pugliese ha un solo appellativo: «Cep». È l’acronimo di «centro di edilizia popolare» o più sarcasticamente di «centro elementi pericolosi». Un rione difficile che questa sera ha accolto il cardinale Michael Czerny, sottosegretario della sezione migranti e rifugiati del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. Un “tuffo” in una periferia esistenziale per il porporato degli “ultimi”, ospite dalla comunità parrocchiale della zona. Ad accompagnarlo il vescovo di Novara, Franco Giulio Brambilla, vice-presidente della Cei.

È stata una delle visite che i cinquantotto vescovi del Mediterraneo, protagonisti del “G20” ecclesiale sulla pace, hanno fatto, al termine della giornata “sinodale”, nelle parrocchie dell’arcidiocesi di Bari-Bitonto. Trentaquattro le comunità che hanno accolto cardinali, patriarchi e vescovi per una Messa insieme e poi per il dialogo con la gente. «Mai avevamo visto prima d’ora un patriarca o un cardinale», è stata una delle frasi rimbalzate da una comunità all’altra. Per citare altri due esempi, il patriarca iracheno Louis Raphaël Sako è andato nella parrocchia di Sant’Antonio a Bari o il cardinale Vinko Puljic, arcivescovo di Sarajevo, nella parrocchia di Santa Maria Annunziata a Modugno.

Una scelta, quella dell’abbraccio fra i vescovi del bacino e le comunità locali, per testimoniare che l’Incontro Cei non è blindato (benché i lavori si svolgano a porte chiuse) e per ringraziare la Chiesa di Bari che ha contribuito in modo determinante all’organizzazione dell’evento.

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